Md, la forza, il diritto

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E', il mio, l’ultimo intervento, ma non svolgerò conclusioni (non previste dalla statuto e che spetterebbero, caso mai, al segretario), bensì solo poche osservazioni sparse su alcune tematiche che hanno attraversato i lavori congressuali.

1. E' stato un congresso intenso e estremamente partecipato, con punte di presenze superiori a cinquecento, nel quale si sono susseguiti novanta interventi (a cui vanno aggiunti quelli che si svolgeranno nelle sessioni pomeridiane). Ed è stato, come sempre, un congresso interamente pubblico, trasmesso in toto da Radio radicale (e registrato, questa volta, anche dalla Rai), seguito con grande attenzione dai media e, in sala, da esponenti della società, della cultura, della politica (alcuni dei quali ci hanno anche portato il loro contributo di analisi e di critica). Perch ricordarlo e sottolinearlo? Non certo per un trionfalismo che non mi appartiene e non ci appartiene. Ma perch dovevamo una risposta. All’inizio dell’estate un potente uomo politico, l’on. Previti, ci rivolse (rivolse a me, in qualità di presidente di Md) la singolare richiesta di avere l’elenco degli aderenti a Magistratura democratica: voleva accertare – così scriveva nella richiesta - se vi fossero, tra essi, magistrati preposti a processi a suo carico per verificarne, nel caso, «gli orientamenti politici o ideologici, manifestati attraverso l’adesione alla corrente», idonei a incidere sulle loro «condizioni di imparzialità, terzietà, serenità e distacco». Non ebbi bisogno di consultarmi con alcuno per rispondere con un netto rifiuto, accompagnato dalla denuncia dell’attacco gravissimo portato, con tale iniziativa (non a caso priva di precedenti se non in epoca fascista), all’associazionismo dei magistrati e ai pi elementari principi di libertà. Ma fu, quella, solo la prima parte della risposta. La seconda ancora la dovevamo: l’ha data, all’on. Previti e a chi ha parlato di Md come «associazione segreta», questo congresso. Magistratura democratica è qui, non si nasconde, ragiona e dibatte sotto i riflettori, ha come metodo di azione la trasparenza pi assoluta; semplicemente non accetta, per s e per la magistratura nel suo insieme, intimidazioni e prevaricazioni. E così continuerà, anche per contribuire a evitare, a garanzia dei cittadini, il rischio del riproporsi di stagioni come quella dell’età di Commodo in cui, secondo E. Gibbon (Declino e caduta dell’impero romano, ed. it., Mondadori, Milano, 2000, p.92) «l’attuazione delle leggi era venale e arbitraria» e addirittura «un criminale benestante non solo poteva ottenere l’annullamento di una giusta sentenza di condanna, ma anche infliggere all’accusatore, ai testimoni e al giudice la punizione che pi gli piacesse».

2. Credo anch’io, come molti altri, che il binomio cui fa riferimento il titolo di questo congresso (la forza e il diritto o i diritti) colga aspetti importanti della realtà che ci circonda: il binomio, peraltro, pi della correlazione, ch la questione del nostro tempo è il conflitto tra la forza e i diritti, assai pi che la capacità (la forza) di questi ultimi di affermarsi, quasi in un automatico cammino di progresso per tutti... Ma se questa è, non solo a livello nazionale, la realtà, il primo compito che attende Magistratura democratica (anzi, la ragione fondamentale della sua esistenza) è di schierarsi nel conflitto, come intellettuale collettivo, in favore dei diritti (con la specificità che le deriva dall’essere, anzitutto, una aggregazione di giuristi). Non è certo una novità: l’elemento pi innovativo della comparsa di Md, a metà degli anni sessanta, sulla scena istituzionale fu proprio la rottura della precedente separatezza (in realtà a senso unico) della magistratura, l’appassionato impegno civile in favore della uguaglianza e dei diritti (in altri termini, della Costituzione presa sul serio). Evidenti e moltiplicati sono gli impegni che ci attendono al riguardo: la guerra, gratificata di attributi tesi a renderla pi accettabile ma immutata nei suoi orrori e nella sua ingiustizia, riscrive al ribasso il catalogo dei diritti e delle garanzie (spegnendo, insieme alle vite delle vittime, il diritto internazionale e vulnerando sensibilmente il diritto interno di molti paesi); il controllo ossessivo dei migranti apre la strada a forme di detenzione senza reato (che sembrano riaffacciarsi anche nei settori della sofferenza psichiatrica e della tossicodipendenza); il lavoro perde la connotazione di diritto per tornare ad essere merce utilizzabile secondo i bisogni dell’economia; e via seguitando. E' in questo contesto di attacco generalizzato ai diritti si colloca la «questione magistratura»: non problema tecnico o corporativo (pur nobile), ma problema riguardante i custodi dei diritti. Di fronte a ciò il silenzio (o, come taluno ama dire, un maggior self restraint) sarebbe resa o cedimento. Al contrario, in tutti i casi il cui la forza prevale sul diritto (anche per cause interne alla giurisdizione), l’opera di denuncia di Md resta fondamentale e irrinunciabile: è il compito di «guardianaggio» a cui, in un seminario di dieci anni fa dedicato a «giudici e democrazia», ci richiamava Pino Borrè. Qualcuno, anche in questo congresso (penso, in particolare, a Giovanni Palombarini), ha lamentato che non lo abbiamo fatto abbastanza: è possibile, e se debolezze e ritardi abbiamo avuto, spetterà al nuovo gruppo dirigente colmarli. Ma la strada ci è chiara (e lo dimostra anche la presenza forte nel settore nevralgico dell’immigrazione, realizzata con l’attività del relativo gruppo di lavoro, coordinato con passione e intelligenza da Angelo Caputo, sia con la promozione, insieme all’Asgi, di una rivista come Diritto, immigrazione e cittadinanza, diventata ormai punto di riferimento per gli operatori del settore).

