Regolare il passaggio da Pm a giudice per contrastare la separazione

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1. La mozione in discussione questa settimana al Csm su alcuni
"paletti" da porre nel passaggio da Pm a giudice non solo non è
un'apertura verso la separazione delle carriere, ma vuole essere un
argine e uno strumento per contrastarla. Separazione delle carriere
che, va detto con chiarezza, nell'attuale situazione italiana
rappresenterebbe un pericolo formidabile per la stessa democrazia. In un
sistema come il nostro con solide tradizioni autoritarie ed altrettanto
solide tendenze autoritarie, l'asservimento politico di fatto o di
diritto delle Procure all'esecutivo sarebbe inevitabile. Ed in un
quadro politico come il nostro ciò porterebbe conseguenze gravissime con
l'uso strumentale delle indagini contro gli avversari politici (basti
pensare cosa sta succedendo per Telekom Serbia).

2. Le proposte all'esame del Csm si limitano a porre in via
generale limiti organizzativi che dovranno essere articolati e
differenziati a seconda delle dimensioni e delle condizioni degli
uffici, inevitabilmente graduati e flessibili. Anche perch norme rigide
rischierebbero di divenire impraticabili, a fronte di altri limiti e
divieti (sull'accesso al Gip e al penale monocratico, sulle
incompatibilità parentali). Non solo ma verrebbero ad incidere in un
numero di casi assai limitato ovvero circa 20-30 l'anno su scala
nazionale (sono stati calcolati dal 1999 al 2002 solo 106 trasferimenti
da requirente a giudicante nella stessa sede).

3. Le ragioni che hanno portato da tempo l'Anm e il Csm nei
suoi pareri a sostenere l'ipotesi dell'incompatibilità circondariale (
sin dai tempi della Bicamerale e del disegno di legge Flick, che
prevedeva un'incompatibilità distrettuale) sono di due ordini:

a. Organizzative: il passaggio da Pm a giudice comporta,
specie nei piccoli medi uffici, situazioni di incompatibilità diffuse
che creano notevolissimi problemi all'ufficio.

b. Di immagine sul ruolo: è motivo di disagio e di
rigetto per l'avvocato o l'imputato avere come giudice la
stessa persona che fino al giorno prima hanno avuto (ovviamente in altri
processi) come proprio avversario o accusatore, magari con battaglie
processuali molto aspre. Non è una questione di "prossimità"
dunque, ma di immagine sul ruolo svolto.

4. Alcuni casi specifici hanno fatto sorgere la questione al Csm
(a partire dal caso di un collega passato dalle funzioni di Pm a
quelle di Gip a Udine) ed il Consiglio sta cercando di dare una
soluzione razionale al problema, riprendendo limiti che già nel passato
erano stati adottati all'unanimità, senza suscitare scandalo alcuno: la
circolare sulle tabelle del 1996-1997 raccomandava di non destinare
all'ufficio Gip i provenienti dalla medesima Procura. Il problema che
abbiamo è di dimostrare che il Consiglio, ma vorrei dire la
magistratura, è capace di gestire l'autogoverno anche con (limitati)
sacrifici ed è capace di essere coerente con le proposte che vengono
avanzate nei propri pareri ed anche a livello associativo.

5. Il problema è semmai di elaborare soluzioni che riescano a
coniugare l'apposizione di "paletti" con la grande varietà di situazioni
esistenti, con la gradualità e la flessibilità. Ma vi è ben altro che
dobbiamo porci e che dobbiamo affrontare da un lato come sfida culturale
e dall'altro come provvedimenti di competenza del Csm. Se la
prospettiva è quella di favorire la mobilità e l'osmosi delle funzioni
bisogna inevitabilmente ripensare i percorsi professionali, onde
favorire i passaggi tra i differenti ruoli e onde rafforzare una
specializzazione per grandi branche di materie capace di arricchirsi in
funzioni e ruoli diversi. Ciò comporta rimettere in discussione
circolari e prassi del Csm Qualche esempio: sono sufficienti i corsi
di riconversione per la riqualificazione professionale? hanno ancora
senso i punteggi dati per le funzioni omologhe? non sarebbe ora di
distinguere nei trasferimenti ordinari i posti destinati al civile e al
penale, perlomeno nei grandi Tribunali? come è possibile valorizzare le
specializzazioni per materia nei trasferimenti e nelle assegnazioni
interne ed esterne? Ma anche tra di noi dobbiamo vedere con grande
preoccupazione la separatezza e le insofferenze che emergono tra i
diversi ruoli e combatterle con un grande sforzo culturale. Cultura
della giurisdizione è solo una parola, ma vuol dire moltissimo per il
giudice come per il Pm: cultura del contraddittorio, rispetto delle
parti e del giudice, garanzia della posizione dell'imputato e della
difesa, tutela del processo. O siamo capaci di farla vivere nei
comportamenti concreti oltre che nel confronto culturale o la battaglia
è già persa.

6. Un'ultima considerazione: il Consiglio opera in una situazione
di grande difficoltà, può sbagliare ed a volte sbaglia. Ma
l'atteggiamento che tutti noi dobbiamo avere è quello di dare un aiuto
al Consiglio, non di suscitare falsi allarmi ( come quello : Il Csm
anticipa la separazione delle carriere?) e drammatizzazioni del tutto
inconferenti. Questo specie in una situazione come l'attuale davvero
drammatica, dove la permanenza stessa di una giurisdizione indipendente
è in gioco ed ove tra meno di un mese si discuterà al Senato un disegno
di legge che non vuol dire solo separazione delle carriere (di fatto),
ma affossare la stessa magistratura uscita dalla Costituzione.

20 10 2003
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