La forza dei Diritti

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Una relazione congressuale deve essere un punto di partenza e non di arrivo, rappresentando sia il punto di approdo dell'elaborazione e della riflessione collettiva, sia uno stimolo di discussione per un congresso che vorrebbe ambiziosamente essere un laboratorio di idee ed un momento di incontro tra esperienze, professionalità e sensibilità diverse. Per questo non credo saggio ripetere la relazione scritta già diffusa, non solo per motivi di tempo e per risparmiare l'uditorio, ma anche perch la discussione svolta e la stessa evoluzione degli eventi ci impongono di andare oltre, tenendo anzitutto conto del dibattito e dei contribuiti già emersi.

  1. Due anni difficili.
    Sono stati due anni difficili, dominati da un contesto istituzionale e culturale negativo ed ostile. E pure in questo periodo Magistratura Democratica ha mostrato sino in fondo la propria vitalità, la propria capacità di rapportarsi con i magistrati e con la società civile, la propria capacità di rinnovarsi. Fare un elenco delle iniziative tenute in questi due anni da M.D. sarebbe lungo e noioso, eppure anche per un dovere di rendiconto credo necessario sottolineare i passaggi e le iniziative che hanno caratterizzato la nostra attività davvero corposa svolta in questo biennio. Tra l'altro proprio vedendo l'attività svolta si può agevolmente riscontrare come una costante del nostro gruppo sia l'elaborazione culturale, il tentativo di riflessione razionale, la formulazione di proposte praticabili, la ricerca del confronto con tutti coloro che siano davvero disponibili. Caratteristiche che tra l'altro si trovano abbondantemente espresse da Questione Giustizia, rivista che ben rappresenta la continuità e lo sforzo culturale di M.D.

