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L'assoluzione di Stefania Ariosto dall'imputazione di calunnia in danno del giudice Rosario Priore

TRIBUNALE
MILANO – G.M. dott. Oscar Magi
Sentenza
del 3.11.2005 – Ariosto

MOTIVI
DELLA DECISIONE

(Clicca sul link qui sotto per scaricare il documento PDF stampabile)File PDF Motivazione completa della sentenza Ariosto 3.11.2005 (153Kb)

Stefania
Ariosto è stata rinviata a giudizio con decreto del GUP di
Milano in data 22 novembre 2004.
Le
udienze dibattimentali si sono svolte nell’aula della IV
sezione penale del tribunale dinanzi a questo giudice monocratico
nelle seguenti date con il contenuto indicato:

*

L’imputata Stefania Ariosto è
stata, come detto, rinviata a giudizio di questo G.M. in relazione al
reato di calunnia, reato compiuto con più dichiarazioni dalla
stessa rese al PM di Milano ( dal 23.10.1995 al 4.3.1996) mentre
deponeva in qualità di testimone [più
specificamente come persona informata sui fatti]
,
dichiarazioni rivolte ai danni del giudice Rosario Priore , che ella,
sempre secondo il capo di imputazione, accusava di corruzione ,
atteso il suo inserimento in una lista di magistrati romani che
sarebbero stati “comprati”( o comunque che erano
“acquistabili” o disponibili) da Cesare Previti, Attilio
Pacifico e Silvio Berlusconi, proprio in relazione alla funzione
giudiziaria dagli stessi svolta .

Prima di esaminare, più partitamente ed in
maniera dettagliata, il contenuto del capo di imputazione attribuito
all’imputata , appare opportuno richiamare, seppur in modo
estremamente sintetico, il significato attribuito dal codice penale
al reato di calunnia e la sua disamina giurisprudenziale da parte
della S.C., sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo:

Per insegnamento, anche stavolta, costante
della S.C., “perché si realizzi il dolo di
calunnia è necessario che colui che formula la falsa accusa
abbia la certezza dell’innocenza dell’incolpato…..l’erronea
convinzione della colpevolezza della persona accusata esclude
l’elemento soggettivo , da ritenere integrato solo nel caso in
cui vi sia una esatta corrispondenza tra il momento rappresentativo
ed il momento volitivo “
(Cass. Sez VI penale sentenza
9 febbraio /22 marzo 2004, n. 13912).

*

Esaurita questa breve ( e non certo esaustiva ma solo
esemplificatoria) disamina degli elementi fondanti del reato in
questione , vediamo adesso , in dettaglio, come è formato e di
cosa consta il capo di imputazione sollevato nei confronti dell’
attuale ed unica imputata:



Come si vede l’accusa ( che peraltro si è
poi corretta nelle sue richieste finali) fa derivare dal complesso
delle dichiarazioni rese dall’Ariosto una serie di reati di
calunnia unificati dal vincolo della continuazione , considerando le
singole frasi dell’Ariosto contenute nei singoli atti di
deposizione testimoniale dalla stessa resi , come singoli reati, già
compiutamente commessi, e quindi unificati ai sensi del cpv.
dell’art. 81 del C.P.

Tale impostazione ( come si è detto
successivamente corretta dallo stesso PG in udienza , nel corso delle
sue requisitorie finali) non appare condivisibile da questo
giudicante: come si è detto il reato di calunnia è
istantaneo e quindi si configura e consuma nel momento in cui la
falsa accusa viene formulata .

Nel caso in questione l”accusa” dell’Ariosto
nei confronti di Priore deve, di necessità, essere
considerata nel suo complesso e non può essere frazionata
nelle sue componenti rilevanti , pena la caduta dell’accusa
medesima.

E‘ cioè evidente che si può parlare
con cognizione di causa di “ calunnia” oggettivamente
intesa da parte dell’Ariosto nei confronti di Priore solo e
soltanto se si prendono in esame complessivamente TUTTE le
dichiarazioni rese dall’Ariosto medesima riguardanti lo stesso
Priore , non essendo le singole affermazioni della stessa sufficienti
a raggiungere quel quoziente di idoneità che la norma richiede
ai fini della configurazione del reato.

