Quando sono stata invitata a questo incontro, ho riflettuto sul tema specifico della sensibilità di genere di magistrati e avvocati.
Con due amiche e colleghe ci siamo chieste: noi avvocate ravvisiamo una diversità nella conduzione del processo, nell' istruttoria, nelle decisioni scritte da magistrate donne?
Avremmo fortemente voluto, date le nostre origini di appartenenza al movimento delle donne, potere dire di si. Ma, ahimè, non è così.
Non c'è alcuna differenza, se non quella derivante dalla maggiore o minore sensibilità di ciascuna/o nell'esercizio della funzione giurisdizionale.
Certo, ci sono materie in cui l'attenzione alle problematiche di genere è più alta: naturalmente mi riferisco alle cause di famiglia ove emergono prepotentemente le difficoltà delle donne ad avere un reddito proprio, ad essere autosufficienti, a conciliare tempi di cura con tempi di lavoro. Oppure nelle, ancora pochissime, cause di lavoro antidiscriminatorie, contro le molestie sessuali, contro il mobbing.
Tuttavia, non vi nego che ravvisiamo spesso un fastidio palese dei giudici nei confronti di queste tematiche, sia nei procedimenti penali che in quelli civili, ove le donne rivendicano la differenza, o si ribellano ai modelli maschili, oppure osano richiedere i danni esistenziali per molestie fisiche o psicologiche subite.
Eppure voi, come noi, sapete quanto sia difficile uscire allo scoperto, rivendicare i propri diritti, vincere le mille difficoltà di prova.
Ora, noi come legali, avvertiamo oltre che un fastidio, quantomeno una scarsa attenzione della magistratura al lungo percorso che il nostro ordinamento ha fatto, dal dopoguerra in avanti, sui temi della parità formale e di quella sostanziale donna-uomo.
Certo la responsabilità non è solo della magistratura, ma è essenzialmente delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni che assai poco hanno attivato gli strumenti legislativi di tutela previsti dall'art. 15 della L. 903/77 o dall'art.4 della L. 125/91.
Quando ero Consigliera Regionale di Parità della Regione Piemonte, non c'erano i fondi che oggi sono finalmente arrivati, eppure abbiamo promosso azioni in giudizio e interventi adesivi contro discriminazioni individuali e collettive.
Non vi nascondo che, ancora a dieci anni dall'entrata in vigore della L. 125, molti- avvocati e magistrati- nulla sapevano della figura istituzionale preposta alla tutela della parità uomo-dona sul lavoro.
Dunque la sensibilità e la politica di genere non sono appannaggio di molti.
Non voglio criticare in casa d'altri però senza avere fatto una seria critica anche alla mia categoria professionale.
Le avvocatesse, come le magistrate, hanno avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni.
Nel 1981 eravamo 3000 donne iscritte agli Albi forensi, contro 43.500 uomini.
Nel 2002 eravamo 43.500 donne contro 85.000 uomini. Quindi in poco più di 20 anni siamo passate da un 7% circa ad un 34% di donne avvocate sul territorio nazionale.
Il confronto per età anagrafica fa emergere, per le età più giovani, una percentuale di donne superiore a quella degli uomini.
Dal punto di vista del reddito tuttavia, le donne dichiarano in media meno della metà di un professionista maschio. E ciò a qualunque età.
Quindi c'è una progressiva femminilizzazione della professione, come in magistratura, ma a fronte di una situazione economica di totale sfavore.
Non parliamo poi della rappresentanza istituzionale.
Su 90 Consigli dell'Ordine troviamo 4 Presidentesse, 9 Segretarie e 17 Tesoriere.( E' confermato che siamo brave a tenere i conti!)
E' chiaro che la nostra professione è basata sul tempo disponibile ad esercitarla e, come è ovvio, per le donne c'è una notevole difficoltà a trovare un'equilibrata distribuzione delle energie tra i tempi professionali e quelli di vita.
Questo è in primo luogo un grosso deterrente per chi voglia dedicarsi a tempo pieno alla professione che, come immaginate, comporta ritmi di lavoro molto intensi ed assai poco flessibili in quanto, oltre alla presenza in studio, occorre sommare i tempi, mai prevedibili e assolutamente dilatati, delle udienze .
Allora vorrei raccontarvi di come, in alcuni ordini forensi, ove si è costituito un Comitato Pari Opportunità, sono emersi esempi di buone pratiche, le prime azioni positive in favore delle donne avvocate.