    Si sono avuti momenti che hanno rappresentato la maturazione di una riflessione e di un confronto di esperienze in corso da tempo come il documento "Tra diritto ed organizzazione" e la sua presentazione pubblica, che contiene la proposta concreta, indirizzata anzitutto ai magistrati, di possibili interventi, non solo normativi, ma in primis amministrativi e organizzativi, possibili per far funzionare meglio la giustizia quotidiana. Risultato che va detto mantiene appieno la sua validità e che costituisce la strada su cui occorre continuare ad operare.
    Vi sono stati momenti in cui si è cercato di riprendere, anche con contributi esterni, la riflessione su temi centrali per la giurisdizione, come l'impegno contro la criminalità organizzata. Il seminario di Palermo "La mafia tra tradizione e innovazione" è stato il tentativo, riuscito, di rilanciare una riflessione ed una condivisione dei nuovi scenari che si prospettano sia a chi si trova ad operare in questo campo, sia pi in generale nella società italiana .
    L'impegno culturale unito alla denuncia ha poi caratterizzato tutte le iniziative (convegni, documenti, articoli, schede) relative a proposte legislative da noi ritenute non condivisibili e negative. Ciò è avvenuto per la legge sulle rogatorie, sulla riforma del diritto societario e il falso in bilancio, sulla nuova legge sull'immigrazione, sulla c.d. legge "Cirami", sul progetto di legge "Pittelli" , sul disegno di legge sull'ordinamento giudiziario, a volte in proficua collaborazione con altre associazioni interne ed esterne alla magistratura.
    Una particolare attenzione abbiamo dedicato alle vicende che hanno caratterizzato dapprima il vertice del G8 a Genova e quindi gli arresti di appartenenti alla Polizia avvenuti a Napoli ed ancora le recenti misure cautelari emesse dagli uffici giudiziari di Cosenza. I tratti che hanno contraddistinto i nostri interventi al riguardo si sono ispirati a principi comuni: la affermazione del primato della legalità, la difesa della giurisdizione e della sua eguaglianza per tutti, l'attenzione critica alle giurisprudenze, il rifiuto di messaggi di "criminalizzazione" del dissenso (che rischiano di trasformare in reati anche le dichiarazioni e le intenzioni, assimilati ai comportamenti violenti in una indistinta ottica repressiva).
    Abbiamo sino in fondo svolto la nostra parte nell'A.N.M., non solo attraverso i ruoli di responsabilità che alcuni di noi hanno ricoperto in modo eccellente, ma con la quotidiana partecipazione di moltissimi alle discussioni, alle assemblee, alle iniziative che hanno costellato in particolare l'ultimo anno. E' per noi motivo di soddisfazione e di conforto rilevare come la magistratura, nella sua stragrande maggioranza senza distinzione di provenienze ideali e di mestiere, non si sia fatta intimidire e abbia dimostrato grande compattezza e unità, come ha evidenziato la ferma protesta in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario sia lo scorso anno che pochi giorni fa, la piena riuscita delle assemblee nazionali prima e dello sciopero del 20 giugno poi. Non solo, ma la crescita dell'associazionismo giudiziario di cui abbiamo l'orgoglio di essere parte è altresì dimostrata dalla nuova vitalità delle sezioni locali dell'A.N.M. e dal superamento di una concezione e realtà dell'associazione intesa come semplice sommatoria di correnti. Vi è ovviamente ancora molto da lavorare, ma dobbiamo riscontrare come si sia avuta una formidabile inversione di tendenza.
    La forte maturazione che i recenti eventi hanno indotto in tempi rapidissimi in ampi strati della magistratura e la convinzione che la strada da intraprendere sia quella della rivitalizzazione della elaborazione culturale come base per un serrato confronto con i settori esterni all'ordine giudiziario, hanno poi condotto all'esperienza elettorale del Csm dove è stata praticata con successo un'alleanza tra Magistratura democratica, Movimento per la giustizia, Impegno per la legalità, Ghibellini. La nostra non è stata, n sarà, una mera scelta elettorale, determinata dalle modifiche attuate sul sistema elettorale del Csm, ma un'occasione per lanciare un messaggio per un forte cambiamento degli assetti della magistratura e per dare un segno di resistenza e di rinnovamento che un numero crescente di colleghi richiedeva a gran voce e che si è tradotto in un successo elettorale ben pi ampio della sommatoria dei voti dei singoli gruppi. Su questa strada continueremo senza creare steccati per nessuno, ma cercando di farlo diventare un vero e proprio laboratorio di idee e confronto per perseguire un'associazionismo come casa comune in cui tutti si riconoscano ed un governo autonomo della magistratura che unisca alla presenza culturale e alla difesa della giurisdizione, la buona amministrazione quotidiana all'insegna della trasparenza della certezza dei tempi e della parità di trattamento.
    I successi avuti al riguardo non devono soddisfarci, ma anzi darci la consapevolezza delle nuove responsabilità che ci troviamo a reggere.
    Altra caratteristica che ha connotato la nostra attività è stata la costante attenzione all'esterno anche come interlocuzione con le realtà interne ed esterne al mondo del diritto. I nuovi fermenti emersi nell'avvocatura, nell'università, nella cultura giuridica e nella società civile hanno consentito lo svilupparsi di iniziative comuni, la partecipazione a confronti ed incontri, l'elaborazione di supporti tecnici che potessero spiegare ai cittadini la realtà di interventi normativi.
    Infine e con ciò termino questo rendiconto inevitabilmente sommario abbiamo rinnovato radicalmente i nostri strumenti di comunicazione, creando due mailing list ( una di discussione ed una di informazione) e avendo in corso il totale rinnovo del sito internet, che sarà un momento centrale di presentazione e di comunicazione per M.D.