Dire cioè che il Priore sia stato visto giocare
al Casinò ( a prescindere, ora, dalla veridicità
dell’assunto) insieme a Pacifico, o dire che alcuni gioielli
sono stati regalati da Previti a mogli di magistrati , tra cui alla
compagna del Priore, o, ancora, che Priore faceva parte di un giro di
magistrati visti a cena dallo stesso Previti , non è (
ciascuna di esse) frase che possa essere giudicata calunniosa di per
sé ed indipendentemente dalle altre ; dire, in un unico
assunto deduttivo e riassuntivo, che Priore faceva parte di un gruppo
di magistrati iscritti al “libro paga” di Previti e
Berlusconi perché frequentava le cene di Previti, perché
sua moglie riceveva regali costosi da Previti, perché egli
giocava con Pacifico milioni di lire al Casinò di Montecarlo,
è invece una affermazione ( complessivamente intesa)
sicuramente calunniosa o comunque idonea ad essere giudicata
calunniosa, ma come unica dichiarazione , e non quindi come insieme
di spezzoni di frasi già di per sé lesive dell’oggetto
di tutela del reato in questione .

Insomma ,ed in breve, deve ritenersi che il reato
contestato all’Ariosto sia un unico reato di calunnia e non un
insieme di reati di calunnia unificati dal vincolo della
continuazione .

Tutto ciò costituisce anche una prima valutazione
ed una conseguente risposta al dubbio sollevato dalla difesa
dell’imputata sulla possibilità di configurare
oggettivamente il reato di calunnia per la valenza delle frasi dette
dalla sua assistita : come si è appena affermato, è
vero che le singole frasi dell’imputata non appaiono di per sé
sufficienti a costituire un’ accusa di un reato commesso dal
Priore ( è vero infatti che l’Ariosto non ha mai detto
esplicitamente che Priore era corrotto o che ha preso dei soldi da
Previti o altri) , ma è altrettanto vero che l’insieme
delle affermazioni dell’Ariosto su Priore ,contenute nelle
dichiarazioni dalla stessa rese al PM nelle date indicate,
costituiscono senza dubbio un’accusa precisa e molto grave nei
confronti della parte offesa Priore nel presente procedimento ;
affermare che un giudice ( un qualsiasi giudice, a prescindere dalla
sua notorietà o dalla sua importanza) possa fare mercimonio
della sua attività e possa addirittura far parte di un “libro
paga” di un potente avvocato legato ad un potentissimo gruppo
economico e politico , è sicuramente una frase non solo
diffamatoria ma assolutamente calunniosa ( nella misura in cui,
naturalmente tale affermazione sia falsa) proprio nel momento in cui
tale affermazione non sia generica, ma anzi sia supportata da
ulteriori dichiarazioni sulla sua attività e sui suoi
comportamenti che costituiscano in qualche modo la prova della
“iscrizione” in tale libro .

In breve, dire che Priore era un corrotto è frase
offensiva ma solo diffamatoria; dire invece che Priore era iscritto
al libro paga di Previti e che i suoi comportamenti comprovavano tale
iscrizione ( regali natalizi, giocate al Casinò) è
affermazione calunniosa in quanto si accusa un giudice di un reato
gravissimo e cioè la corruzione in atti giudiziari ( art. 319
ter CP) , reato che, la Cassazione insegna, può essere
commesso anche senza aver materialmente mai effettuato un atto
giudiziario corrotto , ma per la sola promessa di poterlo commettere
, e quindi per la vendita complessiva della propria funzione ,
sottesa all’eventuale e non necessaria vendita dei propri
singoli atti.

E’ pertanto indubbio, perlomeno a parere di questo
giudicante, che , con le affermazioni “incriminate”
l’Ariosto poteva sicuramente , da un punto di vista
strettamente oggettivo ed astratto, commettere il reato di calunnia
ai danni di Priore, o comunque ai danni di qualsiasi altro giudice
romano di cui ella stava in quel momento parlando .

A nulla rileva, come è ovvio, che il Priore non
sia stato iscritto nel registro delle notizie di reato da parte dei
PM procedenti .

Questo giudice non conosce le ragioni che
hanno presieduto alla decisione dell’autorità inquirente
, ma deve comunque escludersi ( icto oculi) che tali ragioni
possano essere state dovute alla inverosimiglianza o alla evidente
irragionevolezza delle dichiarazioni della teste che stava deponendo
; e pertanto la iscrizione del Priore, pur se non materialmente
avvenuta, era comunque assolutamente possibile a prescindere da
qualsiasi considerazione sulla necessità o solo opportunità
della stessa .

