Intervento di Roberto Braccialini

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Il buongiorno si vedrà dal mattino...

(ufficio per il processo e dintorni)

 

 

Costituisce un merito del gruppo di lavoro MD/Movimenti sul civile, dell’omologo gruppo dell’ANM e di quell’anima infaticabile che è Gianfranco GILARDI, aver posto al centro dell’attenzione degli operatori giudiziari il fattore organizzativo come reale volano per un recupero di efficacia dell’attività giurisdizionale. Ricordiamo tutti con una punta di emozione il convegno organizzato a Roma il 13.12.2003 e dedicato per l’appunto a “Processo ed organizzazione”, che segna anche il momento di concepimento dell’”Ufficio per il Processo” : questa formuletta magica che da qualche mese vorrebbe contrassegnare il passaggio dai pedali al motore a scoppio e che viene indicata a principale ricetta per tutti i mali della giustizia civile.

Nessun dubbio sull’esattezza della diagnosi e della terapia organizzativa, come confermato del resto dalle sorti delle riforme processuali del 2005 : nessuno si è accorto di un contenimento dei tempi processuali grazie allo tsunami di due anni fa, nessun aumento della capacità di lavoro è stato registrato nel processo di cognizione per merito della l. 80 e successive modifiche, le quali neppure si possono definire “riforme a costo zero”, visto che hanno innescato incertezze nella fase applicativa e prassi multicolori tra ufficio ed ufficio ed all’interno delle stesse sedi giudiziarie. A tale folclore interpretativo, noi giudici genovesi abbiamo cercato, nel nostro piccolo ma nel rispetto dell’art. 47 quater ordinam. Giudiz., di dare una risposta concertata ed univoca, e ci conforta sapere che in altre sedi giudiziarie si cerca di pervenire al medesimo risultato attraverso le prassi concertate con il Foro nell’ambito dei Protocolli di Udienza predisposti dagli Osservatori.

In effetti, quattro anni fa a Roma partivamo da una visione ed una rivendicazione tutta magistratocentrica di ufficio del giudice, la quale trascurava il dato fondamentale sulla quantità di servizi non immediatamente giurisdizionali che forniscono le nostre cancellerie e che le impegnano notevolmente, con sottrazione di tempo prezioso per l’assistenza diretta al processo. Per questa parzialità di impostazione, è fondamentalmente sbagliato continuare ad insistere con l’etichetta di ufficio del giudice, che evoca un modello organizzativo limitato e burocratico fondato sull’esclusività e gerarchizzazione delle risorse, il quale riesce solo – al di là delle buone intenzioni – a provocare sospetti e reazioni negative negli interlocutori esterni.

Non c’è il tempo di proporre la vulgata in pillole dell’ufficio per il processo, che è cosa ben diversa rispetto alla sola sacrosanta esigenza di disporre di servizi di assistenza per lo studio dei fascicoli e la gestione delle udienze. Rimandiamo agli atti di Bologna e di Alghero, pubblicati sul sito di Magistratura Democratica, e ringraziamo il COMIUG per la preziosa ricerca filologica sviluppata in merito nel suo secondo volumetto, ed in particolare la penna del dr. XILO per aver ripercorso con precisione e fedeltà storica le linee del dibattito che si sono sviluppate nel laboratorio associativo (il gruppo di lavoro MD/MOVIMENTI) in cui è stata messa a punto il principio attivo dell’ufficio per il processo : un laboratorio ristretto nella composizione numerica, ma aperto alla collaborazione della dirigenza amministrativa e dell’università, tanto che la stessa formula chimica è oggetto di un riconoscimento/disconoscimento circolare di paternità e maternità tra un docente, un dirigente amministrativo ed un magistrato.

Il punto di forza di quella elaborazione – è un po’ difficile per me descriverla in modo anodino e spassionato – è la logica dei pilastri sulla quale si incardina l’idea della collaborazione funzionale tra i protagonisti della giurisdizione : la magistratura togata, quella onoraria, il personale e la dirigenza amministrativa, il polo tecnologico del PCT.

