Democrazia associativa e differenza di genere

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Vorrei intervenire sulla proposta di modifica statutaria che ci accingiamo a votare. Apprezzo molto lo sforzo che MD sta compiendo per valorizzare e promuovere l'impegno associativo delle donne e la presenza femminile nei gruppi dirigenti.
Questo argomento mi sta particolarmente a cuore perch ha a che fare con la mia vita concreta e quotidiana, con la fatica, la bellezza e la grande forza di essere donna che lavora (magistrato), madre e con la passione per l'impegno diretto ad affermare i grandi valori che in questo tempo sembrano essersi perduti.
Vorrei partire dal titolo di quell'art. 6, laddove si parla di democrazia associativa e differenza di genere. Il titolo di questo articolo è stato oggetto di dibattito al consiglio nazionale e la sua forma definitiva non è di poco rilievo rispetto agli obiettivi che vogliamo raggiungere ed ai contenuti che vogliamo affermare.
Mi spiego.
Il pensiero femminile in questi anni, dal movimento femminista degli anni 70 in poi, ha subito un'evoluzione ed in qualche modo una rivoluzione che si riassume nel concetto di "differenza sessuale". Contro il concetto aristotelico della reductio ad unum, le donne hanno affermato che il genere umano è fatto da due soggetti differenti l'uomo e la donna, esiste cioè il genere maschile ed il genere femminile. Hanno rivendicato una identità di genere.
Infatti le donne, procedendo lungo il cammino della propria emancipazione, hanno "scoperto" che esso aveva un prezzo molto alto, l'alienazione della propria identità, inevitabilmente legata alla sessualità.
Nonostante, infatti, la massiccia presenza delle donne nel tessuto sociale, la struttura sessuata della società permane e resta pressoch non scalfito il rapporto di potere che la segna. La società si femminilizza, ma resta maschile il suo codice.
Le donne entrano massicciamente nella società e nel mondo del lavoro, ma non nei posti di "potere" (non mi dilungo sui numeri che tutti conoscete e che riguardano anche noi). Quel "tetto di cristallo", di cui ha parlato Elena Paciotti, che impedisce alle donne di accedere ai ruoli "alti della politica" e, per quel che ci riguarda, agli uffici direttivi ed agli organismi dirigenti delle associazioni, nonch al CSM ed ai consigli giudiziari.
La questione della differenza sessuale nasce, quindi, partendo dalle contraddizioni che la battaglia per l'emancipazione ha prodotto. Dalla consapevolezza, per dirla con Luce Irigaray, che alle donne non spetta mendicare n usurpare un posticino nella società pensata ed organizzata al maschile, facendosi passare per uomini mezzo riusciti (con qualche problema in pi le mestruazioni, la gravidanza, l'educazione dei figli ecc., ), ma ripensare la società affermando la soggettività femminile.
Ripensare il concetto di uguaglianza come riconoscimento effettivo delle differenze.
Differenza sessuale che non si oppone quindi al concetto di uguaglianza, ma si rapporta ad una "identità femminile negata o perduta e cercata".
Il modo in cui è pensata ed organizzata la società moderna esclude le donne. Semplicemente perch era previsto che gli uomini lavorassero e le donne si occupassero della famiglia.
Questa società è ancora fondata sulla scissione dell'esistenza umana in due territori separati, quello produttivo e quello riproduttivo, con la marginalizzazione di quella sfera complessa di territori e rapporti attinenti alla riproduzione, tradizionalmente affidata alle donne, ed una concezione della sfera produttiva, del lavoro, come totalmente assorbente del proprio tempo mentale, psicologico ed esistenziale. E' proprio un'organizzazione del lavoro, o, comunque, di tutto ciò che concerne la vita pubblica (la polis) così invasiva della vita individuale che rende estremamente difficile per le donne l'assunzione di mansioni responsabilizzanti e dirigenziali. E' l'idea stessa di dover dedicare tutto il proprio tempo al lavoro, di identificarsi con esso e di trovare solo in esso la propria realizzazione che risulta inaccettabile alle donne. Il fattore tempo diventa, allora un elemento determinante per ripensare una società ed un'organizzazione della vita pubblica pi equa ed equilibrata, non alienante, per tutti, donne ed uomini.