E’ quindi assolutamente certa l’idoneità
delle citate dichiarazioni (attesa la loro verosimiglianza e la loro
storicità e logicità conseguente al loro inserimento in
un contesto complessivamente credibile) all’apertura di un
procedimento penale , e quindi la loro significatività ai fini
della sussistenza del reato in questione.

*

Esaurita la trattazione e la conseguente valutazione
della idoneità dell’accusa formulata dall’Ariosto
ai fini della configurazione oggettiva del reato di calunnia
contestato, deve ora procedersi ad un passaggio ulteriore e
necessario : per aversi calunnia l’accusa dell’imputata
deve infatti essere falsa .

Ora ( prescindendo da quanto si dirà in seguito
in merito alla verità o comunque verosimiglianza delle
dichiarazioni rese dall’imputata) deve dirsi con assoluta
chiarezza che l’assunto accusatorio contenuto nel complesso
delle dichiarazioni dell’Ariosto e relativo al possibile
mercimonio della propria funzione giudiziaria da parte del Priore, è
sicuramente e pienamente falso : non solo è falso perché
nessuna azione giudiziaria è stata iniziata nei confronti del
Priore ( cosa che potrebbe essere, in astratto, dovuta ad una inerzia
dell’organo dell’accusa) , ma è falso perché
non risulta in alcuna maniera che il Priore abbia (in qualsiasi modo)
offerto la propria disponibilità professionale e/o umana nei
confronti del gruppo di potere che faceva capo all’allora
avvocato Cesare Previti ed all’on. Berlusconi, e quindi, a
maggior ragione, che egli sia stato “iscritto” (anche
magari senza una sua conoscenza diretta) al “ libro paga”
degli stessi .

Il Priore ( come si vedrà meglio in
seguito) deve il suo “inserimento” nella vicenda in
questione al viaggio dallo stesso compiuto a New York nell’autunno
del 1988 su invito del NIAF ( e su pagamento di Previti e del Partito
Socialista) [Vedi le dichiarazioni rese dall’imputato di
reato connesso Cesare Previti in questo dibattimento all’udienza
del 27 maggio 2005]
per festeggiare l’allora
presidente del Consiglio Bettino Craxi , alla sua conoscenza , in
quell’occasione, dell’Ariosto e del Pacifico; alla sua (
come si vedrà in dettaglio in seguito) “visione”
da parte dell’Ariosto a Montecarlo in uno con il Pacifico;
alle confidenze ricevute dall’Ariosto da Eleuteri Carlo in
merito a possibili regali natalizi; e, infine, alle complessive
deduzioni e “credenze” dell’Ariosto medesima in
merito alla “ corruttibilità” dei magistrati
romani che ella aveva visto frequentare Previti o che credeva
Previti frequentasse.

Come si vede, al di là della
partecipazione al viaggio NIAF del 1988, nessun addebito ( semmai si
possa parlare così di comportamenti comunque leciti , anche se
forse censurabili da un punto di vista deontologico) può
essere contestato al Priore in termini di correttezza o di
professionalità : egli ha sicuramente ceduto ad una ( seppur
comprensibile) vanità personale e professionale nell’accettare
( ed anzi nel sollecitare [Vedi le dichiarazioni rese da
Rosario Priore in questo dibattimento all’udienza citata]
)
l’invito proveniente dal NIAF a partecipare ad un viaggio la
cui valenza e significato politico e partitico non avrebbero dovuto
sfuggirgli ( un magistrato non va a New York a festeggiare Bettino
Craxi come ”uomo dell’anno”, a spese del partito
socialista, senza dover pensare al possibile uso propagandistico che
di tale viaggio un domani potrà essere fatto) , ma , al di là
di questa caduta di tensione e di attenzione, nessun altro
comportamento men che normale o corretto è stato compiuto dal
medesimo nel trattare con le persone suindicate.

Come si vedrà è assai probabile ( sebbene
non proceduralmente accertato con assoluta certezza) che il Priore
non sia stato a Montecarlo e non abbia giocato al Casinò con
il Pacifico e nemmeno che la di lui compagna ( sebbene non ancora
moglie, ma la circostanza è assolutamente ininfluente ) abbia
ricevuto in regalo da Previti o Berlusconi gioielli o collier
natalizi; e quindi, a maggior ragione, deve con assoluta certezza
escludersi che il Priore abbia potuto in alcun modo offrire i propri
servigi e/o la propria disponibilità al Previti o a
Berlusconi o comunque a persone dagli stessi promananti.