3. Una seconda coniugazione dei termini forza e diritti rinvia alla efficacia espansiva di questi ultimi, se inverati e tutelati. Questo inveramento e questa tutela sono, evidentemente, compito di tutti i magistrati, ma, ancora una volta, compete a Md, come intellettuale collettivo, segnalarlo e sottolinearlo. Sappiamo bene – lo abbiamo detto e scritto decine di volte – che la giurisdizione non è in grado, per natura, di risolvere stabilmente le patologie del sistema; che l’intervento giudiziario può/deve riconoscere e rimuovere ingiustizie e illegalità in atto, ma che il motore e la garanzia prima del "vivere giusto" stanno in azioni e provvedimenti estranei alle aule di giustizia; che la legalità senza politica si riduce, alla fine, a conservazione dell’esistente. Ma sappiamo anche che ogni diritto violato e non tutelato arresta il cammino verso una società giusta (conforme al modello costituzionale) mentre ogni diritto affermato e difeso aiuta questo cammino. Stanno in questa consapevolezza le ragioni della nostra attenzione critica ai contenuti della giurisprudenza e alla organizzazione della giurisdizione e del nostro impegno per l’effettività del servizio giustizia. La stella polare di questo settore di impegno è stata tracciata da Luigi Ferrajoli con straordinaria efficacia: ogni volta che un giudice commette un abuso, ogni volta che esercita in maniera arbitraria le sue funzioni, ogni volta che viola i diritti di un cittadino, egli attenta all’indipendenza della magistratura. Il futuro della giurisdizione dipende dal senso comune che intorno ad essa si formerà nella opinione pubblica e quel senso comune sarà determinato anche da noi magistrati, cioè dal ruolo di garanzia che di fatto sapremo esercitare a tutela dei diritti dei cittadini.

4. E' per far questo, per essere culturalmente presenti sulla scena dell’analisi e della denuncia e per essere in grado di portare nel quotidiano della giurisdizione il punto di vista esterno, che i nostri congressi (e la nostra attività in genere) sono pubblici e aperti a contributi estranei alla corporazione (siano essi di giuristi, di politici, di espressioni diverse della società e della cultura). Non abbiamo – si tranquillizzino i nostri critici - velleità di proporci come “soggetto politico” e della nostra totale autonomia (anche culturale) da ogni articolazione partitica della sinistra fa fede la nostra storia. Ma, da un lato, vogliamo essere veicolo di comunicazione alla società dei segnali che vengono dal giudiziario e, dall’altro, vogliamo ascoltare (ascoltare analisi, critiche, proposte, sollecitazioni con cui interagire). E' questa, all’evidenza, la logica che guida le sessioni di lavoro che concluderanno i lavori congressuali.

5. Le nostre direttrici, le nostre stelle polari sono, dunque, chiare. Ma, all’esterno, le nubi si addensano, i diritti di tutti sono minacciati, l’indipendenza della magistratura è in pericolo, gli attacchi a Magistratura democratica si moltiplicano (sappiamo tutti che la Commissione parlamentare di inchiesta su Tangentopoli che la maggioranza si propone di istituire null’altro sarebbe che un luogo per un processo a Md). Lo sappiamo, e siamo consapevoli che ci aspettano anni duri e difficili. Non solo, ma sappiamo anche che le nostre forze sono modeste e che lo stesso ruolo di magistrati ci impone doverosi limiti nella nostra azione culturale. Ma non per questo saremo meno determinati. Anzitutto non lo saremo per dignità (se il ministro della giustizia pensa di intimorirci con azioni disciplinari o di blandirci con aperture sul piano economico, non rispondiamo, senza iattanza ma con fermezza, che non conosce Md). E poi non lo saremo perch siamo convinti (irriducibilmente convinti) che contrapporre alla forza il diritto e la ragione può essere, alla lunga, vincente, e che, in ogni caso, le sole battaglie perse sono quelle non combattute (mi si perdoni l’espressioni bellica).
Questo congresso ha mostrato una Md coesa, sensibile, attenta, equilibrata, forte, in cui, a fianco della vecchia guardia si affiancano giovani appassionati e intelligenti, capaci di cogliere l’insegnamento dei nostri maestri (da Marco Ramat a Pino Borrè) i quali ci hanno insegnato che vale spendersi per un lavoro collettivo assai pi che per, pur legittime, ambizioni individuali. E' questa una ragione, non solo volontaristica, di speranza.

6. Non posso, in conclusione, evitare un riferimento personale. I congressi servono anche a rinnovare il gruppo dirigente e io, di questo gruppo, faccio parte ormai da molto (troppo) tempo. La mia prima partecipazione all’esecutivo risale addirittura al secondo congresso (Napoli, 1975) e da oltre dieci anni, ormai, ne sono partecipe quasi senza interruzione (come segretario prima e come presidente poi). E' una parte importante e prolungata della mia stessa vita. Credo sia venuto il tempo di passare la mano, nello spirito del nostro saggio statuto, che prevede – seppur solo per il segretario e l’esecutivo – cariche a termine. Perch ogni associazione, e Md tra queste, deve essere capace di rinnovarsi. A questo obiettivo ho lavorato e lavorerò, comunque, nel futuro prossimo. In quale ruolo non sta a me dire. Ci aspettano – già l’ho ricordato – momenti difficili, e nei momenti difficili non ci si tira indietro. Dunque non lo farò, se il gruppo ritiene che la mia presenza sia ancora utile (non foss’altro come parafulmine), ma l’obiettivo di favorire un rinnovamento reale e ravvicinato resta per me fermo e politicamente centrale.

24 01 2003
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