Il tempo, ogni donna, e madre, che lavora sa quanto sia scarsa questa risorsa e che tipo di sforzi si debbano fare per cercare di conciliare tutte le priorità (la famiglia, i figli, il lavoro, l'impegno politico, i genitori anziani "), la profonda frustrazione e senso di inadeguatezza quando ci rendiamo conto che conciliare tutto ci risulta davvero impossibile e forse facciamo tutto male e la caparbietà nel non volere rinunciare a tutto ciò che continuiamo a credere, giustamente, importante e prioritario. No, noi non vogliamo rinunciare alla cura dei figli per la progressione in carriera, per ruoli dirigenziali o per l'impegno politico, n vogliamo rinunciare a questi ultimi. Vogliamo fortemente che tutto ciò contempli che esiste anche altro, che a sua volta richiede un tempo ed un impegno, e che il fatto che esiste altro non deve in alcun modo pregiudicarci. Vogliamo una società ed una cultura pensate anche al femminile.
E' partendo da queste contraddizioni che nasce il pensiero della differenza sessuale, da una constatazione ormai acquisita: "la filosofia occidentale non è un pensiero neutro universale, ma il pensiero di un soggetto sessuato al maschile. In tale pensiero il soggetto maschile si autorappresenta ed interpreta il mondo a partire da s ( v. Adriana Cavarero - l'elaborazione filosofica della differenza sessuale in "La ricerca delle donne", Rosemberg & Sellier). La donna è stata oggetto di questo pensiero, che la ha definita come le donne ben sanno (madre, moglie, "donna di facili costumi"), perch è stata una storia di lacrime e sangue. Il pensiero della differenza sessuale esprime la necessità per le donne di farsi soggetto parlante partendo da s. Partendo dalla constatazione, che banale non è, che essere sessuata nella differenza è un elemento originario ed essenziale della creatura umana, vero in ogni luogo geografico ed in ogni tempo storico (v. A. Cavarero cit.) le donne non sono quindi, n un gruppo etnico, n un gruppo di identità sociale o religiosa, n un gruppo di interesse.
Le donne hanno denunciato quindi la parzialità maschile di quel pensiero che si pretende neutro universale.
Pensiamo al linguaggio, proprio per la sua valenza simbolica; l'italiano, questo maschile usato anche come neutro, che sintetizza molto bene la cultura di esclusione che questa società ha espresso dalla sua nascita. Mia figlia, che oggi ha quasi cinque anni, mi ha fatto capire che anche questo è un terreno importante rispetto al quale cimentarsi ed è uno dei luoghi di soppressione dell'identità femminile.
Vi voglio fare un semplice esempio (mi scuso con coloro che l'hanno già sentito). Era molto pi piccola e le prime volte che ha visto il libro della giungla è rimasta colpita dal fatto che bagheera, la pantera, dovesse portare mowgli al "villaggio degli uomini" e mi ha chiesto: "mamma, perch le donne non ci abitano in quel villaggio?". Devo dire che da allora sono stata attenta a come parlavo a mia figlia, a non usare un linguaggio che non rappresentasse anche il genere femminile, sopprimendo la sua identità. Impresa improba e quasi impossibile, tanto è vero che mia figlia si è adeguata ed ha rinunciato a quasi tutti i suoi perch (salvo ultimamente che mi ha chiesto perch lei portava il cognome del padre e non anche quello della madre, commentando che tutto ciò non era assolutamente giusto).
Valorizzare il pensiero femminile, quindi, e partendo da lì costruire un progetto diverso di società e di cultura, anche giuridica.
Ogni donna, che è anche madre sa, che non è la stessa cosa essere padre ed essere madre. La relazione che i figli instaurano con i genitori è diversa ed è giusto e naturale che sia così (non foss'altro perch diversa è la funzione materna rispetto a quella paterna). L'esperienza delle donne, la loro abitudine a cimentarsi con la quotidianità della vita, a gestire i rapporti, non è la stessa degli uomini e ciò inevitabilmente incide sui valori, sulla visione del mondo.