Egli non ha venduto la propria funzione e non ha nemmeno
prospettato che tale comportamento potesse essere in qualche modo
possibile.

*

Detto questo , e quindi prospettata anche la valutazione
della falsità dell’accusa rivolta dall’Ariosto al
Priore , devono adesso esaminarsi, con la dovuta attenzione, le
testimonianze dibattimentali e le acquisizione documentali, al fine
di poter ricostruire , con la massima possibile precisione, la
dinamica degli eventi così come raccontati dall’Ariosto
nel corso delle sue deposizioni; questo al fine sia di concretizzare
in modo preciso la suindicata falsità delle accuse, e però
di soppesarne la verosimiglianza e la credibilità , per poter
poi effettuare la necessaria disamina e conseguente valutazione
dell’elemento soggettivo del reato.

Perché se è vero che l’Ariosto ha (
solo in parte) raccontato fatti non veri , è altrettanto vero
che tali fatti hanno avuto per lei una loro oggettiva credibilità
ed hanno contribuito a creare una falsa rappresentazione della realtà
che sta alla base della successiva estrinsecazione della stessa nei
termini delle citate ( ed incriminate) deposizioni.

Questo perché un fatto può
essere oggettivamente falso, ma può essere creduto
ragionevolmente vero da chi lo racconta , per motivi e circostanze
che al fatto stanno intorno , o che stanno dentro l’animo di
chi il fatto ha vissuto : come si è già detto
l’erronea convinzione della colpevolezza del
soggetto accusato esclude il dolo , purchè tale convincimento
si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni “

( Cass. citata sentenza n. 13912 del 9 febbraio 2004).

L’analisi del dolo e la sua
conseguente valutazione da parte del giudicante deve quindi essere
assai pregnante e ( nei limiti del possibile) scavare nella
personalità del soggetto , nelle motivazioni del suo operare ,
nelle modalità complessive delle sue azioni e dichiarazioni ,
al fine di comprendere se , nel caso in esame, sia stata passata la
linea di confine che separa un convincimento basato su elementi
seri e concreti
da quello dovuto a semplici supposizioni.

Naturalmente questo tipo di analisi e di
valutazione deve essere fatta ex ante , e cioè
nel momento in cui la persona ha effettuato le sue dichiarazioni (
attesa anche l’istantaneità del reato di calunnia) e non
può essere fatta ex post , e cioè dando
per scontata la falsità delle dichiarazioni al momento in cui
sono state fatte e le successive spiegazioni o affermazioni
dell’imputata : come si è detto ( ma appare esercizio
non futile il ripeterlo) un qualcosa che ex post si è scoperto
essere falsa non è detto che sia stata percepita come tale ex
ante, e , inoltre, le spiegazioni e le affermazioni che una persona
fa del proprio operare precedente possono essere indizi importanti
delle motivazioni di tale operare, ma non costituiscono la prova
della verità o veridicità dello stesso.

Quel che si vuol cercare di argomentare è
che il dolo nel reato di calunnia va cercato con ogni strumento
possibile e lecito ma mettendosi sempre con una attitudine mentale
che privilegi una valutazione completa degli elementi che il soggetto
aveva al momento del fatto e non dopo lo svolgimento dello
stesso: per questi motivi è giurisprudenza costante della S.C.
che la ritrattazione successiva , di per sé, non sia elemento
sufficiente per annullare l’antigiuridicità del
comportamento lesivo , essendo, tutt’al più un elemento
ulteriore dello stesso comunque valutabile in termini di gravità
della condotta precedente.

In breve va verificata quale era
l’attitudine mentale dell’Ariosto al momento delle sue
dichiarazioni, per capire se la stessa abbia detto il falso sapendo
di mentire
e quindi per una precisa volontà di
“incastrare” il Priore con una falsa accusa , ovvero se
ella abbia detto ( in parte) cose non vere credendole vere e quindi
senza nessuna volontà calunniatrice nei confronti del
medesimo.

Ed infine, va verificata se la falsa
rappresentazione della realtà dell’Ariosto sia
ragionevole, e cioè dovuta non a superficialità
e faciloneria ( che potrebbero essere la spia di un dolo ,seppure
eventuale, nella misura in cui tale atteggiamento psicologico sia
riconoscibile nel reato in questione [Cosa, come si è
detto e si dirà, esclusa dalla giurisprudenza della S.C.]
),
ma a elementi che avrebbero tratto in inganno una persona dotata di
una media intelligenza delle situazioni e delle cose.

