Una politica di genere nelle istituzioni

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Uno dei meriti di questo convegno è quello di aver
portato in superficie, di aver dato rilevanza esterna ad un tema, che,
seppur fondamentale, paradossalmente, nell'ultimo congresso di MD, pur
dedicato alla tutela dei diritti, era rimasto sottotraccia, evocato in
maniera indiretta e non chiaramente percepibile. Al contrario il tema
delle differenze di genere si impone alla nostra attenzione con
prepotente attualità e non solo per l'avvenuta modifica costituzionale.
Viviamo un momento di grande evoluzione ed è chiaramente percepibile
quasi un trascinamento della differenza di genere, della dimensione
corporea in questi profondi processi innovativi. Siamo di fronte a
dinamiche che non si confrontano con un fenomeno da giudicare con le
categorie dell'astrazione, ma fanno riferimento a relazioni
interpersonali, a collocazioni nella società, ad appartenenza
qualificate, riconoscibili in un determinato contesto. I processi di
mutamento che attraversano gli aspetti istituzionali della società si
confrontano dunque con le differenze che caratterizzano i soggetti
dell'innovazione, ed in questa dimensione una nuova politica di
comprensione dei fenomeni di mutamento deve abbandonare la logica
binaria che esclude gli opposti, ma muoversi verso una politica di
riconoscimento delle eterogeneità. Dobbiamo prendere atto che c'è una
nuova dimensione che entra nella vita delle istituzioni, che attraversa
le connessioni sedimentate e storicamente determinate tra uguaglianza,
autonomia ed esclusione. In questo senso occorre lavorare non per
sviluppare strumenti che non mettono in discussione proprio quei
meccanismi che perpetuerebbero l'esclusione, che prevedono istanze di
reciprocità, che non accettano la necessità della vita di relazione.
Insomma non c'è l'esigenza di assecondare l'integrazione nei meccanismi
che favoriscano la marginalità; la strada del doppio binario delinea,
in questo caso, una direzione non modificabile, forse anche autorevole,
ma non lascia intravedere nuovi itinerari, se è vero, come è vero, che
da una ricerca pubblicata sul Corriere della Sera nel 2001, nella
Dirigenza pubblica la presenza femminile era pari al 23,2 %, con una
percentuale del 9% nel settore privato al vertice nelle aziende medio -
grandi, del 7,8% tra i primari ospedalieri, del 3,1% tra i Rettori
delle Università.

Per superare questo gap l'entrata delle donne nelle
istituzioni deve lasciarsi alle spalle la scissione tra pubblico e
privato, ma perché ciò avvenga è necessario ridiscutere le forme
politiche che regolano ed organizzano lo spazio pubblico. La
prospettiva verso cui occorre muoversi mi sembra allora che sia quella
di mettere in discussione le politiche caratterizzate esclusivamente da
una logica antidiscriminatoria verso le donne, ricercando piuttosto la
dimensione di un nuovo paradigma giuridico. In quest'ottica penso alla
prospettiva tracciata dalle direttive europee che richiedono alla
futura Costituzione europea la garanzia della previsione di uno specifico e autonomo diritto all'uguaglianza di uomini e donne, garantendo così il diritto fondamentale all'uguaglianza sostanziale, quale diritto autonomo e distinto dal divieto di discriminazione sessuale.

Tutto questo come può vivere all'interno della
Magistratura? Lavorando innanzitutto sull'ordito regolamentare di
diretta competenza del C.S.M.; molta strada è stata già fatta su questo
versante; penso ad esempio alle modifiche intervenute in tema di
fruizione del congedo parentale, all'incidenza nella vita lavorativa
riconosciuta all'adozione internazionale, alla possibilità,
riconosciuta di fruire della normativa relativa alla tutela del nucleo
familiare, anche se, su questo versante occorre vigilare per evitare
utilizzazioni strumentali della disciplina.

Se si sposta poi lo sguardo dalle condizioni di
"status" a quelle riconducibili più direttamente all'organizzazione
allora emerge prepotente la necessità di una verifica concreta del
rispetto delle indicazioni relative alla prima destinazione degli
uditori e alle conseguenti mansioni da svolgere, nonché l'opportunità
di utilizzare moduli organizzativi alternativi non in contrapposizione
con la funzione sociale della maternità.

Valutazioni in parte diverse, però, a mio giudizio
occorre fare per quanto riguarda il superamento del problema relativo
all'accesso nelle rappresentanze politiche. Sulla sua soluzione
influisce sicuramente il metodo elettorale; è pacifico, infatti, che il
sistema maggioritario comprime la possibilità di un accesso femminile.
Se si guardano le statistiche relative alle elezioni politiche svoltesi
nel nostro paese si rileva che la già ridotta percentuale concernente
la presenza femminile nel periodo 1948 - 1992, quando si votava con il
sistema proporzionale, è ulteriormente scesa nel periodo successivo,
quando si è votato con un sistema fortemente sbilanciato verso una
logica maggioritaria. Così il mutamento, quasi ad ogni tornata di
elezioni, del sistema elettorale relativo ai componenti del C.S.M., che
ha abbandonato dal 1972 in poi un sistema proporzionale puro, incide
sicuramente sul numero della rappresentanza femminile nell'organo di
governo autonomo. Nel formulare questa analisi e nel cercare di
individuare i possibili rimedi è necessario però ricordare che in
questo caso ogni intervento qualificante è demandato al legislatore. La
consapevolezza del problema pone però ai gruppi organizzati, e in
particolare a Magistratura Democratica, la necessità di affrontarlo e
di trovare soluzioni almeno per una possibile "riduzione del danno". Il
sistema delle c.d. "quote" è sicuramente una strada praticabile, ma è
una scelta che esige anche la presenza di una forte e consapevole
motivazione da parte dell'elettorato.

Ma il tema della discriminazione al femminile
attraversa tutti i settori, anche quello, ad esempio, della formazione.
Lo ha ricordato Giovanna Ichino, lo ha scritto lo stesso Consiglio
Superiore nella Relazione al Parlamento da poco approvata. Anche se non
bisogna nascondersi come in questo caso sia ancora forte il lavoro da
fare in ordine all'acquisizione della consapevolezza dell'importanza
della formazione come precondizione dell'autonomia e dell'indipendenza
del giudice. Il lavoro che ci aspetta è dunque ampio, gravoso, ma
necessario. Perché se in un'istituzione la componente maggioritaria è
rappresentata in modo minoritario, non c'è dubbio che la qualità della
struttura democratica dell'organizzazione non può ricevere un giudizio
positivo.

16 07 2007
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