Fa un certo effetto registrare oggi l’appropriazione da parte della politica della formula alchimistica con toni salvifici quando coloro, che per primi ci hanno messo le mani, hanno la piena consapevolezza dei limiti di un’elaborazione che opera – è chiaro a tutti – solo sul profilo a valle del processo, quando il flusso contenzioso è già stato immesso nel sistema : per ritornare ad un esempio abusato ma sempre efficace, l’ufficio per il processo interviene sulle dimensioni del canale di raccolta e smaltimento, non già sulla quantità d’acqua che si butta nella vasca. Non è un caso che, nel libretto dedicato un anno fa da MD alle riforme possibili (“Un progetto per la giustizia”, Franco Angeli 2006), se ne parlasse nel più generale contesto di uno sventagliamento a monte delle forme di tutela, in grado di recuperare dignità e mezzi alla giurisdizione conciliativa (una definizione che avrebbe fatto felice Teresa MASSA) ed alle tutele alternative.

Ma certamente – soffermando specificamente la nostra attenzione sull’ufficio per il processo - è con l’oggi, con quanto bolle in pentola nella cucina della politica, che ci dobbiamo confrontare e non con i modelli astratti, di laboratorio, più o meno perfettibili : anche se questo non deve significare rinuncia a quel presidio di razionalità che si è cercato tra Bologna ed Alghero di conferire nel dibattito sulle terapie necessarie per rivitalizzare la giustizia civile.

Ebbene, un’occhiata sospettosa per la debita appropriazione della “formuletta terapeutica” che è maturata in questi mesi non pare davvero ingiustificata : le idee che, con il dosatore, fuoriescono dai palazzi della politica e dalle sedi ministeriali in particolare lasciano perplessi perché traspare un’idea debole di ufficio per il processo. Un’idea che punta su di un solo pilastro, quello amministrativo, apportando certo razionalizzazioni indispensabili nella caratterizzazione delle funzioni amministrative, e tuttavia parziale perché rimangono totalmente in ombra i due veri nodi politici che occorre risolvere : il ruolo della magistratura onoraria che opera nei tribunali, e la precisa demarcazione delle funzioni che possono essere delegate o trasferite dai magistrati togati agli onorari, o piuttosto agli amministrativi. Ed è sfumato, anche se facilmente perfettibile (ed esempio, riesumando l’idea della “conferenza organizzativa” ed il Lodo La Greca come meccanismo risolutore dei conflitti), il rapporto collaborativo che deve instaurarsi tra le dirigenze togate ed amministrative per l’inveramento del progetto tabellare : non più solo presidio dei diritti dei singoli magistrati, ma espressione di un progetto di lavoro condiviso, coerente con le risorse disponibili e verificato periodicamente nei suoi risultati ex post.

Il silenzio sulla magistratura onoraria, nelle ultime bozze circolate informalmente, è emblematico, anche se è certo che la partita si sta giocando su altri tavoli in una contrattazione con le singole categorie interessate (i gdp, i goa, i got) che lascia francamente perplessi e che si spiega solo con il ritardo intercorso nel mettere mano alla riforma organica della magistratura onoraria già prevista con la riforma del giudice unico. Sul punto della riesumazione delle sezioni goa, o comunque di uno stralcio anche interno che affidi il contenzioso più datato a giudici onorari, penso di essermi già abbastanza chiaramente espresso con una recente lettera aperta e mi sembra di cogliere segnali di resipiscenza e possibili correzioni di rotta…

Ora, la cosa importante non è che venga alla luce un testo legislativo sull’ufficio per il processo che abbia anche una sua organicità formale nell’assecondare la logica dei pilastri e che pertanto intervenga contemporaneamente su tutti i questi ultimi: l’importante è che anche in una logica progressiva, per settori, le singole tappe risultino coerenti con una strategia complessiva che veda al suo centro una rinnovata organizzazione delle sezioni giudicanti e dei corrispondenti presidi di cancelleria. Sono queste unità operative le vere realizzazioni pratiche dell’ufficio del processo, come a suo tempo ci spiegava Stefano ZAN, ed invece traspaiono spunti di interventi – pur meritori – che sembrano rispondere solo all’esigenza di cambiare la targhetta sulle porte delle cancellerie.