In estrema sintesi, come dice la S.C. nella
sentenza citata “la sussistenza del dolo, in sintesi, si
immedesima con l’accertamento della cosciente falsità
delle circostanze oggetto della denuncia”.

Va quindi capito e verificato se l’Ariosto era
cosciente , al momento del fatto, delle falsità delle
circostanze che hanno fatto oggetto della sua dichiarazione e,
comunque, se ed in qual modo tali dichiarazioni possano dirsi false.

*

Andiamo con ordine , ripercorrendo tutto il corso delle
dichiarazioni che l’imputata ha reso dinanzi al Pm di Milano
nel corso del 1995 e 1996, :

*

L’Ariosto è quindi convinta che Priore
faccia parte del gruppo di pressione , della lobby, dell’entourage
che Previti avrebbe costruito intorno a sé e che conterebbe
numerosi magistrati del Tribunale di Roma .

Questa sua convinzione deriva da una serie di argomenti
fattuali e da una serie di deduzioni:

Le dichiarazioni dell’Ariosto in
merito al suo incontro avvenuto al Casinò di Montecarlo in
data fine 91/inizi 92 con l’avvocato Pacifico e con persona
da lei identificata come il giudice Priore
sono complessivamente
credibili , e non solo perché supportate da concordi
dichiarazioni di testi a difesa ( i testi Giglio e Confalonieri, ud.
29 giugno 2005), ma anche per la loro iniziale coerenza e per la
carenza di una qualsiasi ragione che ne motivi la falsità.

Come si è visto l’Ariosto sta fornendo, nel
momento in cui racconta di tale fatto, ai giudici che la stanno
ascoltando come teste, una serie di elementi , di fatti, di
circostanze che la stessa ricorda e racconta per esperienza personale
e che, per la loro importanza e gravità, costituiscono un
banco di prova molto elevato della sua credibilità come
persona e come testimone .

Non si vede per quale motivo ( se non per una
incredibile vena masochista) ella debba raccontare ,falsificandola,
una vicenda che lei ha visto e percepito personalmente nei confronti
di una persona di cui , perlomeno fino a quel momento, nemmeno
ricordava il nome al solo fine di inquinare la complessiva veridicità
delle sue dichiarazioni .

E’ ben vero che la S.C. afferma che non rileva,
nel momento in cui si fa una calunnia, la motivazione profonda
dell’agire ( e cioè il movente ) del soggetto, ma è
altrettanto vero che, nel momento in cui si sta scandagliando
l’elemento soggettivo del reato, nemmeno può essere
totalmente pretermessa la ragione dell’agire di una persona
all’interno di un preciso contesto spaziale e temporale. Nel
caso in esame, il soggetto è un teste che sta raccontando di
cose e persone che non hanno come oggetto principale il Priore
Rosario e che, quindi, non costituiscono l’elemento principale
della volontà ( eventualmente) calunniatrice del soggetto
stesso.

In breve il fatto che l’Ariosto abbia “
tirato dentro” alle sue complessive dichiarazioni il Priore ,
raccontando la vicenda di Montecarlo, è fatto che non ha
giustificazioni e motivazioni alternative alla necessità ed al
dovere di testimoniare da parte della medesima, e che non ha ( o
perlomeno non mostra di avere ) nessun elemento di precostituita
falsità.

Questo non vuol dire che il fatto sia assolutamente e
totalmente vero in tutte le sue componenti ( per es. la data in cui è
avvenuto; ovvero le parole che si sono dette, la presenza di tutte le
persone citate, e così via) , perché, soprattutto
quando si raccontano fatti lontani nel tempo e , sul momento, non
così tanto significativi per chi li compie, è ben
possibile sbagliare una o più circostanze dei medesimi, senza
tuttavia che questi errori ne inficino complessivamente la validità.

Ma anche si voglia affermare ( stavolta si in modo,
assolutamente semplificatorio, tale da evidenziare motivi profondi e
non provati) che l’Ariosto aveva una sua nascosta motivazione
per inventarsi di sana pianta alcune circostanze a carico di Priore (
per es. l’antipatia personale, o la necessità di tirar
dentro ai suoi racconti una personalità conosciuta per dar
loro più forza mediatica) non si comprende per quale motivo
ella abbia voluto (a distanza di 15 anni dai fatti ) far venire a
testimoniare a suo favore ben due testimoni dei fatti medesimi, con
grave rischio non solo di questi ultimi ( ne è prova la
richiesta di trasmissione atti per falsa testimonianza da parte del
PG procedente) ma anche della propria credibilità.

