Diritti fondamentali e modelli sociali nella modernità

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In un passo della relazione introduttiva Claudio Castelli rileva che le Costituzioni e le Convenzioni sui diritti umani nate dalle rovine del secondo dopoguerra hanno innovato il rapporto tra società e diritto. Questo non ha pi il tradizionale carattere servente e sovrastrutturale, ma si pone pi avanti e da fattore di cristallizzazione e di stabilizzazione si proietta nella dimensione del cambiamento, attribuendo alla giurisdizione un ruolo attivo e non subalterno rispetto alla politica.
Vorrei riprendere questi concetti, che tratteggiano bene la funzione promozionale dei diritti che ha caratterizzato gli Stati costituzionali del secondo novecento, per verificare fino a che punto nella società globale dominata dal principio economicistico i diritti possano ancora svolgere un ruolo fondativo e possano produrre mutamenti significativi nella sfera sociale.
La fase che attraversiamo è davvero singolare.
Le Carte dei diritti, le Costituzioni e le Convenzioni internazionali proliferano e sempre pi solennemente proclamano i diritti di libertà, i diritti sociali e i diritti fondamentali dell'uomo. All'universalità dei diritti si richiama la moderna dottrina del diritto cosmopolitico che "giustifica" l'intervento, anche militare, in ogni angolo del mondo a tutela dei diritti umani (quasi prefigurando una lex mundialis valida erga omnes garantita da un Governo mondiale), anche quando è evidente l'uso strumentale dell'universalismo dei diritti da parte di un occidente che intende imporre al mondo intero le sue norme e i suoi valori e con questi la supremazia economica e politica.
Nello stesso tempo sembra che per la giurisdizione si aprano spazi inusitati in un contesto in cui i giudici ordinari vestono ruoli diversi. Sono garanti della legalità statale; talvolta aprono le porte alla giustizia costituzionale; altre volte agiscono come veri e propri giudici comunitari applicando le norme europee e disapplicando il diritto interno; vegliano sulle Dichiarazioni dei diritti dell'uomo e, nella prospettiva della Costituzione europea, anche sui diritti costituzionali europei da utilizzare come criterio interpretativo, finanche esercitando, secondo alcuni, un inedito potere di controllo di costituzionalità diffuso.
Eppure, malgrado ciò, mai come in questo momento è stato così ampio lo scarto tra la solennità della proclamazione dei diritti e le misere condizioni della loro effettività.
Che questo sia uno degli effetti perversi del primato dell'economia e della legge del marcato è opinione diffusa, ormai quasi un luogo comune e non rappresenta neppure una dirompente novità in quanto la frontiera dei diritti è sempre stata una soglia mobile che avanza o arretra in rapporto alle condizioni materiali della società malgrado la loro struttura giuridica.
Ciò che rappresenta una assoluta novità in quella che Beck chiama la â€èœseconda modernità' è il fatto che la globalizzazione integra i processi economici sul piano planetario quasi in tempo reale grazie alle innovazioni tecnologiche, utilizzando categorie di spazio e di tempo del tutto diverse da quelle su cui si radica la territorialità della legge e la sovranità dello Stato nazionale. Ciò, obiettivamente, riduce di molto la possibilità per il diritto di incidere sugli effetti distorsivi delle logiche di un mercato planetario.
Gli effetti sono evidenti.
Il capitalismo globale, per la prima volta, assume esplicitamente la legge dei mercati economici e finanziari come regolatore delle proprie dinamiche ed è meno disponibile a mediazioni con i diritti e le istituzioni giuridiche. Nel contempo svaluta l'apporto del lavoro umano (tutto il lavoro, in qualsiasi forma, reperito a costi sempre pi bassi nelle periferie del mondo) non riconoscendogli dignità e significato sociale prima ancora che utilità produttiva.
Il primato della legge di mercato e â€èœl'onore perduto del lavoro' hanno segnato il passaggio da un â€èœcapitalismo inclusivo' che si muoveva entro le coordinate dello Stato sociale di diritto ad un â€èœcapitalismo escludente' che non riconosce istanze superiori e che contesta allo Stato nazionale il monopolio della distinzione tra appartenenza ed esclusione, tra legge e illegalità.
Come è intuibile, ciò incide non poco sui caratteri del welfare, come dimostra la scomposizione selettiva delle figure della cittadinanza e l'impatto sui diritti sociali costitutivi della moderna cittadinanza vanificati dall'impotenza dello Stato nazionale travolto dalle regole della modernità.
