L'assoluzione di Andreotti

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"....Il momento genetico di quello che il Pg, nella sua requisitoria, ha definito "un caso di infedeltà del testo al processo" va individuato nelle premesse logico-giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte di assise di appello, disancorandosi consapevolmente dalle ipotesi antagoniste prospettate dall'accusa e dalla difesa ed esimendosi dall'obbligo istituzionale di sciogliere i nodi del confronto dialettico sviluppatosi, sia sulle ipotesi che sulle prove, nel corso del giudizio di merito, ha deciso di sottoporre a verifica giudiziale un proprio "teorema" accusatorio, da essa formulato in via autonoma e alternativa, in violazione sia delle corrette regole di valutazione della prova che del basilare principio di terzietà della giurisdizione, anche rispetto ai problemi implicati nel caso giudiziario. L'originaria ipotesi accusatoria, bench fosse notevolmente complicata e controvertibile per l'intersecarsi e il sovrapporsi di pi piani tra la fase dell'ideazione e quella dell'esecuzione dell'omicidio, si da essere efficacemente messa in crisi dalle difese degli imputati nel contraddittorio dibattimentale, poteva, tuttavia, ritenersi legittimamente prospettata dal Pm alla luce dei dati investigativi raccolti nelle indagini preliminari, letti nell'ottica dell'astratta postulazione di un possibile interesse o movente di Andreotti all'uccisione del giornalista. Assumevano rilievo a tal fine, innanzi tutto, gli elementi di natura dichiarativa e documentale relativi alla figura e al ruolo di Chichiarello e la scoperta del deposito di armi e munizioni nei sotterranei del Ministero della Sanità, conducenti alla causale della banda della Magliana e della destra eversiva romana; poi, la chiamata in reità di Buscetta, conducente invece alla causale mafiosa, legata all'asserito intreccio dei rapporti Dalla Chiesa - Pecorelli con il caso Moro e con l'interesse di Andreotti ad eliminare lo scomodo giornalista; infine, le propalazioni dei collaboratori Carnovale, Moretti, Mancini e Abbatino, che segnalavano l'esistenza di collegamenti fra taluni membri della banda della Magliana, esponenti della destra eversiva e personaggi mafiosi nell'esecuzione del delitto. E però, a fronte delle motivate statuizioni della sentenza di primo grado che, nel rispetto dei limiti del principio del libero convincimento, aveva fatto corretta applicazione della garanzia estrema dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", i giudici di appello non hanno tratto la lineare conclusione che l'ipotesi dell'apporto sinergico dei due sodalizi nella realizzazione del crimine, seppure legittimamente formulata dal Pm, non aveva retto all'urto del contraddittorio dibattimentale e che analoga sorte era stata riservata alla teoria della divisione delle causali omicidiarie. Gli stessi giudici, per contro, svincolandosi sia dall'originaria imputazione contestata sull'assunto di un intreccio operativo tra le due organizzazioni criminali, sia dalla struttura motivazionale della sentenza di primo grado, che aveva postulato in subordine la tesi della divisione delle causali ma ne aveva escluso la concreta efficacia dimostrativa, hanno prima (ri)formulato autonomamente l'ipotesi accusatoria nel senso che «... le risultanze processuali consentono di affermare che parteciparono alla perpetrazione del delitto sicuramente tre persone, Andreotti, Badalamenti e Bontade ed almeno una quarta persona quale esecutrice, mentre non consentono di ritenere che altre persone abbiano partecipato al delitto». E poi, tradendo il modello argomentativo del giudizio di fatto, secondo lo schema epistemologico racchiuso nelle proposizioni normative degli articoli 192.1 e 546.1 lettera e) Cpp sulla valutazione della prova (Sezioni unite, 10 luglio 2002, Franzese), hanno verificato la tenuta della - nuova ipotesi all'interno di un ragionamento probatorio condotto mediante cadenze procedurali giuridicamente errate, le cui conclusioni, quanto alla conferma dell'ipotesi ricostruttiva sullo specifico fatto da provare, si sono rivelate prive di logiche inferenze e sorrette da argomentazioni giustificative congetturali e apodittiche.
...L'annullamento della sentenza impugnata va pronunziato senza rinvio nei confronti di Andreotti e Badalamenti, perch le lacune e la manifesta illogicità del ragionamento probatorio, risultanti dal solo esame del testo, dimostrano di per s la mancanza di prove del mandato omicidiario e, perciò, l'insormontabile difficoltà e impossibilità di pervenire altrimenti a una conclusione diversa dall'assoluzione con l'ampia formula liberatoria "per non aver commesso il fatto". Ed invero, considerate le esigenze di economia processuale sottese alla previsione di cui alla lettera l) dell'articolo 620 Cpp, l'annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorch un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione di vuoto probatorio storicamente accertata. Principio giurisprudenziale, questo, già affermato dalle Sezioni unite in altre occasioni (Sezioni unite, 22327/02, Carnevale), che merita di essere condiviso ed applicato soprattutto quando la sentenza di condanna, come nel caso in esame, sia fondata su dichiarazioni accusatorie di un collaboratore rimaste prive di elementi esterni idonei a corroborarle, essendo esse l'unica fonte di prova e non delineandosi, neppure sulla base di una rinnovata valutazione dei fatti da parte del giudice di rinvio, la possibilità di rinvenire ed utilizzare ulteriori emergenze processuali".

07 12 2003
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