  2. La forza ed i diritti.
    Al momento di decidere il titolo del Congresso due ipotesi si erano confrontate: La forza ed i diritti e La forza dei diritti. Alla fine ha prevalso la versione pi positiva, che rimarca come i diritti godano e possano godere di una fortissima forza intrinseca e come in un momento come l'attuale, in cui molti beni primari sono messi in pericolo - la pace, il lavoro, la dignità delle persone - sia ancora possibile pensare ad una società basata sul diritto, che vuol dire non soltanto regole, ma beni fondamentali patrimonio di ogni individuo.
    Ma questa prospettazione che privilegia la volontà e la speranza non dimentica la drammaticità dell'odierna situazione ed ancora pi i foschi scenari che si presentano davanti alla nostra società.
    La pace è in pericolo, un devastante terrorismo internazionale si è ripresentato sulla scena, le disuguaglianze nel pianeta sono sempre pi marcate, la povertà anche nel nostro Paese è in crescita, il diritto al lavoro di molti è in pericolo e la precarietà e l'incertezza del domani crescono, i diritti di cittadinanza di decine di migliaia di immigrati sono stati annullati, si sviluppa l'insicurezza sociale e l'infelicità di una società che nel benessere trova pi ragioni di paure e regressioni che di sviluppo.
    Crediamo che gli uomini di diritto debbano occuparsi anche di questo. Pi volte siamo stati rimproverati per esserci occupati ed essere intervenuti su grandi temi come la pace e la guerra. Ma il terreno proprio dei giuristi è proprio quello dei diritti e i primi diritti fondamentali di ogni uomo sono il diritto alla vita ed il diritto a vivere in pace. Sappiamo che pensare di contrapporre alla mera forza il diritto pare illuministico, eppure dobbiamo riscontrare il grande cammino che questa idea ha fatto, con la creazione delle organizzazioni internazionali, con l'abbattimento delle frontiere, di cui l'Europa è esempio, con la creazione delle Corti internazionali di giustizia. E' un processo sicuramente irreversibile che obbliga i giuristi sotto il profilo morale, ma ancor pi per la loro stessa essenza ad una lotta per il diritto e per le sue ragioni, contro la prevalenza della logica della forza.
    Sempre pi si pretende un mondo che abbia regole e un'autorità credibile e riconosciuta capace di farle rispettare. In presenza di problemi di questa dimensione la domanda di diritti non può trovare una risposta a livello delle singole nazioni. Occorrono regole e garanzie che, partendo dalle conquiste del moderno costituzionalismo, forniscano, senza scorciatoie "tecnicistiche", risposte adeguate a esigenze che non si collocano pi nell'ambito dello Stato - nazione. Su questo terreno stiamo vivendo il fatto politico e giuridico pi rilevante di questo inizio di secolo che determinerà gli scenari dei prossimi decenni: l'elaborazione di una Costituzione europea. E' un'occasione unica, che rischiamo di perdere, per l'incredibile disattenzione che la circonda. Già il Trattato di Nizza, due anni or sono, ha tradito molte speranze: alla Carta non è stata conferita una esplicita validità giuridica, il Trattato è stato l'ennesimo riaggiustamento "minimalista" di poteri tra Stati, Consiglio, Commissione e Corte europea (che ne ha reso problematica non solo l'interpretazione, ma anche la mera lettura). In realtà a Nizza è emerso con forza che la politica dei "piccoli passi", della prudente espansione delle competenze comunitarie senza rotture degli schemi e senza salti progettuali innovativi, ha ormai dato tutto quello che poteva dare, mostrando inevitabili nodi da sciogliere. E sintomi preoccupanti nella stessa direzione emergono dai primi progetti di elaborazione della Costituzione, con l'introduzione di una bipartizione tra principi futuribili e diritti azionabili che rappresenta un passo indietro per l'Europa e per qualsiasi moderno costituzionalismo.
    Dalla capacità di questa Costituzione di dare risposta alla richiesta di regole e di diritti, individuali e sociali, dipenderà la forza e la coesione dell'Europa la sua rappresentatività democratica, la possibilità di essere un fattore e modello di coagulo a livello internazionale.
  3. L'attacco ai diritti.
    A questi bisogni e a queste nuove frontiere, si contrappongono, specie nel nostro Paese un ripiegamento nazionalistico, un attacco ai diritti ed un attacco alla giurisdizione.
    A essere messi in discussione sono il diritto di cittadinanza (inteso come tutela di un livello di vita dignitoso per tutti), il pluralismo dell'informazione, la scuola e la sanità pubblica. E' sui diritti sociali e sul lavoro che lo scontro si è fatto pi aspro: la prospettiva sembra essere quella dell'accantonamento delle garanzie di tutela apprestate dallo Stato sociale e di una privatizzazione generalizzata.
    Alla contrazione dello Stato sociale, poi, corrisponde l'esaltazione della tolleranza zero e della repressione diretta in particolare verso il contenimento del disagio sociale. Sempre pi difficili problemi sociali trovano la loro risposta sia nell'immaginario collettivo, grazie ad un pilotamento mass mediatico, sia nelle scelte legislative in modelli esclusivamente repressivi tanto demagogici, quanto fallimentari. E' il caso delle politiche nel settore degli stupefacenti e della tossicodipendenza, in cui l'accantonamento delle prospettive di accoglienza e riduzione del danno apre la strada a un revival della mera repressione penale. E' il caso delle politiche sull'immigrazione, portato di pregiudizi razzisti, spinte securitarie e parole d'ordine tanto demagogiche quanto inidonee a governare un fenomeno sociale imponente, che porterà contemporaneamente ad un'ampia e profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti, ad estendere l'area dell'immigrazione irregolare, ad impedire un'effettiva integrazione della immigrazione regolare.
    Sempre pi la giustizia viene così ad essere strumento di repressione del disagio sociale, pi che di realizzazione dei diritti. Sempre pi la giustizia ha due velocità ed è emblematico che sia il Procuratore Generale della Suprema Corte che nella relazione di quest'anno denunci come vi sia "il rischio che all'interno delle strutture di un processo apparentemente unitario vengano nella prassi a crearsi due tipi empirici di processo penale: quello pi garantito per chi può permetterselo e quello meno garantito per chi non può permetterselo."