Su queste basi si sta edificando la società globale che, come ci dice Bauman, come ogni progetto e ogni nuova costruzione, genera rifiuti, scarti. Che nella progettazione delle forme della nuova comunità sono esseri umani, i naufraghi dello sviluppo globale. Non solo gli â€èœesuberi', residualità umane non pi necessarie al compimento del ciclo economico, ma anche gli â€èœesclusi', lo sterminato gruppo dei sottoclasse, migranti, emarginati, disabili, ecc., nei confronti dei quali la dinamica società dell'economia globale non può permettersi di fermarsi per tentarne il recupero o l'inclusione. Costoro, soggetti privi di rappresentanza e che pi di altri avrebbero bisogno del sostegno dello Stato sociale, di fatto sono al di fuori della legge; non di questa o quella legge ma dalla legge in quanto tale. Per questi rifiuti si aprono le â€èœdiscariche sociali' della modernità: i ghetti delle periferie degradate delle metropoli, i CPT , le aree della marginalità. Nei loro riguardi è ipotizzabile solo l'intervento del capitalismo compassionevole fatto di opere pie, beneficenza, assistenza caritatevole, ma non di diritti.
Questa umanità eccedente testimonia la crisi della democrazia europea del novecento e dello Stato sociale di diritto che fondava la sua legittimazione e la pretesa di lealtà e obbedienza da parte dei cittadini sulla promessa di difenderli e di assicurare i diritti fondamentali anche contro i colpi imprevisti del fato e delle dinamiche economiche e di mercato.
E dimostra quanto possano essere effimere le Costituzioni e le Carte dei diritti che non sono codici o testi unici che possono essere vitali anche in diversi contesti politico-sociali, ma che, esprimendo il modo in cui una società rappresenta se stessa, le proprie mete, il proprio progetto di vita e di convivenza, vivono solo nella misura le pratiche sociali ne riflettono lo spirito.
Quali conclusioni trarre da tutto ciò.
Il rapporto tra società e diritto non è pi quello esistente al momento della costruzione delle democrazie sociali del novecento, allorch la funzione fondativa e promozionale dei diritti traduceva sul piano della dimensione giuridica le pulsioni di una società che dopo la tragedia della guerra intendeva costruire un nuovo modello di convivenza basato sull'uguaglianza, sulla libertà e sulla giustizia sociale.
Oggi, in una società che ha interiorizzato l'idea che l'economia del mercato globale è l'unica praticabile e che tale modello segnato dalla modernità ha regole alle quali è impossibile sottrarsi, la funzione promozionale dei diritti di cittadinanza deperisce nella diffusa convinzione che è irrealistico pensare di ottenere sul piano giuridico ciò che il mercato non riesce ad offrire.
E così, mentre i diritti fondamentali e di cittadinanza restano nelle tavole, ma distanti e inattuabili, impotenti testimoni di un'altra stagione politica, paradossalmente le comuni regole giuridiche, che segnano in concreto e quotidianamente la vita delle persone, lungi dall'inverare i principi sanciti nelle Costituzioni e nelle Convenzioni internazionali assecondano le dinamiche mercantili.
Si sta realizzando in tal modo un diritto del lavoro modulato sulle esigenze delle imprese, una legislazione sociale condizionata dalla necessità di contenimento della spesa pubblica, un diritto commerciale e una lex mercatoria prodotti dalle agenzie legali delle multinazionali, le transnational law firm, e finanche un diritto penale a due dimensioni, uno per i detentori del potere economico e l'altro per i comuni cittadini-consumatori.
Risalta in questa fase la particolare natura dei diritti fondamentali i quali, in quanto diritti essenziali della persona umana e costitutivi della sua dignità, vivono sospesi tra la dimensione giuridica e quella etica, con la conseguenza che funzionano e sono effettivi solo se il loro senso è socialmente condiviso. Se invece non sono sorretti da un coerente modello di convivenza che viva nel sociale, o che quanto meno gli attori sociali tentano di imporre con le lotte e con la politica, i diritti difficilmente potranno costituire un fattore di cambiamento. Tenderanno anzi a deperire insieme ai valori che garantiscono e si trasformeranno nella testimonianza di uno sterile giuridicismo destinato a produrre pi disincanto che effetti reali nella sfera sociale.
Se le cose stanno così, la vitalità e l'effettività dei diritti sono oggi affidate soprattutto alle pratiche sociali di quei soggetti - movimenti, spezzoni di partiti e sindacati, associazioni, ecc. - che non inseguono acriticamente la modernità tecnologica, che non pensano di governare l'economicismo competitivo magari con una spruzzata di socialità, che non assecondano la delegittimazione di ciò che è pubblico nella distorta concezione che la â€èœvera' libertà è solo quella che si realizza lontano dallo Stato, ma che sono portatori di un progetto di vita alternativo al neoliberismo globale in cui i diritti sono sottratti allo scambio mercantile e la loro la garanzia e il loro soddisfacimento siano â€èœun antecedente non discusso' rispetto all' economia e alla politica.

18 05 2005
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