Non sono tutti e solo della politica, i ritardi : anche il nostro associazionismo ci ha messo del suo. Mentre fervono accaparramenti di iscritti tra i magistrati onorari da parte di un paio di nostri gruppi associativi, giacciono nel limbo degli insepolti gli atti di due convegni sulla magistratura onoraria a cui noi abbiamo dato un deciso impulso, patrocinati dall’ANM, voluti e realizzati proprio con l’intento di fornire all’Associazione una linea per orientarsi nel panorama delle riforme possibili in materia dialogando con tutto il variegato mondo dell’associazionismo onorario, ma senza perdere di vista alcune bussole del sistema : i limiti costituzionali; la temporaneità della funzione; la diversità ontologica tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale; l’esigenza di ripensare reclutamento, formazione, indennità, previdenza, autogoverno, organizzazione della magistratura onoraria.

Se poi compulsiamo il nostro autogoverno ed i suoi ritardi culturali, spiace ricordare che il primo corso di formazione dedicato all’organizzazione giudiziaria – e non all’ordinamento – risale al dicembre 2005 e non ebbe neppure l’onore della presenza dei consiglieri, impegnati a studiare l’organizzazione giudiziaria scozzese. Non sorprende che la parte del leone, in quel dibattito, sia stata svolta dalle modalità di designazione dei nostri dirigenti e semi-direttivi, una questione senz’altro di estrema importanza anche rispetto alla leadership, di cui ci ha appena parlato ZAN tra i requisiti per un rinnovamento della nostra organizzazione (che personalmente interpreto come capacità di rendere condivisi gli obiettivi), ma senz’altro profilo non esaustivo : ancora una volta è emersa la nostra abilità come magistrati di trasformare tutte le questioni organizzative in un problema di ordinamento giudiziario, ignorando bellamente il reticolo organizzativo esterno in cui si inserisce la nostra attività.

Ebbene, dalla mia recente esperienza di referente informatico distrettuale e co-collaudatore dei primi veri applicativi per tutti i magistrati -le varie Consolle e Scrivanie: siamo quattro magistrati in un limbo ordinamentale perché la VII Commissione ignora la nostra esistenza - traggo un profondo scoramento per il disinteresse che fin qui ha manifestato il CSM rispetto alle ricadute delle nuove tecnologie informatiche nell’attività giudiziaria ed amministrativa, e soprattutto per quanto bolle nella pentola del processo civile telematico. Non vedo il Consiglio concorrere a pilotare il corso del PCT verso un recupero di risorse dagli amministrativi per il supporto diretto alla giurisdizione, come nella profetica visione del Comitato di Progetto, mentre a volte si avverte il rischio che qualcuno voglia degradarlo – visto che funziona - a mera tecnica di sostituzione del personale con le macchine.

Il CSM non riesce ad entrare vigorosamente in un progetto che è stato incanalato entro binari ministeriali che, inizialmente, non davano spazio alle esigenze dei magistrati e che oggi con l’immensa fatica di pochi si sta cercando di compatibilizzare: sarebbe ingeneroso non fare almeno i nomi dei colleghi LICCARDO e BASOLI. Il ritardo però lo tocchiamo con mano nel momento in cui il CSM, dietro la pressione dei gruppi spontanei che hanno aperto la “problematica Flussi”, chiede e pretende statistiche fini ed i nostri amministrativi non dispongono degli strumenti per procurarcele, se non a prezzo di ulteriore storno di energie lavorative; tanto meno dispongono degli strumenti per le statistiche in automatico, direttamente dai registri informatici.