Sto davvero banalizzando, ma le donne hanno capito che affermare che il genere umano non è uno, ma sono due, aveva una valenza rivoluzionaria nel modo di organizzare la società e di pensare la vita ed i rapporti, il mondo, la scala dei valori.
La competitività esasperata non appartiene alla cultura delle donne. Le donne sanno rinunciare ad apparire, ad "arrivare", per valori che ritengono pi importanti.
Il rispetto per l'altro/a, per le differenze e le diversità, l'ascolto, la non violenza nei rapporti, tutto ciò appartiene all'esperienza ed alla cultura delle donne. Non a caso le donne hanno dato un contributo fondamentale alla nascita ed alla crescita del movimento pacifista in questo paese.
Le donne hanno capito che non volevano pi rivendicare il diritto a partecipare ad una società pensata ed organizzata al maschile, necessariamente adeguandosi ai suoi tempi e modi, ma chiedevano una società organizzata in modi e tempi che prevedessero la cura, le relazioni umane, la sfera affettiva ", a cui non erano disposte a rinunciare. Una società ed un mondo fatti per uomini e donne.
E' importante per tutti, quindi, uomini e donne, che la cultura delle donne permei, diventi identità delle grandi organizzazioni politiche e della società civile, nate come maschili e cresciute sulla base di una cultura maschile.
Che significa allora dire che la donna deve porsi come soggetto di un pensiero che la autorappresenti nella differenza sessuale, per quello che ella è?
Non basta che ad un uomo si sostituisca una donna nei luoghi del sapere o del potere, negli organismi dirigenti nel nostro caso.
Partire da s, questo è il concetto chiave, e non dal neutro che è l'universalizzazione che l'altro fa di s.
Partire dall'esperienza di ognuna di noi nella quotidianità del proprio lavoro, della propria vita e dei propri studi, confrontandoci anche con l'esterno, con le altre donne, quelle impegnate nella società civile e tutte quelle che in questi anni si sono cimentate, partendo dalla vita concreta delle donne, nella costruzione del pensiero della differenza sessuale.
Questo credo debba essere il nostro modo di costruire il nostro impegno ed il nostro progetto.
Ed è stata proprio questa mia esperienza, che mi ha indotto a sottoscrivere quel documento inviato dalla lista e sottoscritto insieme a me da Maura Nardin, Luca Minniti, Mario Montanaro ed altri.
Per tutto ciò, credo che serva prima di tutto un luogo in MD, in cui le donne possano confrontarsi ed elaborare proposte e cultura partendo da s e confrontandosi con altre donne impegnate altrove. "La relazione tra donne come luogo che rende attiva e visibile la differenza sessuale". Un luogo delle donne di MD. Passo necessario perch anche la cultura e la politica di MD possano essere permeate del pensiero delle donne.
Non basta che questa o quella donna magistrato sia presente negli organismi dirigenti se non esiste una elaborazione fondata sull'esperienza ed il confronto delle tante donne presenti in MD e del confronto tra queste e le altre, che dia forza e sostanza all'impegno delle donne presenti negli organismi dirigenti ed elettivi (Consiglio giudiziario, CSM, ecc.), in modo che quel progetto e quella elaborazione diventi tratto fondante dell'identità prima di tutto di MD.
Per dirla con Adriana Cavarero (mi scuserà se l'ho così tanto citata nel mio intervento), "nella rappresentanza politica delle donne è in gioco una relazione biunivoca di fiducia e restituzione: fiducia delle rappresentate nel fatto che la rappresentante renda presente la differenza sessuale, restituzione da parte della rappresentante alle rappresentate di quella forza ed autorizzazione che esse le hanno conferito". Non si tratta, quindi, di un semplice riequilibrio ottenibile attraverso le quote garantite: le quote garantite segnalano al sistema la contraddizione dei suoi principi - asseritamene - universalistici, ma non garantiscono niente all'ordine politico della differenza sessuale".
