Magistrati, avvocati, giuristi: la necessità di un’alleanza

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E’ un dato della comune esperienza che il livello di efficienza giudiziaria abbia un riflesso diretto e immediato sulla effettività della tutela dei diritti dei cittadini, tema centrale del XIV Congresso di Magistratura Democratica.
Tale pesante condizionamento si riflette, ovviamente, anche sulla autonomia e indipendenza della magistratura, valori che interessano i dirigenti amministrativi, sia come cittadini sia come professionisti interni al sistema giustizia.
Nell’attuale fase, da pi parti è stata richiamata questa correlazione, tra gli altri dal Vicepresidente del CSM Rognoni (nel Congresso ed alla inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, il 18 gennaio 2003).
La sessione del congresso dedicata al tema “MD, l’avvocatura e la cultura giuridica” si richiama espressamente alla sezione IX della relazione introduttiva di Claudio Castelli, ma non appare azzardato riferirsi, nella presente sede, anche ai contenuti della sezione VII, “MD, la giurisdizione e il servizio giustizia” .
Le alleanze che MD propone tra magistrati avvocati e giuristi non sono certamente pensate come fini a se stesse. Possono, piuttosto, essere orientate a due obiettivi essenziali:
da un lato, la tutela dei diritti, argomento principale del congresso; in ciò consiste il piano dell’affermazione dei principi e della giurisdizione come funzione istituzionale;
dall’altro, il miglioramento dell’efficienza dei servizi, che renda effettiva la tutela giudiziaria; è il piano della attuazione concreta dei suddetti principi in sede giudiziaria.
In assenza di altre iniziative efficaci (attese soprattutto da parte dei soggetti istituzionalmente preposti ad attivarsi, conformemente all’art. 110 Cost.), la cooperazione dei diversi attori coinvolti nella “produzione” del servizio giustizia appare come uno dei possibili strumenti per restituire maggiore efficienza all’attività giudiziaria.
A tale approccio si ricollega il ruolo che possono svolgere i dirigenti amministrativi, che non appartengono alle categorie professionali espressamente richiamate dal titolo della sessione.
Da “giuristi”, per formazione di provenienza, per tipologia di selezione e impostazione delle precedenti funzioni, i dirigenti si sono trasformati in esperti di organizzazione (o almeno questa è la tendenza del sistema pubblico attuale ed anche la volontà della categoria), venendo così a costituire una professionalità del tutto nuova, specialmente all’interno del sistema giustizia.
Ciò è pienamente giustificato dalla complessità dell’organizzazione dei pubblici uffici e dai nuovi orientamenti nella direzione dei servizi pubblici (orientamenti che, faticosamente, si fanno strada in tutta l’amministrazione italiana), secondo i quali occorre cooperare e collegarsi a tutte le diverse componenti sociali del servizio, inclusa l’utenza.
In tale ottica, l’analisi di Claudio Castelli, correttamente, ad avviso di chi scrive, si ferma agli aspetti organizzativi che riguardano pi strettamente la magistratura, quasi ad esprimere la consapevolezza che ad altre categorie del mondo giudiziario si possano affidare aspetti immediatamente gestionali (risorse umane e materiali, informatica, contabilità, statistica, etc.).
Su tale piano organizzativo, infatti, sono pi direttamente impegnati i dirigenti amministrativi, anche se a tutt’oggi non hanno avuto assegnata una sfera di competenze predeterminate e da esercitare autonomamente.
La mancata esplicitazione di un riparto di competenze tra magistrato capo dell’ufficio e dirigente amministrativo provoca uno scompenso tra titolarità della gestione e responsabilità, rendendo, tra l’altro, astratto, allo stato, il sistema di valutazione pensato per i dirigenti amministrativi, nonch privo di integrazione con il sistema di valutazione dell’attività dei magistrati.
Di seguito si fa cenno ad alcune questioni essenziali, che hanno sullo sfondo problemi organizzativi, sui quali la cooperazione tra magistrati, avvocati, giuristi e dirigenti dell’Amministrazione può contribuire al miglioramento delle attuali condizioni della gestione del servizio giustizia (in termini di macroanalisi, nella impossibilità di un approfondimento in questa sede).
La formazione congiunta: con Giuliana Civinini, ora componente del Consiglio Superiore della Magistratura, così come in passato con Carlo Verardi, si è spesso dialogato sulla formazione congiunta. Coerentemente con il tema di questa sessione, si possono richiamare almeno due prospettive:

  • la formazione congiunta rivolta a Capi degli Uffici e Dirigenti amministrativi, per la costruzione di comuni linguaggi direzionali. Sul presupposto che occorrerà riservare specifiche e distinte competenze direzionali ai dirigenti amministrativi (si rinvia al mai attuato “Accordo La Greca” del gennaio ’97), si dovrà cercare di favorire la massima armonizzazione dei diversi ruoli, anche attraverso una cultura organizzativa specifica per la giustizia (in parte ancora da costruire). Il linguaggio è definibile quale uno degli elementi distintivi e fondanti di una cultura. In questo senso, la Direzione Generale per l’informatica ha da sempre messo in pratica tale metodo: dirigenti informatici e magistrati referenti per l’informatica sono periodicamente coinvolti in incontri formativi e di scambio sulle questioni di maggiore rilevanza o attualità, spesso organizzati in stretta collaborazione con il CSM (talvolta anche con invito esteso ai capi degli uffici a livello nazionale);
  • la formazione congiunta rivolta a magistrati, amministrativi ed avvocati su specifiche aree di conoscenza giuridica ed organizzativa, che abbiano la caratteristica di costituire problematiche nuove e in parte condivise; si pensi, ad esempio, alle molte novità introdotte dal testo unico sulle spese di giustizia, o, ancora, ai sistemi informatici pi complessi – processo telematico - (ma lo stesso può valere per altri temi ordinamentali, che coinvolgano tutte le categorie). In alcune zone del territorio nazionale (Triveneto) si stanno attivando le Università e gli Ordini degli Avvocati per proporre iniziative in tale direzione; sarebbe interessante che si sperimentassero analoghe forme di cooperazione anche con la partecipazione del CSM e del Ministero.