Quella delle statistiche è una zeppa di non poco conto nel nostro sistema perché i numeri dati a vanvera sono quasi più pericolosi del buio assoluto : e tuttavia parliamo di un’attività di reperimento ed organizzazione dei dati che è fondamentale per predisporre progetti organizzativi individuali e collettivi minimamente assennati, la quale impegna non meno di un terzo del tempo di lavoro totale delle cancellerie, che potrebbe essere ben diversamente impiegato nelle funzioni di assistenza alla giurisdizione se appena appena esistessero affidabili programmi di estrazione statistica dai registri automatizzati di cancelleria.

Da tempo vanamente ritengo che il boccino del tecnologico debba passare al CSM, il quale deve promuovere una vera e propria convenzione con il Ministero nella quale l’autogoverno conferisca il pregiato know-how che i magistrati sanno esprimere, ma nello stesso tempo abbia voce in capitolo per condividere strutture e servizi e per impostare priorità tra le quali – lo ripeto – quella statistica è veramente fondamentale ed impegnativa.

Per questo – e torno da dove ero partito – la visione debole dei primi articolati di Ufficio per il Processo non mi acquieta : è vero che ci sono accenni agli uffici statistici ed ai momenti di concertazione tra la dirigenza togata e quella amministrativa, ma sembrano davvero spunti troppo timidi per lasciare una traccia concreta nell’organizzazione degli uffici.

Tutto sbagliato, tutto da buttare a mare dunque? Ma per la santa carità! Come giudici civili viviamo in un contesto organizzativo così fragile, così fai da te, che ogni risorsa data in più è autentico grasso che cola, per questo attendo con reale impazienza che venga data attuazione anche solo a quella parte dei progetti in gestazione che riguarda le conseguenze della riqualificazione del personale amministrativo, e che comporta perciò una nuova connotazione delle mansioni realmente aderente alle necessità degli uffici ed al servizio da rendere; il quale servizio richiede sempre di più una qualificazione professionale di un certo livello che necessariamente comprende l’impiego delle tecnologie informatiche, rispetto alle quali la nostra Amministrazione è ancora una vera Cenerentola.

Voglio chiudere quindi con una nota di speranza, anche perché sono convinto che qualche cosa andrà ben detta e soprattutto sarà fatta in tempi relativamente brevi : non sarà il nostro associazionismo ad avere udienza ed a cambiare l’ordine delle cose rispetto all’ufficio per il processo, ma sarà per effetto della concomitante pressione del mondo sindacale e della Convenzione europea.

Nel mentre apprezzo che comunque gli interventi organizzativi vengano agganciati agli artt. 110 e 111 Costituzione, aspetto i segni concreti di un reale mutamento di indirizzo, che non può limitarsi al cambiamento delle targhette fuori dalle porte ma che deve contemplare veramente l’introduzione di nuove strategie organizzative nelle “unità operative” costituite dalle sezioni giudicanti.

E il buongiorno si potrà scorgere dal mattino, subito, nel momento in cui vedremo le assunzioni e/o la riqualificazione delle figure professionali di cui abbiamo più bisogno : informatici, statistici, assistenti di studio e di udienza. Non vorrei perciò che nel passaggio dall’una all’altra bozza ministeriale si perdessero queste preziose indicazioni circa nuove risorse aggiuntive e qualificate, anche perché la logica dei fichi secchi non ha mai portato in nessun posto, e noi sappiamo bene – avendolo provato sulla nostra pelle ed a prezzo della salute psichica - cosa significa fare reale sperimentazione di processo telematico con 33 magistrati collaudatori e due soli informatici…

 

Roberto Braccialini

 

 

13 02 2007
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