  4. L'attacco alla giurisdizione.

    All'attacco ai diritti si accompagna un chiaro attacco alla giurisdizione, il che significa impedire ai cittadini di far valere e di far divenire effettivi i propri diritti. Le tendenze alla marginalizzazione della giurisdizione vengono da lontano, e si sono espresse anche nella precedente legislatura, ma l'operato del Governo e della maggioranza parlamentare usciti dalle elezioni del 13 maggio 2001 costituisce un salto di qualità negativo.
    In questo primo anno e mezzo di legislatura abbiamo vissuto un'offensiva contro la giurisdizione senza precedenti, fatta da attacchi a singoli magistrati e da una continua delegittimazione della funzione giudiziaria concretizzatisi in atti concreti. Legge sulle rogatorie; - legge delega sui reati societari con la pratica abrogazione del reato di falso in bilancio; - restrizione delle scorte ai magistrati; - epurazione del Ministero della Giustizia e nomine operate per il nuovo staff ministeriale; - mozione del Senato della Repubblica del 5 dicembre 2001; - legge elettorale del C.S.M.; - diniego dell'autorizzazione ai magistrati italiani Vaudano, Piacente e Perduca di assumere incarichi presso l'OLAF e relativa mozione della Camera dei deputati; - legge Cirami. Oltre a questi atti già realizzati sono state proposti una serie di interventi legislativi in diversi settori che costituiscono un vero e proprio progetto generale di controriforma dell'ordinamento.
    Esaminando nel loro insieme le riforme prospettate nei vari settori dell'ordinamento emerge, come dall'unione delle tessere di un mosaico, il disegno complessivo e possono cogliersi i nessi che legano la progressiva riduzione dei diritti fondamentali e la compressione del ruolo della giurisdizione. Le riforme in cantiere - convergono, infatti, verso due obiettivi (tra loro strettamente connessi): da un lato, il recupero di un modello di giudice ottocentesco, privato, quanto alle norme sostanziali, di reali spazi interpretativi, e, quanto alle norme processuali poteri di gestione e controllo; dall'altro, l'arretramento della tutela dei soggetti deboli, della promozione di nuovi diritti, della rimozione delle disuguaglianze.
    Questa strategia di ritorno al passato ha come manifestazioni, a fianco della progettata riforma ordinamentale e della riduzione per i magistrati dello stesso diritto di manifestazione del pensiero, la progressiva riduzione del processo a contesa, in una sorta di darwinismo processuale in cui la ragione non dipende dai fatti, dalle prove o dalle argomentazioni, ma dalla forza delle parti ed in definitiva dalla loro ricchezza e/o potenza. Riforme apparentemente lontanissime vanno in realtà in una medesima direzione di privatizzazione di momenti della giustizia e di una dipendenza della stessa e del suo esercizio alle parti forti. Così è per il ridimensionamento drastico della tutela dei minori e dei Tribunali dei minorenni, per la sottrazione al giudice civile della direzione del processo.
    Così è per un processo penale che si vuole sempre pi lasciato nella disponibilità delle parti pi disinvolte ed attrezzate. Così è per la stessa separazione delle carriere che assimila il P.M. a una parte privata, perdendo la sua stessa essenziale caratteristica di Autorità Giudiziaria, delineando una impossibile omogeneità istituzionale tra lo stesso e la difesa, con una sotterranea privatizzazione dell'accusa, sempre pi condizionata dalla polizia e dall'esecutivo.
    Ma così è in particolare per la proposta di riforma dell'ordinamento giudiziario. L'annunciata riforma strutturale in tema di giustizia costituisce uno snodo fondamentale per il futuro assetto del rapporto fra i poteri dello Stato. La riforma dell'ordinamento giudiziario proposta dal governo è in fase di discussione parlamentare, ma l'idea di fondo, la matrice da cui si è partiti è già ben chiara. Tre obiettivi sono evidenti: 1) la riduzione del ruolo del Csm; 2) la creazione di una carriera interna alla magistratura con la Cassazione al vertice di una struttura piramidale, 3) l'avvio della separazione delle carriere. Tutti e tre questi obiettivi sono contrari al disegno costituzionale e sono profondamente sbagliati. Dietro slogan propagandistici che inneggiano alla "riforma della giustizia" si vuole in realtà tornare a modelli della magistratura degli anni '50, nella speranza di tornare ad una magistratura omologata e controllabile. Il modello delineato è un modello già visto, già studiato e già superato perch aveva dato pessimi risultati. Riproporre oggi questo modello significa abbandonare la strada di un seria modernizzazione dell'apparato e dell'ordinamento giudiziario facendo una chiara scelta a favore di forme di controllo della giurisdizione e contro la sua efficienza.
    Riproporre oggi questo modello è in piena controtendenza rispetto a una moderna concezione dello Stato di diritto inteso come un sistema nel quale all'ordinamento giuridico - e quindi alla magistratura che ne garantisce l'osservanza - viene attribuito il compito di tutela dei diritti individuali, frenando la naturale tendenza di ogni potere ad espandersi e a forzare i propri confini.