Gli Osservatori sulla Giustizia:
possono costituire luoghi di discussione, di ricerca e di crescita tra le diverse componenti che concorrono al servizio giustizia. Gli Osservatori sulla Giustizia Civile hanno dato prova di notevole capacità propositiva su temi specifici, ponendo in sinergia le varie professionalità giudiziarie, incluso il mondo accademico, e valorizzando tutti gli apporti.
La consapevolezza di potere contribuire utilmente al miglioramento dei servizi (o quantomeno ad una seria analisi sulle sue carenze attuali) motiva ad un pi forte impegno e induce ciascuno a cercare di svolgere un ruolo efficace, nella specificità delle proprie competenze. Dalle Associazioni del personale giudiziario possono certamente giungere nuovi apporti.
L’ufficio del giudice, vale a dire attuazione delle "posizioni organizzative", tra le quali n. 1.200 "lavoratori cui sia affidato il compito di provvedere, secondo le indicazioni del magistrato, a raccogliere la pertinente documentazione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale per lo studio delle questioni sottoposte al suo esame, ovvero di predisporre, a sua richiesta, schemi di provvedimenti giurisdizionali aventi carattere di semplicità e ripetitività, da destinare prioritariamente alla giustizia del lavoro, alla volontaria giurisdizione, al settore fallimentare" : se ne parla in questa sede, poich tutte le categorie di professionisti della giustizia mostrano di riporre grande fiducia nella istituzione di tali figure.
Il potenziale innovativo della proposta professionalità è indubbio, ma devono essere studiati con molta cura gli elementi distintivi della qualificazione della stessa: requisiti culturali e motivazionali posseduti, competenze da svolgere; reclutamento che tenga conto del curriculum o, come si direbbe in termini aziendali, rigorosa "valutazione del potenziale".
Si fa, inoltre, osservare che non possa essere questo l’unico intervento organizzativo sul quale puntare; sembra piuttosto preferibile ricercare un approccio sistemico ai problemi, che coniughi l’istituzione dell’ufficio del giudice con altre iniziative: revisione delle sedi giudiziarie, della loro dislocazione e competenza territoriale, attuazione della riqualificazione, investimenti adeguati nella formazione e nell’informatica, potenziamento dei profili specialistici - statistici, formatori, informatici, analisti di organizzazione, contabili, etc.
La valutazione di produttività:
forse, è poco noto che i dirigenti amministrativi vi sono già soggetti, sia pure in forma sperimentale, come previsto da una normativa che, molto opportunamente, spinge sempre pi le pubbliche amministrazioni verso l’adozione di strumenti di controllo di gestione (decr. leg.vo 286/99). Sotto tale profilo, recentemente si è, forse, perduta una occasione.
Anche per la magistratura sono state messe a punto delle metodiche per avviare un simile processo, inevitabile, perch anche il lavoro giurisdizionale entra nella costruzione complessiva del servizio e presenta aspetti quantitativi (e misurabili).
Dalle notizie di stampa (poich dettagli sulla metodologia definita per i magistrati non sono stati resi noti), sembra che il sistema tenga conto di condizioni oggettive (il grado di efficienza degli uffici, le situazioni di carico di lavoro, di organico, etc.).
Ad evitare conclusioni stridenti o incoerenti, sarebbe stato opportuno integrare i due distinti modelli di valutazione - quello per la dirigenza amministrativa e quello per la magistratura - , pur lasciando, ben inteso, in evidenza i singoli contributi e le personali responsabilità, nella differenza e autonomia di ciascun ruolo e apporto.
Inoltre, non è dato di sapere se per i magistrati sia prevista una rilevazione del grado di soddisfazione degli utenti avvocati, ciò che invece accade per i dirigenti.
Questo coinvolgimento degli utenti, assolutamente corretto sul piano teorico (l’avvocatura rappresenta la massima parte dell’utenza degli uffici giudiziari, e, altresì, un’utenza specializzata, certamente in grado di apprezzare nel merito la qualità del servizio giustizia reso), così impostato, per i dirigenti rischia di essere poco congruente, mentre, inserito in un quadro pi armonico ed integrato di valutazione complessiva della produttività e della qualità dei servizi resi dall’ufficio, avrebbe reso maggiormente obiettive le valutazioni e spostato il focus dai soggetti all’organizzazione e alle condizioni di fatto esistenti, permettendo di evidenziare meglio le situazioni di efficienza (a parità di percentuale di scopertura di organico, di carenze strutturali, etc., vi sarà comunque chi riesca ad esprimere un livello pi elevato di risposta alla domanda dell’utenza), così come quelle caratterizzate dalla necessità di interventi strutturali urgenti.

Sono soltanto alcune delle numerose questioni sulle quali un apporto sinergico delle diverse categorie di operatori del mondo giudiziario potrebbe dare un forte impulso al miglioramento della qualità e allo sviluppo di proficue collaborazioni e sono temi sui quali occorre approfondire l’analisi.

24 01 2003
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