Imputato e incontentabile

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Il paradosso ha raggiunto il culmine: proseguire il dibattimento a carico del presidente del Consiglio integra un «uso strumentale dell'azione penale»; ma stralciarne la posizione è un «atto di ostilità politica». E non è la prima volta: la condanna dell'on. Previti per corruzione dimostra l'esistenza di «pratiche golpiste» da parte di «magistrati politicizzati»; ma la stessa prova si trae dall'«assoluzione» del sen. Andreotti dal reato di partecipazione ad associazione mafiosa (in realtà, per un congruo periodo, estinzione del reato per prescrizione"). Il paradosso è solo apparente: non sono le sentenze e i provvedimenti giudiziari ad essere già scritti (come tuona la propaganda della maggioranza politica), bensì le affermazioni (e gli insulti) che li accompagnano. Queste affermazioni (e questi insulti) non sono commenti, bensì tasselli di una strategia di delegittimazione della giurisdizione e della magistratura studiata a tavolino e praticata con metodo e lucidità (utilizzando qualunque occasione: convention di partito, incontri internazionali, lettere a giornali, trasmissioni televisive e via elencando). L'obiettivo è evidente e nient'affatto nuovo: trasformare, con l'ossessiva ripetizione, il falso in verità.

Esplorare le ragioni di questo atteggiamento significa toccare i nodi irrisolti dell'attuale stagione politico-istituzionale. Primo. La stagione di Tangentopoli ha mostrato le conseguenze potenzialmente dirompenti dell'indipendente esercizio della giurisdizione, ponendo alla politica il problema drammatico se la corruzione costituisca un dato marginale (seppur esteso) delle democrazie occidentali, ovvero se ne sia diventato un elemento strutturale; in altri termini, se siamo di fronte a una corruzione nel sistema ovvero a una corruzione del sistema. Di fronte a ciò la reazione di una parte della politica non si è fatta attendere: e la strada imboccata non è stata quella del ripristino di un equilibrio tra i poteri perseguito affrontando i nodi reali della situazione svelata dall'intervento giudiziario ma, assai pi prosaicamente, quella della ricostruzione dell'antica omogeneità (o quanto meno di una accettabile compatibilità) tra magistratura e sistema politico. Secondo. A questo dato di carattere generale se ne affianca uno pi specifico. Inutile nasconderlo o minimizzare: la pendenza di quattro processi penali (o forse pi) a carico del presidente del Consiglio e di alcuni tra i suoi pi ascoltati collaboratori è stata, ed è, un macigno. Nessun sistema politico l'avrebbe tollerata in modo indolore; a maggior ragione non poteva tollerala senza scosse un sistema debole come quello italiano, già ferito dalle indagini di Tangentopoli. Ma il fatto anomalo sta, ancora una volta, nel tipo di reazione posta in essere: non già il chiarimento dei fatti, ma il rifiuto, da parte del presidente del Consiglio e di alcuni politici del suo entourage, di accettare, anche per s, le regole poste per tutti i cittadini (prima tra tutte la sottoposizione al controllo giudiziario di comportamenti potenzialmente illeciti). Ciò - non l'intervento giudiziario - sta scardinando le basi stesse dello Stato di diritto, innescando meccanismi di insofferenza anche nei confronti delle altre istituzioni di controllo di qualsivoglia natura (dalla Corte costituzionale all'informazione).

E' questo il contesto in cui si collocano le ricorrenti campagne di stampa sulla «politicizzazione» della magistratura e, in particolare, di Magistratura democratica, il cui obiettivo sarebbe quello di sostituire la tradizionale egemonia della destra sulla magistratura con una egemonia della sinistra o, addirittura, dei partiti di sinistra (sic!). Di fronte a queste campagne (che, a ben vedere, altro non fanno che proiettare i metodi e le visioni politiche di chi se ne fa promotore) la risposta è netta e priva di equivoci. La realtà è assai diversa e gli obiettivi di Magistratura democratica ben pi ambiziosi, legati non a contingenti spostamenti dei rapporti di forza ma a un modo diverso di concepire la magistratura e la giurisdizione nel sistema politico: nella convinzione che nelle società complesse il potere deve essere controllato e diviso e che ciò richiede forti contrappesi; e nella consapevolezza che una sistema democratico vuole una magistratura soggetta soltanto alla legge e culturalmente pluralista (cioè rappresentativa delle opinioni e delle idee presenti nella società e non solo di quelle della maggioranza, qualunque essa sia).

Sulla conferma di questa concezione si sono, in parte, giocate le elezioni per il comitato direttivo della Associazione nazionale magistrati svoltesi nei giorni scorsi. L'affermazione di chi l'ha sostenuta con maggior convinzione (Magistratura democratica anzitutto, ma anche i Movimenti per la giustizia e Articolo 3) dimostra l'esistenza di una magistratura consapevole e serena, pur nella difficoltà del momento, ed è un buon segnale per tutti.

19 05 2003
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