In questo senso occorre essere ben chiari :
i testi in questione ( Giglio e Confalonieri) sono sicuramente testi
per così dire “tardivi” (sebbene la loro
tardività sia ben spiegabile con il fatto che mai, prima di
ora, l’Ariosto era stata imputata di calunnia ai danni di
Priore, e che quindi è ragionevole la loro ricerca e
ritrovamento in questo momento storico e non prima) ma , perlomeno a
parere di chi scrive, non vi è alcuna ragione per farli
ritenere, per il solo fatto della loro tardività ,dei
testi falsi.

Sono testi che raccontano (anche con dovizia di
particolari, alcuni inevitabilmente imprecisi) di un fatto assai
lontano nel tempo , rimasto loro impresso per una serie di motivi
precisi, e ritornato alla mente anche su sollecitazione dell’imputata
(Giglio afferma, senza infingimenti, di essere stato contattato
dall’Ariosto che gli ha riportato l’episodio alla
memoria) ; non solo, ma sono testi che non soltanto confermano
l’Ariosto sul punto dell’incontro al casinò, ma
che si confermano tra di loro sulla reciproca presenza nell’incontro
medesimo; infine confermano ambedue che l’Ariosto avrebbe loro
detto la frase “ anche i giudici vanno al casinò”
indicando una persona che il Giglio non ha nemmeno visto e che gli è
stato detto essere il Priore, e che la Confalonieri ha affermato
esserle sembrato il Priore medesimo; il Giglio, inoltre, dà
tutta una serie di elementi di contorno al fatto ( ragione della sua
presenza al casinò, presenza di altro amico sulla cui barca
egli andava, incontro con attrice famosa, periodo e stagione
dell’incontro) che fanno ritenere la sua testimonianza
sicuramente genuina e priva di quegli elementi di dubbio che la teste
Confalonieri potrebbe portare con sè ( la signora è
stata una specie di dama di compagnia dell’Ariosto, era perciò
molto affezionata alla stessa, ha lavorato per lei, e quindi potrebbe
essere stata indotta alla testimonianza di favore per un evidente
sentimento di riconoscenza); senonchè la presenza della
Confalonieri insieme all’Ariosto al casinò di Montecarlo
in quel preciso momento storico è confermata non solo
dall’Ariosto, ma anche dal Giglio che, come si è detto,
nessun motivo avrebbe per dichiarare una cosa così
grossolanamente falsa.

E nemmeno è del tutto vero quanto, acutamente,
rilevato dal PG nel corso della sua requisitoria finale, che cioè
la presenza dei due testi sarebbe falsa in quanto era stata la stessa
Ariosto a dire , nel corso delle deposizioni incriminate, che al
Casinò di Montecarlo era da sola e quindi non accompagnata da
nessuno: a prescindere dal fatto che la presenza del Giglio, in
quanto persona incontrata solo in quel momento e non poi più
vista, era meramente casuale e dovuta al fatto dell’incontro (
e quindi non può dirsi che l’Ariosto “fosse”
con il Giglio al Casinò in questione) , va comunque notato che
è stata la stessa imputata ( ascoltata come teste nel corso
dell’incidente probatorio il 31.5.1996) ad affermare che non
ricordava bene se ,in quell’occasione citata, fosse da sola o
in compagnia. Insomma l’Ariosto, sollecitata da una parte
processuale per la prima volta sull’argomento in questione, non
afferma con assoluta certezza la sua “ solitudine” al
Casinò , solitudine che, quindi, non può essere ( in
maniera così netta) utilizzata contro di lei e contro i testi
dalla stessa apportati al dibattimento.

Insomma è ragionevolmente credibile
che l’Ariosto sia stata al Casinò di Montecarlo nel
corso dell’anno 1992 ( probabilmente in estate, stagione
richiamata dal Giglio e indirettamente confermata dall’Ariosto
medesima che fa riferimento ad una festa della Rosa o della Croce
Rossa, feste ambedue che cadono , per il principato di Monaco, nel
periodo estivo) e che abbia sicuramente visto una persona insieme
all’avvocato Pacifico che gli è sembrata essere il
Priore e che ella ha indicato come il Priore a persone che erano con
sé o che ha allora incontrato.