Non allora luogo delle donne come "ghetto", n come corrente nella corrente, ma luogo dove costruire il pensiero della differenza partendo da s, dal "s" di molte, per farlo diventare patrimonio comune di tutta MD.
Che significa tutto ciò rispetto alla storia ed al ruolo di MD.
Significa senz'altro ridisegnare una cultura dei diritti, significa ridisegnare l'agenda politica e le priorità. Vederle e stabilirle anche con gli occhi delle donne. Qualcuna sulla mailing list segnalava i rischi di una valutazione di merito, per il conferimento degli incarichi direttivi, che potrebbe escludere ancora di pi di quanto oggi non accada le donne.
Noi siamo una categoria tutto sommato privilegiata. Pensiamo solo a quali effetti devastanti avrà, sulla vita di moltissime donne, la riforma del mercato del lavoro, segnata dalla sua precarizzazione e dalla perdita delle conquiste ottenute grazie alla battaglie di molti uomini e donne. La stabilità del posto di lavoro era stata una garanzia anche e prima di tutto per le donne.
L'inamovibilità e l'indipendenza della magistratura sono, quindi, una garanzia anche contro le discriminazioni che ancora esistono anche in magistratura (i numeri che spesso Giuliana Civinini ci ricorda parlano chiaro).
Ma quali sono e dovranno essere i criteri per introdurre una valutazione che abbia come riferimento anche il merito del nostro lavoro, ma garantisca imparzialità e trasparenza nel conferimento degli incarichi, ma anche nei trasferimenti ordinari, e che non discrimini le donne. Non entro nel merito del dibattito sull'autogoverno in generale e sulle pratiche degenerative e clientelari che riguardano, non a caso, in particolare alcuni gruppi, ma rispetto alle quali non so se ognuno di noi possa davvero dormire sonni tranquilli. Argomento che, pure, mi interessa molto e rispetto al quale voglio comunque aprire una parentesi perch alcune delle soluzioni prospettate alla degenerazione clientelare di certo associazionismo appaiono davvero pericolose. Parlo della paventata possibilità di scioglimento delle correnti, che viene non solo dall'interno della magistratura, ma anche da certi settori del mondo politico. L'organizzazione in correnti dell'associazionismo della magistratura è infatti garanzia di effettiva rappresentanza degli eletti, di trasparenza e controllo democratico delle scelte, sia degli organismi dirigenti dell'ANM sia degli eletti nel CSM. Come verrebbero scelti i candidati agli organismi dirigenti dell'ANM ed al CSM, sulla base di cosa verrebbero compiute le scelte? L'ANM rischierebbe di diventare una palude in cui la degenerazione clientelare sarebbe inevitabile perch fondata su rapporti personali con il singolo candidato e non su opzioni programmatiche ed ideali.
Tornando ai metodi di valutazione. Le donne sono spesso meno "titolate" degli uomini. Sono senz'altro meno, rispetto agli uomini, quelle che si occupano di far pubblicare propri provvedimenti, di scrivere note a sentenza o di scrivere libri (qui merita un piccolo inciso in relazione al fatto che pi che il numero delle pubblicazioni forse bisognerebbe considerare il loro contenuto). E non so nemmeno se il sistema del prelevamento dei provvedimenti a campione risolverà il problema, a meno di pensare, come diceva qualcuno, di esonerare completamente i membri dei consigli giudiziari dal lavoro ordinario, stante il lavoro immane che il loro esame comporterà.
Io credo che una buona qualità del lavoro sia non solo segnata dai provvedimenti che siamo in grado di sfornare, ma dalla qualità di rapporti e relazioni con gli avvocati e con gli utenti del servizio giustizia, dalla nostra capacità di ascolto e di concepire il nostro lavoro come un servizio e non come gestione di potere o come smaltimento fine a se stesso di quanti pi fascicoli possiamo. Dalla nostra capacità di gestire e mediare, con equità e giustizia e senza alterigia, i conflitti che vengono portati davanti a noi.