  5. La legalità abbandonata.

    Vi è un chiaro attacco pi in generale alla stessa legalità. Con un eufemismo possiamo dire che ben raramente vi sono stati periodi come questo in cui il concetto stesso di legalità sia stato svilito e negato. Questo è il tempo dei condoni assai pi che quello del primato e dell'osservanza delle regole e la legalità è abbandonata non solo come priorità da perseguire, ma anche come valore fondamentale di riferimento. Stagioni recenti in cui la lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione avevano assicurato credito al nostro Paese, sembrano lontane anni luce.
    L'azione di contrasto al crimine organizzato sembra dimenticata o relegata in secondo piano. L'opera contro la corruzione non ha trovato riconoscimento in alcun provvedimento diretto a rendere pi difficile la commissione dei reati e pi facile la loro scoperta. Al contrario si sono avuti provvedimenti legislativi che hanno reso pi problematica la persecuzione dei reati. Si sono avute continue denigrazioni nei confronti dei magistrati che hanno profuso il loro impegno ed il loro lavoro in questi campi difficilissimi. La proposta della costituzione di una Commissione di inchiesta su Tangentopoli non è una mera provocazione, ma l'affermazione esplicita della onnipotenza della maggioranza e la stessa negazione della possibilità di un potere giudiziario realmente indipendente. Oltre ad un messaggio di violenta intimidazione a chi voglia seguire la stessa strada di svolgere indagini senza guardare in faccia a nessuno.
    Ma, anche al di là dei diretti risvolti sulla giurisdizione, il rischio fortissimo che corre l'intero Paese è che l'attuale "distrazione" permetta il radicamento e la stabilizzazione di un sistema malato ed inquinato dove la presenza ed il condizionamento della criminalità organizzata da un lato e la logica della tangente dall'altro prolifichino e diventino normalità.
    Laddove i poteri di controllo vengono sviliti questa è una conseguenza logica ineluttabile.

