La posizione degli organi di giustizia e di controllo

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Il Trattato CE, nella parte quinta relativa alle Istituzioni della Comunità, dedica la sezione quarta alla Corte di giustizia e la sezione quinta alla Corte dei conti. Dopo il Parlamento, il Consiglio e la Commissione troviamo questi altri due organi che dobbiamo perciò considerare apicali, ai quali sono affidati compiti di controllo anche su atti adottati dagli altri organi apicali della Comunità.
I meccanismi di nomina: giudici ed avvocati generali della Corte sono nominati “di comune accordo per sei anni dai Governi degli Stati membri” (art. 223), mentre i membri della Corte dei conti sono nominati dal Consiglio (a voto unanime e previa consultazione del Parlamento, dice l’art. 247); il mandato degli uni e degli altri è rinnovabile; gli uni e gli altri possono essere rimossi solo in forza di una decisione della Corte di giustizia.
Il Trattato CE non contiene norme che affermino in modo esplicito i principi di indipendenza, autonomia ed imparzialità dei giudici della Corte, l’unica garanzia istituzionale loro riconosciuta consistendo nella immunità dalla giurisdizione per gli atti dell’ufficio. Per i membri della Corte dei conti quei principi trovano invece una doppia enunciazione. L’art. 247 afferma infatti che essi “esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale della Comunità. Nell’adempimento dei loro doveri, essi non sollecitano n accettano istruzioni…”. Probabilmente il silenzio del Trattato riguardo alla posizione dei giudici della Corte può trovare spiegazione con riferimento a sistemi nazionali in cui la posizione degli organi di giurisdizione è garantita non da principi scritti ma da prassi istituzionali; tuttavia, non si può tacere il rilievo che gli statuti dei due Tribunali ad hoc (quello per la ex-Jugoslavia e quello per il Ruanda) e quello della Corte penale internazionale contengano norme che esplicitamente affermano l’indipendenza dei giudici e, per il Procuratore, stabiliscono che il suo ufficio “agisce in modo indipendente come organo autonomo della Corte” (art. 42 dello Statuto di Roma).

La Relazione finale del Gruppo X “libertà, sicurezza e giustizia” non formula nessuna proposta riguardante la Corte di giustizia, un silenzio che deve indurre a qualche riflessione, specialmente alla luce delle scelte di fondo che il Gruppo ha fatto.
Si propone infatti di eliminare la distinzione delle competenze per pilastri, spostando definitivamente queste materie da un ambito interstatuale ad un ambito comunitario. Coerentemente con le indicazioni formulate dal Gruppo IX “semplificazione”, si propone di eliminare lo strumento pattizio e di inserirle nell’ordinario meccanismo di produzione normativa europea. Si parla, così, di Legge UE, di Legge quadro UE e di Decisione quali unici strumenti normativi destinati a sostituire tutti quelli attualmente vigenti; si precisa che la Legge (sostitutiva del regolamento) sarebbe un “atto di portata generale, obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” , un atto che verrebbe adottato secondo la procedura della “codecisione”, vale a dire sulla base di una proposta del Consiglio al Parlamento, il cui parere negativo precluderebbe l’adozione della legge stessa. Il Consiglio adotterebbe gli atti con voto a maggioranza, eventualmente qualificata.
Ancora, si sottolinea la necessità di migliorare le norme in materia di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e si sollecitano modificazioni del Trattato UE volte a fornire una base giuridica per interventi degli organi dell’Unione in questo settore, facendo un esplicito riferimento al ravvicinamento del diritto penale sia sostanziale (con riferimento agli elementi del reato ed alle sanzioni) che processuale, nonch alla cooperazione di polizia e giudiziaria. Si arriva a formulare la proposta che si crei una base giuridica nel Trattato addirittura in funzione di un ravvicinamento delle norme processuali minime in materia di ammissibilità delle prove, proposta che sembra richiamare il dibattito che si era aperto intorno al Libro verde della Commissione sul pubblico ministero europeo e, in particolare, le proposte contenute nel Corpus juris per un “processo verbale europeo”. Queste norme minime comuni che l’Unione sarebbe abilitata ad adottare dovrebbero riguardare anche degli standard comuni di tutela dei diritti nel procedimento penale.
Si traccia così un quadro che possiamo definire di europeizzazione di questa materia e, nello stesso tempo, volto a sottolineare come la cooperazione intervenga fra gli organi giudiziari dei vari Paesi che applicherebbero direttamente le norme sostanziali e processuali europee. Quanto ai Governi, le proposte del Gruppo X sono nel senso di negargli una funzione ed un intervento diretti nelle ordinarie attività di cooperazione giudiziaria europea, ma interverrebbero – tramite gli atti del Consiglio sopra ricordati – nella produzione normativa europea.
Coerentemente con queste linee, il Gruppo X formula la proposta che venga inserita nel Trattato una base giuridica anche al fine di “consentire l’adozione di norme sulla risoluzione dei conflitti di competenza fra Stati membri. … base … che … non debba essere limitata a tipi specifici di reato per i quali l’Unione sta cercando di ravvicinare le disposizioni di diritto sostanziale.” Le implicazioni di questa proposta meritano – pur negli spazi limitati e nella sommarietà di queste riflessioni – qualche ulteriore osservazione.
Da una parte si deve dire che parlare di risoluzione di conflitti di giurisdizione implica l’esistenza di un giudice penale europeo dei conflitti: sarà la Corte di giustizia? posto che le competenze della CGCE hanno finora riguardato diritti patrimoniali, non si può pensare che la prospettiva proposta ponga in termini diversi e pi pregnanti quell’esigenza di meglio esplicitare la posizione di indipendenza, imparzialità ed autonomia di un giudice cui si attribuirebbero competenze riguardanti la libertà personale e con riferimento ad un catalogo di reati, quelli transnazionali ma anche quelli che ledono gli interessi della Comunità, amplissimo? avrà questo giudice un suo pubblico ministero?
E proprio prendendo lo spunto dall’ultimo interrogativo, si devono sottolineare certe contraddizioni presenti nella Relazione del Gruppo X a proposito del pubblico ministero europeo (o MPE) e di Eurojust. Quanto al primo, le conclusioni si limitano unicamente a descrivere le posizioni interne al Gruppo, assai divergenti fra loro; la consapevolezza che queste remore sull’una figura possano influire negativamente sul quadro complessivo proposto hanno suggerito di fare riferimento all’altra, di proporre Eurojust come una specie di succedaneo di quel MPE la cui creazione si rifiutava. Si parla, così, di un rafforzamento di Eurojust prospettando addirittura che le si potrebbe conferire “la facoltà di adire i giudici nazionali” ; e non si considera che, essendo Eurojust un organo dei Governi, questa proposta si pone in posizione del tutto antitetica con la linea di fondo della stessa Relazione che – per quanto si è cercato qui di ricordare – è tutta imperniata sulla comunitarizzazione delle competenze nel settore dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Può darsi che la proposta di far riferimento ad una Eurojust rafforzata sia una mediazione per andare avanti lungo il percorso verso la creazione di organi giudiziari europei dalle competenze in materia penale; ma allora si deve ricordare che attualmente i singoli membri di Eurojust non godono di nessuna garanzia non diciamo di indipendenza ma nemmeno di stabilità nel loro incarico. E questa è un’ulteriore contraddizione rispetto sia alla prospettiva di comunitarizzazione sia all’altra che considera la cooperazione in materia penale rientri nelle competenze degli organi giudiziari dei vari Paesi, senza il tramite dei Governi.

09 01 2003
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