Denunciarne uno per intimidire tutti

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La vivace contestazione a Berlusconi nei corridoi del tribunale di Milano e la reazione del presidente del consiglio costituiscono esempi paradigmatici di quel che ormai da due anni sta accadendo in Italia: l'intimidazione contro il dissenso e l'invasione di spazi istituzionali non suoi da parte d'un potere esecutivo sempre pi arrogante.
Quella preannunciata da Palazzo Chigi è solo l'ultima, in ordine di tempo, delle numerose querele che esponenti dell'attuale maggioranza hanno proposto contro chiunque avesse l'ardire di criticarli.
Testate di vario orientamento hanno spesso posto il problema, giacch i giornalisti sono in prima linea nell'essere destinatari di querele o citazioni per danni. Ma il rischio riguarda tutti, nessuno escluso.
L'allarme deve levarsi alto e forte: queste querele stanno diventando la corda alla quale si impicca la democrazia italiana.
Infatti, il presidente del consiglio ed i suoi sodali hanno mezzi di informazione, disponibilità economiche e pattuglie di avvocati in quantità tali da poter disinvoltamente querelare ogni giorno centinaia di persone, mentre il singolo cittadino ha scarse risorse ed ancor meno tempo da dedicare alle proprie cause. Dunque, potrà anche vincerle, ma pagando un prezzo - in termini di impegno personale e di spese legali - che lo disincentiverà dall'aprire bocca la prossima volta. E' proprio su questo che conta la maggioranza di governo.
Già solo il buon gusto avrebbe dovuto indurre il presidente del consiglio a non abusare ulteriormente dell'enorme sproporzione di forze di cui gode. Ma il suo contegno è politicamente ancor pi inaccettabile, in quanto il cittadino che, forte della sua sola voce (e non d'un impero mediatico, politico e finanziario), ricorda al "principe" che anche lui deve obbedienza alla legge, esercita il pi prezioso dei diritti costituzionali: quello alla libera espressione del dissenso, ch tale - e non altro - è il nucleo essenziale del diritto alla libera manifestazione del pensiero.
Esso non consiste nella libertà di discutere pubblicamente di arte, letteratura, estetica, sport, moda ecc., n nel diritto di applaudire i potenti (non c'è mai stato bisogno di riconoscerlo in alcuna Carta costituzionale, tutti i potenti della storia lo hanno benevolmente dato per pacifico e - anzi - ne hanno sollecitato l'esercizio), ma nel diritto di protestare contro il governo.
Certamente anche il diritto al dissenso incontra il limite dell'onore e della reputazione altrui, ma "nel bilanciamento tra due beni costituzionalmente protetti, il diritto di critica e quello alla dignità personale, occorre dare la prevalenza alla libertà di parola, senza la quale la dialettica democratica non potrebbe realizzarsi." L'ha sancito circa 25 anni or sono la Suprema Corte di cassazione (sentenza 2.10.78 n. 11842, ud. 24.4.78). Anche a quell'epoca era infestata da golpisti in toga rossa?
Per di pi, ammonire un governante, persino con modi bruschi o polemici, affinch rispetti il principio di uguaglianza davanti alle legge stabilito in Costituzione e riportato in caratteri d'oro in tutti i tribunali italiani (almeno finch il ministro leghista non riuscirà a togliere fisicamente la scritta) non può certamente offendere chi non abbia mai cercato di sottrarre al processo se stesso od i propri amici.
Ci rendiamo conto in che baratro siamo caduti, ora che dire in tribunale che la legge è uguale per tutti costituisce atto di lesa maestà?
Ancora una volta Berlusconi è venuto meno ad uno dei suoi fondamentali doveri di presidente del consiglio, quello di tutelare - e non di conculcare - i diritti costituzionali di tutti i cittadini, anche di quelli che non la pensano come lui.
Da non tralasciare l'ennesima invasione di campo ai danni del potere giudiziario realizzata nel momento in cui, nei corridoi del tribunale di Milano, Berlusconi ha ordinato un atto di polizia giudiziaria - fermare ed identificare la persona da cui si riteneva ingiuriato - sebbene tale potere competesse non a lui, ma all'autorità giudiziaria (art. 109 della Costituzione), così come spetta all'autorità giudiziaria - e non al presidente del consiglio - disporre delle forze di polizia per mantenere l'ordine pubblico nelle aule d'udienza e all'interno dei palazzi di giustizia.
Dettagli irrilevanti? Mera questione di stile? Peccato veniale? Non credo: lo Stato di diritto vive di forme, di procedure, di separazione fra i diversi poteri. In una parola, si regge sul primato della legge e non sul principio di autorità.
La differenza tra democrazia e tirannide è tutta qui. Mobilitarsi senza ulteriore indugio è la parola d'ordine di chi a cuore la libertà e la difesa dei principi costituzionali.

da "L'Unità" del 7 maggio 2003

09 05 2003
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