    L'attacco alla giurisdizione non è solo futuribile, ma è già in atto e rischia di portare in pochissimo tempo la giustizia italiana ad una rapida decadenza, ponendo nel nulla gli sforzi di questi ultimi anni in cui l'efficienza del sistema e l'obbligo di risultato erano diventati cultura diffusa all'interno dei magistrati e degli operatori. Sforzi che avevano portato a risultati significativi con la riduzione, sia pure differenziata, dell'arretrato sia nel settore civile che in quello penale.
    Non solo questa strada sembra totalmente abbandonata dal Governo, con atti eloquenti, quali il taglio dei fondi, il blocco dell'assunzione del personale amministrativo, l'abbandono dei progetti di innovazione, ma addirittura sono stati rivendicati dal Ministro che ha teorizzato che è inutile sprecare risorse per una macchina che non può funzionare. Per cui, a suo avviso, è inutile fare i concorsi (previsti da una legge del 2001) per il reclutamento eccezionale dei nuovi 1000 magistrati, dal momento che non ci sono ( e non ci saranno, ovviamente) neppure le stanze, le sedie e i computer per farli lavorare.
    Il problema semmai è quello di "riequilibrare" i rapporti tra magistratura e politica. Solo dopo si potranno fare i concorsi e si potranno investire risorse. Che questo possa comportare ritardi biblici non costituisce un problema: gli uffici giudiziari possono aspettare, tanto il disastro è totale e nessuno si accorgerà della differenza.
    Sono affermazioni gravi ed incredibili: va ricordato che l'art.110 della Costituzione non prevede deroghe al dovere di fornire finanziamenti, personale e strumenti perch gli uffici giudiziari funzionino al meglio.
    Ma la scelta del governo è chiara: nessun investimento finanziario, n organizzativo, n di personale deve giungere in questo periodo agli uffici giudiziari. L'idea di fondo è che la macchina giudiziaria non può essere migliorata fino a quando la magistratura resterà come oggi: troppo indipendente e troppo imprevedibile. Non appena questa libertà di troppo sarà intaccata, allora verrà il momento di premere l'acceleratore sull'efficienza. Con un doppio vantaggio. Il primo: l'inefficienza di questi anni sarà divenuta per i cittadini intollerabile e verrà da loro addebitata ai magistrati, rei di occuparsi troppo di politica e troppo poco di far funzionare la macchina. Il secondo: a quel punto l'arretrato sarà giunto ad un livello così insostenibile che qualunque intervento "d'emergenza" potrà essere giustificato.
    Tutto ciò ovviamente sulla pelle dei cittadini, che saranno costretti ad attendere per mesi e per anni interventi già oggi possibili.
    Credo che mai in passato le scelte del governo sul terreno della giustizia siano state così lucidamente inaccettabili fino al punto di dirigersi verso il blocco dell'attività giudiziaria nel suo ordinario svolgimento.
    Il rischio concreto che stiamo vivendo è quello di un rapido declino della giustizia, che diventerà in tempi brevi quotidiana difficoltà di celebrare i processi ordinari.
    A fronte di ciò non solo non è possibile nessuna rassegnazione, ma dobbiamo onorare fino in fondo gli oneri e le responsabilità che il nostro ruolo istituzionale, che il nostro essere parte di un potere dello Stato, ci impone nei confronti della collettività. E' nei momenti difficili che chi si trova a rivestire responsabilità deve svolgere fino in fondo e con orgoglio il proprio ruolo.
    So bene come sia presente la tentazione di lasciarsi trascinare in una burocratizzazione del ruolo e nel tirare a campare a fronte di continue mortificazioni che toccano tutti gli aspetti del nostro lavoro, dai lati pi propriamente materiali ( le condizioni di lavoro e le stesse retribuzioni, specie dei pi giovani), alla stessa possibilità di lavorare in modo proficuo, al rispetto stesso della funzione.
    Questa tentazione va combattuta senza remore nella consapevolezza del ruolo istituzionale e delle responsabilità che abbiamo per lo Stato e verso la collettività, con la certezza che gli sforzi di oggi ci porteranno a risultati.
    Questo significa in primis continuare a cercare di svolgere al meglio il nostro lavoro quotidiano, senza nessun cedimento, dando una risposta di giustizia a chi la chiede. Dobbiamo continuare a lavorare per obiettivi e per progetti facendoci carico dei problemi del servizio, continuare a batterci in ogni ufficio perch sia organizzato in modo ottimale, sulla base della pari dignità di tutti i magistrati, curare e discutere qualità e contenuti della giurisprudenza puntando ad una crescita collettiva. Ma dobbiamo nel contempo essere capaci di denunciare, con costanza e puntualità e senza alcun timore, le enormi difficoltà di lavorare, l'assenza o l'inidoneità delle strutture o delle risorse che ci vengono messe a disposizione, l'incongruenza e pericolosità di taluni interventi normativi.
    Dobbiamo riuscire a coniugare l'impegno professionale con la capacità di denuncia e di proposta.
    L'errore pi grande sarebbe consentire che lo sfascio della giustizia possa essere alla fine addebitato ai magistrati e agli operatori, ultimo anello della catena.
    Come l'errore pi grande sarebbe quello di consentire al Governo di presentarsi come l'alfiere della riforma contro una magistratura ed una cultura giuridica conservatrice.
    Va detto che è l'esatto contrario: il Governo vuole una controriforma che ci riporta agli anni 50 che non ha nulla di innovativo il cui unico obiettivo è quello di avere una maggiore influenza sulla giurisdizione senza per nulla avere di mira il miglioramento del servizio giudiziario.
    Siamo noi che vogliamo davvero cambiare la giustizia per realizzare appieno la Costituzione, per arrivare a processi rapidi e a garanzie per tutti.
    E su questo vi è già un'ampia elaborazione associativa di anni che proponiamo a tutti con la necessaria umiltà, ma anche con la consapevolezza che essa è il frutto di riflessioni, esperienze, culture di molti. Una vera innovazione della giustizia è possibile e deve muoversi su cinque direttive: formazione (iniziale e permanente) di magistrati e personale amministrativo, assetto territoriale e organizzazione degli uffici, valorizzazione delle attitudini dei singoli, applicazione appropriata delle moderne tecnologie (e in particolare dell'informatica), semplificazione delle procedure con interventi mirati in singoli settori.
    Quello della proposta, della capacità di dimostrarne la bontà e di disvelare i reali intenti, che nulla hanno di riformatore, da parte del governo è l'unico terreno vincente oggi possibile.