Questo giudice ritiene di potere ( in termini di
convinzione personale) escludere la verità della circostanza
in esame, che cioè il giudice Rosario Priore sia stato al
Casinò insieme all’avvocato Pacifico nel periodo
indicato o in qualunque altro momento storico: sia perché egli
è persona nota nell’ambito professionale di cui anche
questo giudice fa parte, sia perché magistrato da sempre
altamente impegnato nella conduzione di processi di rinomanza
nazionale ed internazionale .
Negli anni in questione egli era
(senza alcun dubbio) quasi sempre sotto scorta e quindi
sostanzialmente impossibilitato a condurre una vita di facili
guadagni sperperabili ad un qualunque casinò.

Va tuttavia detto, con altrettanta
chiarezza ed onestà intellettuale che non esiste agli atti
di questo procedimento la prova assoluta ed inconfutabile della sua
mancanza al casinò di Montecarlo nel periodo indicato dalla
imputata (
e poi precisato dal Giglio e cioè l’estate
del 1992, ovvero, a dar esclusivo credito all’Ariosto, il
periodo di vacanze natalizie tra il 1991 ed il 1992): come è
ovvio che sia , la scorta che accompagnava il giudice Priore in quel
periodo della sua attività lavorativa , su richiesta o
indicazione della persona scortata ( vedi dich. Vuono Vincenzo , Capo
servizio scorte , ud. 27.5.2005) non prestava il proprio servizio ,
soprattutto in corrispondenza dei periodi feriali o estivi ( vedi, a
questo proposito le relazioni di servizio delle scorte prodotte dalla
parte civile Priore , che, nel periodo delle ferie natalizie tra il
dicembre 2001 e gennaio 2002, hanno numerosi “ buchi” e
cioè momenti e giornate in cui il Priore non era sotto la
protezione della scorta suddetta) [Periodo 30 dicembre 1991/4
gennaio 1992; periodo 5 e 6 gennaio 1992 in cui viene testualmente
affermato che “la personalità non desidera scorta”]
.

Questo, naturalmente, non vuol dire in
nessun modo che la persona vista dall’Ariosto a Montecarlo sia
stata Priore: vuole soltanto dire che non vi è la prova
assoluta che non fosse Priore.

In questo senso deve dirsi che a nulla rileva il fatto
che il teste Fabbri ( Capo funzionario del Casinò di
Montecarlo e della società che si occupa della gestione dei
casinò del Principato di Monaco) abbia affermato che nei
registri dei casinò monegaschi non sia presente il nome di
Priore per tutto il periodo 1990/1993 : è stato lo stesso
Fabbri a precisare ( su domanda di questo giudice) che è
possibile entrare al casinò senza dover presentare alcun
documento di riconoscimento se solo ci si accompagna a giocatori
cosiddetti “abituali” ( per es. l’avvocato
Pacifico, giocatore abituale per sua tranquilla ammissione) e cioè
ben conosciuti alla porta dai ccdd. “ fisionomisti” e
cioè dal personale presente agli ingressi dei locali.

Peraltro la circostanza della non necessità
della registrazione dei propri dati per poter accedere al casinò
è circostanza confermata dal Giglio, e, indirettamente ed
ulteriormente, anche dallo stesso Fabbri che ( nella missiva inviata
a questo giudice il 17 giugno 2005ed acquisita agli atti del
dibattimento) afferma che la signora Ariosto non era conosciuta o
registrata al casinò di Montecarlo ; circostanza che, (e cioè
la presenza dell’Ariosto al Casinò) invece, deve darsi
per assolutamente certa, in quanto confermata (oltre che dalla stessa
Ariosto) da numerosi testi, e non ultimo, dallo stesso Attilio
Pacifico nel corso del suo esame dibattimentale dinanzi a questo
giudice monocratico come imputato di reato connesso. [La
credibilità del Pacifico ( e del Previti), nella vicenda
processuale in questione non può considerarsi assoluta, sia
per l’evidente interesse processuale dagli stessi posseduto
anche per fattispecie processuali collegate alla presente, sia,
soprattutto, per il fatto che gli stessi sono stati ascoltati come
imputati di reato connesso ai sensi dell’art. 210 CPP; le loro
dichiarazioni possono quindi essere ritenute credibili e
processualmente significative solo se ( come nel caso in questione)
sono confermate anche da ulteriori elementi processuali.]