A Campobasso si è creata, anziché una banca delle ore, una "banca delle sostituzioni" . Presso il Consiglio dell'Ordine si predispone un elenco settimanale con il quale si rende noto il nome ed il n telefonico dei colleghi e delle colleghe disponibili a sostituire in udienza le colleghe che ne avessero bisogno.
A Venezia invece la Commissione Pari Opportunità ha indotto il Consiglio dell'Ordine a deliberare che lo stato di gravidanza e maternità delle avvocate per il periodo di 5 mesi indicato dal D.Lgs. 151/01, a prescindere dalla sussistenza di patologie, costituisca causa di legittimo inpedimento a comparire alle udienze, ai sensi dell'art. 420 ter e 484 co.2 bis c.p.p.
La motivazione della delibera è significativa, in tempi in cui neanche per alcune nuove figure contrattuali c'è la tutela della maternità che un tempo veniva chiamata obbligatoria.
Dice la delibera: "L'applicazione analogica del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità risulta d'obbligo, sia in quanto doverosa attuazione degli artt. 3, 31 e 32 Cost., sia per elementari ragioni di logica e di buon senso. Sotto quest'ultimo profilo, non si vede davvero perché la presunzione assoluta di incompatibilità tra maternità ed esercizio dell'attività lavorativa stabilita dal legislatore e, quindi, la presunzione assoluta di pericolosità dell'attività lavorativa nel periodo considerato, debba valere solo per le lavoratrici dipendenti ."
A fronte di queste aperture di alcuni Ordini, una parte del Consiglio Nazionale Forense e la Cassa Nazionale, vorrebbero erogare l'indennità di maternità solo in presenza di un'effettiva astensione dal lavoro.
Possono ragionevolmente pensare i nostri organismi rappresentativi che le avvocate traggano un lucro dal cumulo tra l'erogazione dell'indennità per maternità ed il reddito da lavoro, tale per cui uno debba escludere l'altro?
La fissazione di un tetto per l'indennità di maternità ha un senso perchè la riporta al suo connotato preminentemente solidaristico, mentre pensare all'obbligatorietà dell'astensione dal lavoro come conditio per percepire l'indennità, la farebbe diventare un contributo una tantum, elargito a chi - comunque - può stare a casa anche senza lavorare.
Qualche proposta, per non concludere solo con prospettive negative.
Penso che una politica sensibile alla differenza debba essere trasversale, un mainstreaming di genere, come viene chiamato con terminologia presa in prestito dalle direttive europee.
L'auspicio è quindi quello di percorrere una strada comune, avvocati/e e magistrati/e, uomini e donne. Occorre fare una riflessone sulle regole del processo: occorre introdurre flessibilità e tolleranza a partire dalle fissazioni d'udienza e alla conduzione della causa, occorre rinnovare il linguaggio verbale e scritto.
Faccio due esempi: dobbiamo abituarci al linguaggio di genere (anch'io ero inizialmente preoccupata della cacofonia, ma mi ha convinto la Ministra Turco), dobbiamo pensare che anche il legislatore ha coniugato al maschile ed al femminile il titolo del D.Lgs 196/00, di modifica della L. 125/91 sulle consigliere e i consiglieri di parità.
Sono piccoli passi che portano al cambiamento, in primis quello dell'abitudine ad usare il maschile per comprendere entrambi i generi. Avvocata/Magistrata suonano ancora male. Ma l'orecchio si abituerà.
Un altro esempio è la conduzione della causa.
Una collega mi raccontava che nelle cause ordinarie dove non ci sono gli ausiliari, l'automatismo del giudice è fornire il verbale da scrivere alle donne.
Richiesto del perchè non lo offrisse al legale maschio, più giovane (parametro della scelta di un giudice che debba farsi aiutare a verbalizzare), la risposta è stata: " Le donne normalmente scrivono meglio, sono più ordinate".
Quando la dott.ssa Gandus raccontava di quegli avvocati che, entrando nella sua stanza, chiedevano dove fosse il giudice, ho subito pensato ai tanti magistrati che ti scambiano per la segretaria o, se va bene, ti chiamano dottoressa fino a quando non hai un'età visibilmente avanzata.
Dunque, per concludere, un altro impegno dev'essere quello di combattere gli stereotipi di genere, da entrambe le parti ed a qualunque livello.