    Proposte che oggi si rendono indispensabili non solo a fronte di un tentativo di controriforma, ma anche dalla debolezza delle proposte sinora messe in campo dall'opposizione che paiono spesso pi preoccupate a rincorrere slogan e luoghi comuni sbandierati dall'attuale maggioranza ( la separazione delle carriere, la meritocrazia della carriera, le responsabilità dei magistrati) piuttosto che ad elaborare un progetto alternativo.
    Su questo terreno, delle proposte concrete per realizzare i principi costituzionali, vi è e vi è sempre stata da parte nostra la pi ampia apertura al confronto con tutti i soggetti interessati.
    Ma il confronto non può mai essere confuso con la supina acquiescenza rispetto a condotte inaccettabili.
    Su questo non si potrà avere mai alcuna disponibilità da parte nostra, ma sono certo dell'intera A.N.M..
    I terreni che spesso hanno trovato ascolto anche in magistratura del conservatorismo culturale e del corporativismo oggi pi che mai sono impraticabili e perdenti.
    Il corporativismo non tutela nessuno e tanto meno la giurisdizione, è ispirato da una logica miope e tale da portare alla rovina la magistratura in tempi rapidi. E' sulla capacità di innovazione e di cambiare anche tra di noi le cose che non vanno che oggi ci troviamo a confrontarci. Se si vuole difendere e rafforzare l'indipendenza occorre avere il coraggio di dimostrare nei fatti come la stessa si possa coniugare perfettamente con l'ordinato funzionamento e con la resa del servizio. Occorre dimostrare nella quotidiana esperienza del Governo autonomo della magistratura come è nel concreto praticabile una via diversa che valorizzi il pluralismo senza lottizzazione, l'unità senza consociativismi, l'attenzione ad ogni singolo magistrato senza favoritismi. Su questo terreno dobbiamo lavorare ed aiutare il C.S.M. a fare un salto di qualità, anche perch di un Consiglio credibile ed autorevole abbiamo oggi pi che mai bisogno.
    Proprio la drammaticità del momento impone scelte coraggiose.
    Il rifiuto di arroccamenti ci ha portato ad individuare sin dalla sua impostazione alcuni punti specifici su cui dobbiamo fare passi in avanti e su cui chiediamo a tutti uno sforzo di riflessione: l'insufficienza dell'intervento della magistratura in troppi settori sensibili (come in materia di ambiente di vita, di lavoro e di tutela del territorio), l'approfondimento delle questioni relative alle condizioni giuridiche dei migranti aperte in particolare dalla legge Bossi Fini, i mutamenti genetici dei fenomeni corruttivi e della questione criminale mafiosa e l'effettività dei processi in questi campi, il ruolo ed il futuro della magistratura onoraria, i rapporti con l'avvocatura e la stessa possibilità di rilanciare momenti di incontro ed elaborazione culturale come giuristi.
    Su alcuni di questi punti abbiamo anche previsto sessioni tematiche nella giornata di sabato.
    Sempre il rifiuto di arroccamenti ci ha portato a pensare un congresso quanto mai aperto. La scelta, l'originalità, la ragione stessa di Magistratura democratica stanno nel suo essere aperta al confronto con l'esterno, nella convinzione che una giurisdizione adeguata ai bisogni della società deve necessariamente alimentarsi del confronto con i portatori di questi bisogni. Abbiamo invitato esponenti della società civile, del mondo del lavoro, della cultura giuridica, dell'avvocatura, della politica di provenienze ed esperienze diverse e pi varie ed abbiamo avuto un ampio riscontro di disponibilità e attenzione, di cui vogliamo davvero ringraziare tutti. E' nostra convinzione che solo la capacità di capire il punto di vista degli altri, l'intersecarsi di esperienze, culture ed idee diverse possa davvero arricchirci vicendevolmente e darci un contributo che di porterà, ne siamo convinti, a risultati preziosi.
    I nostri interlocutori pi immediati sono coloro che come noi operano nella giustizia: gli avvocati, i magistrati onorari, gli operatori e dirigenti amministrativi,i professori universitari.
    Siamo convinti che con loro sia possibile un dialogo fecondo incoraggiato dai fermenti, dalle novità e dalla crescita in atto in tutti questi settori. Non ci nascondiamo le difficoltà e le divergenze che esistono ma la nostra convinzione è che a fronte di scelte che vanno verso la decadenza della giustizia sono possibili forme concrete di collaborazione, anche superando incomprensioni e differenze. E' sulle idee e sulle opzioni culturali che un'unità è possibile e su questa base pensiamo debba partire una nuova stagione di collaborazione e di unità di intenti. Il pericolo di una rapida decadenza della giustizia è oggi reale ed evitarlo deve diventare responsabilità ed impegno di tutti noi, proprio perch operatori di questo settore. Dobbiamo individuare i punti essenziali che crediamo oggi indispensabili e su questo terreno far partire una forte iniziativa comune fatta di denuncie, di richieste e di proposte concrete con la capacità di fornire contributi tecnici e di confrontarsi con chiunque sia davvero disponibile.
    Abbiamo invece scelto, con una decisione sofferta e con pochi precedenti, di non invitare il Ministro della Giustizia. Una cosa sono le opinioni diverse, utili ad un confronto verso un obiettivo comune, altra è l'inquietante franchezza del suo ultimo intervento al CSM, altra ancora sono le false assicurazioni date al Congresso dell'ANM che dimostrano lo scarsissimo livello di sensibilità verso le esigenze reali della giustizia e l'indifferenza verso i valori fondanti della giurisdizione. Del resto la bontà di questa decisione è stata confermata dalla recentissima iniziativa del Ministro che con scarso senso istituzionale ha annunciato via etere la sua decisione di promuovere l'azione disciplinare contro magistrati, rei a suo dire di essere al centro di intrecci tra magistrati e politica. Iniziativa demagogica, perch i fatti sinora emersi riguardano comportamenti trasparenti di espressione delle proprie opinioni con le parole, con la scrittura o attraverso la partecipazione a manifestazioni e non presunti intrecci - che sarebbero inammissibili - tra ambienti politico partitici e magistrati.
    Iniziativa pericolosa perch mira ad avvalorare l'idea del magistrato come cittadino dimezzato che può ( forse) pensare, ma non esprimere liberamente le proprie idee, non interloquire neppure sulle iniziative che riguardano il proprio lavoro, neppure portare quell'indispensabile contributo di sapere e di esperienza, patrimonio di ogni professione intellettuale.