Da questo punto di vista credo che, forse, i migliori giudici del nostro lavoro siano quelli che con noi hanno quotidianamente a che fare. Per questo penso che MD dovrebbe farsi promotrice della partecipazione degli avvocati, studiandone le forme ed i modi, ai consigli giudiziari.
Penso anche a come valorizzare e favorire la presenza e l'impegno delle donne a livello associativo. L'associazionismo, in ogni sua forma, è fondamento della nostra democrazia e garantito non a caso dalla nostra costituzione. In questi tempi in cui accusano la magistratura di essere "politicizzata" dobbiamo ribadire con forza questi valori. Non solo: ad un'assemblea romana della lista unitaria qualcuno dei movimenti riuniti diceva che quello che divide ancora le due correnti è il rapporto di MD con la "politica". In realtà (e credo che da questo punto di vista dobbiamo toglierci una specie di "complesso") si tratta del rapporto con la società civile e le sue aggregazioni. E' vero questo è quello che caratterizza MD ed è tratto fondante della sua identità: la sua apertura all'esterno. Come si può, infatti, pensare ed applicare il diritto in modo avulso dalla realtà e dalle sue contraddizioni? Pensavo fosse ormai superata un'ipocrita e falsa idea di neutralità della scienza, e del diritto. Il giudice deve essere imparziale - che è concetto diverso da neutrale -, ma non può non avere la propria visione del mondo ed i propri valori che incidono nel modo di concepire e applicare il diritto. E' bene allora che tutto ciò sia esplicito e controllabile anche dal punto di vista della coerenza delle scelte. Qual è, mi domando, la visione del mondo che guida le scelte di certe correnti che nel CSM si trovano casualmente a votare sempre insieme ai rappresentanti della casa delle libertà?
L'associazionismo della magistratura è garanzia di trasparenza e controllo delle scelte e dell'autogoverno è e deve essere considerato un servizio e non un impegno finalizzato a conquistare posti di "potere". Non può non avere valore, deve essere un diritto per tutti/e.
So che di questi tempi ciò che sto per dire può essere considerata un'eresia, ma l'impegno associativo dovrebbe essere considerato nella distribuzione dei carichi di lavoro, almeno per certi incarichi nazionali. Penso ad esempio ai segretari delle correnti, al segretario ed al presidente dell'ANM. Svolgere questi incarichi non può e non deve significare sacrificio di ogni altro aspetto della propria vita, a parte il lavoro. Se si riesce ad evitare questo, forse avremo pi donne a ricoprire anche questi incarichi.
Identità sessuata di MD dunque. Per costruirla serve però anche che le donne siano presenti in modo adeguato negli organismi dirigenti e negli organi elettivi e per questo servono le "quote".
Quella in cui viviamo non è la società ideale, è ancora la società che, oggettivamente, per come è organizzata esclude le donne. Il modo in cui è pensata ed organizzata la politica e le forme dell'impegno escludono oggettivamente le donne. Se uniamo tutto ciò alla tradizionale difficoltà delle donne a "farsi avanti", al rifiuto per la competitività, atteggiamenti che credo che rispecchino valori positivi nel modo di concepire la propria vita ed il mondo, dubito che le donne potrebbero mai avere rappresentanza adeguata e quel peso specifico necessario per rivoluzionare anche la cultura politica di MD. Le quote non sono, solo, una sorta di "azione positiva", riguardano soprattutto la democrazia e la sua concezione. In sostanza è un problema di rappresentanza, di diritto anche del genere femminile ad essere rappresentato.
Un po' di tempo fa leggevo sul giornale che il governo norvegese minaccia di chiudere le imprese che non hanno rispettato la quota del 40% di donne nei consigli di amministrazione. Pensavo all'Italia - impensabile una cosa del genere - e pensavo all'impatto rivoluzionario che poteva avere una previsione del genere sulla vita e sull'organizzazione dell'attività d'impresa. Oggi non si può nemmeno concepire di essere dirigente di un'azienda se non si torna a casa almeno alle dieci di sera. Le quote forse servono davvero, non solo a segnalare le contraddizioni del sistema, ma a rivoluzionare il sistema stesso.

08 05 2005
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