Vicini al referendum sull'art. 18 dello Statuto dei lavoratori

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Magistratura Democratica manifesta la sua forte preoccupazione per la
politica governativa in materia di lavoro, che, attraverso un serie di interventi legislativi (da ultimo la legge delega n. 30/2003), tende a
ridurre le garanzie dei lavoratori, attraverso la sempre maggiore
precarizzazione dei rapporti, la preferenza per l'autonomia individuale a
scapito della protezione costituita dalla contrattazione nazionale e dalle
norme inderogabili di legge e la marginalizzazione della giurisdizione del
lavoro, e a mettere in discussione quindi la stessa ragion d'essere del
diritto del lavoro.

Uno dei bersagli pi importanti della controriforma del diritto del lavoro
è stato nell'anno passato l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (reintegrazione nel posto di
lavoro nel caso di licenziamento illegittimo), e cioè la norma che ha
rappresentato una delle riforme fondamentali di democratizzazione della
società italiana, sottraendo milioni di lavoratori al ricatto della perdita
del posto e consentendo quindi l'effettiva esplicazione dei diritti del
lavoro, altrimenti di fatto spesso non esercitati e compressi. Infatti,
prima della sua introduzione erano pochissime le cause proposte nel corso
del rapporto di lavoro e lo stesso avviene ancora oggi per le imprese fino
a 15 dipendenti. Infatti, il lavoratore durante il rapporto, senza lo scudo
dell'art. 18, non faceva valere i propri diritti, n individuali nè
collettivi, per il timore di essere licenziato ed era quindi soggetto a
qualsiasi abuso da parte del datore di lavoro (analogamente a quanto
avviene nei rapporti precari, come il rapporto a termine, e per i
collaboratori economicamente dipendenti). La norma consente quindi
leffettivo esercizio dei diritti del lavoro, senza paura di eccessive
ritorsioni, ed ha quindi una portata generale, ben pi ampia di quella che
si vuol far credere.

Il progetto governativo di modifica della norma nella nuova formulazione
contenuta nel "Patto per l'Italia (se ne sta discutendo in parlamento),
prevede una deroga all'applicazione della norma (mancato computo dei nuovi
assunti nel triennio ai fini dei limiti numerici), che è solo
apparentemente sperimentale e temporanea, ma che comporterebbe in realtà
effetti per molti anni a venire per le imprese che la utilizzeranno, e
costituisce quindi un pesante attacco ai diritti del lavoro e ai principi
costituzionali di tutela dei lavoratori, perch consente anche ad imprese
di grandi dimensioni la libera recidibilità.

Come è noto, nel 2002 in difesa dell'art. 18 si è schierata una gran massa
di lavoratori e cittadini, al di là degli steccati della Cgil e dei partiti
di sinistra, e quindi una vasta e compatta opposizione della società civile
alle riforme annunciate.

L'iniziativa referendaria di estensione del'art. 18 a tutti i lavoratori
anche nelle imprese sotto i sedici dipendenti, è stata avanzata nel periodo
pi caldo delle manifestazioni contro la volontà di ridurne la portata.

Md non condivide lo strumento referendario con riguardo ad un tema che mal
si presta ad una risposta secca per il si e per il no, essendo pi
ragionevoli e giuste scelte intermedie di modulazione delle tutele.

Md rileva, tuttavia, che l'iniziativa pone all'attenzione dell'opinione
pubblica un problema reale di tutele inadeguate, come è del tutto
inadeguata, ed anzi ancora minore, l'attuale tutela dei c.d. cococo
(collaboratori coordinati e continuativi). Infatti il limite numerico dei
15 lavoratori per l'applicazione della norma appare ormai superata dalle
modifiche intervenute nel mondo del lavoro, poich, per effetto dei
processi di automazione e per la diffusione del decentramento produttivo,
tale numero non indica pi il limite delle piccole imprese personali o
artigianali, per le quali era stata ritenuta inopportuna la forzata
reintegrazione nel posto di lavoro, essendo ormai diffusissime le imprese
con pochi dipendenti ma di rilevante dimensione economica e di mercato.
Inoltre la tutela riservata agli ormai numerosissimi dipendenti delle
imprese sotto la soglia indicata è davvero irrisoria, ponendosi fra l'altro
in contrasto con l'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea, essendo possibile, in caso di licenziamento ingiustificato, anche
un risarcimento di sole 2 mensilità e mezzo della retribuzione, molto al di
sotto del risarcimento che il lavoratore otterrebbe se il rapporto di
lavoro fosse un normale rapporto commerciale illegittimamente interrotto
(con il conseguente diritto all'intero danno emergente e lucro cessante),
che rende evidente l'accentuata precarietà di tali lavoratori esposti
costantemente al ricatto del licenziamento. E' urgente quindi una diversa
disciplina che garantisca un'effettiva tutela, eventualmente mediante una
sistema di valutazione delle dimensioni delle imprese non necessariamente
(o non solo) legate al numero dei dipendenti, ma anche ad esempio alle
capacità economiche.

Md in conclusione, pur non aderendo all'iniziativa, n a comitati per il
sì, condivide la necessità e l'urgenza di un'estensione dei diritti, in
direzione opposta rispetto alle recenti iniziative legislative che tendono
a comprimerli, nella prospettiva che, in caso di vittoria del "sì",
comunque auspicabile (anche perch una vittoria del "no" darebbe un
potentissimo alibi al governo per procedere senza pi ostacoli verso lo
smantellamento del diritto del lavoro), sia poi possibile un intervento
legislativo, di estensione modulata, ma effettiva, delle tutele.

il comitato esecutivo

17 05 2003
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