    A fronte della difficoltà della situazione vi sono però motivi che ci dimostrano come abbiamo solidi argomenti e grandi e motivate speranze.

    La Costituzione della Repubblica, anzitutto, che resta la nostra legge fondamentale e che mantiene intatta, a oltre 50 anni dalla promulgazione, il suo potenziale di coesione sociale e di innovazione sociale. La Costituzione della Repubblica rimane per noi stella polare di orientamento.

    In secondo luogo la forza della giurisdizione: si può cercare di comprimere la giurisdizione, di restringere gli spazi interpretativi, ma la direzione in atto a livello internazionale è esattamente opposta. La giurisdizione è sempre pi (secondo una tendenza non solo italiana) arbitro o risolutore di questioni fondamentali: la tutela della legalità nel settore dell'economia, della finanza e della pubblica amministrazione; la repressione della criminalità organizzata; la tutela - penale e civile - contro le violazioni dei diritti umani; il riconoscimento dei nuovi diritti della persona nei pi vari settori (dalla tutela individuale e collettiva dei consumatori a quella del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, dai rapporti familiari di fatto ai conflitti in materia di bioetica), ecc. Il crescente rilievo della giustizia nella vita collettiva è uno dei fatti politici pi significativi delle democrazie occidentali in questa fase storica e non è un fenomeno congiunturale, n legato ad una situazione nazionale. Questa influenza deriva dall'incapacità delle istanze politiche tradizionali di dare risposta alla domanda di garantire i diritti e le tutele che, crescenti, provengono dalla società e rappresenta una risposta ai deficit della democrazia rappresentativa. E lo spazio che le Corti in tutto il mondo hanno guadagnato è un portato ineliminabile dell'evoluzione sociale.

    Il processo di costruzione europea, processo che influirà sempre maggiormente sulle nazioni e sulle vite dei comuni cittadini. La nuova Costituzione e le nuove codificazioni cambieranno radicalmente tutti i parametri ed i giudici saranno chiamati in prima persona a costruire l'Europa ed il suo diritto con una nuova entusiasmante stagione di reinterpretazione dei diritti nazionali alla luce di un nuovo ordinamento, tutto da realizzare.

    L'unità e la compattezza dimostrata in questo ultimo anno dalla magistratura italiana, la sua capacità di resistenza e di mobilitazione, con una dignità ed un orgoglio che hanno ridato fiato e forza ad una Associazione nazionale magistrati in cui sempre pi ci riconosciamo pienamente.

    La conferma di questa analisi viene anche dalla vitalità dimostrata, in questi ultimi tempi, dalla società civile e dallo svilupparsi inedito di forme variegate di movimenti e di associazioni che manifestano grande attenzione sui temi dei diritti e della giustizia offrono preziosi contributi ed occasioni senza precedenti di confronto.

    Tutti segnali che non sono limitati e che dobbiamo essere in grado di cogliere fino in fondo.

22 01 2003
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