Si ripete che tutto questo non vuol
dire che l’Ariosto abbia detto il vero quando ha riferito di
aver incontrato Priore a Montecarlo, ma semplicemente che non vi è
agli atti di questo procedimento la prova assoluta della mancanza di
Priore a Montecarlo nel periodo indicato.

Ancora, questo non vuol dire che l’Ariosto abbia
detto il falso nelle dichiarazioni surriportate e relative al fatto
in questione , ma solo che la stessa ha affermato una circostanza
vera quando ha riferito di aver incontrato a Montecarlo nel periodo
in questione una persona che si accompagnava all’avvocato
Pacifico e che gli era sembrata essere il giudice Priore .

*

Fin
qui gli argomenti fattuali “ a favore” della convinzione
dell’Ariosto in merito alla presunta “ colpevolezza”
del Priore.
Va
ora dato conto delle sue deduzioni di tipo logico per comprendere se
si è in presenza di “ supposizioni” senza alcun
riscontro nella realtà ovvero di ragionevoli valutazioni
conseguenti a fatti rilevanti.
L’Ariosto,
come si è già detto, “deduce” l’inserimento
o comunque l’appartenenza del Priore all’ ”entourage”
di magistrati collegati all’avvocato Cesare Previti e , tramite
lo stesso, a Silvio Berlusconi, dagli elementi di fatto fin qui
esaminati ( il viaggio NIAF negli USA, la conoscenza tra Priore,
Previti e Pacifico, la sua visualizzazione di persona che ella crede
essere Priore a Montecarlo con Pacifico, le dichiarazioni dei
fratelli Eleuteri in merito ai regali natalizi dello stesso Previti e
di Berlusconi, le affermazioni di Previti in ordine alla consuetudine

di pagare i magistrati, la sua visualizzazione di passaggi di danaro
tra Previti ed il giudice Squillante) elementi che, mescolati insieme
nella sua memoria , producono le dichiarazioni del 1995 e del 1996 al
PM di Milano che la sta interrogando come testimone ( e quindi con
l’obbligo espresso di dire la verità) in ordine alla sua
conoscenza di gravi fatti di corruzione avvenuti negli anni
precedenti , fatti a cui la stessa ha partecipato, naturalmente in
veste non di attrice principale, e che quindi ha l’obbligo di
riferire.
Questa
non è la sede appropriata per valutare e soppesare la “
credibilità” complessiva della allora teste Ariosto
Stefania e la validità o la portata delle sue dichiarazioni
rese nel procedimento penale da cui poi sono scaturite le successive
istruttorie dibattimentali e le conseguenti decisioni dell’A.G.
di Milano che molto eco hanno avuto ( per l’oggettiva rilevanza
delle questioni in gioco) sulla stampa nazionale ed internazionale :
sarebbe ultroneo e forse anche gratuito qualsiasi giudizio di questo
giudice su tali fatti e sulle conseguenze dei medesimi.

Va
soltanto notato, per esclusivo amore di precisione e di chiarezza,
che le dichiarazioni dell’Ariosto, nel momento in cui sono
state fatte, per la loro intrinseca rilevanza e valore, hanno
costituito un elemento importante a livello istruttorio di tali
vicende processuali ed hanno successivamente ricevuto una complessiva
conferma a livello dibattimentale ( anche se tale livello non ha
raggiunto lo stato di definitività delle sentenze correlate ,
può e deve comunque dirsi che l’Ariosto è stata
“complessivamente creduta” dai giudici che la hanno
ascoltata).
L’Ariosto,
per quel che qui riguarda, ha parlato con cognizione di causa ( e
qualche volta con un certo eccesso di verbosità e di
animosità) di fatti che la stessa mostrava di conoscere , per
esserne stata , in parte, spettatrice e comparsa : le sue
dichiarazioni nei confronti di Priore non sono state rese in una
specie di vuoto pneumatico in cui la stessa ,avendo dei conti in
sospeso con la magistratura romana e con il giudice Priore in
particolare [Si rammenti ( ed è ora il caso di farlo)
che la allora teste Ariosto, nel momento in cui vede per la prima
volta il giudice Priore in foto, non lo riconosce e non ne dà,
conseguentemente, il nome: se tale nome non fosse stato fato
dall’ufficio procedente appare lecito ritenere probabile che
del giudice Priore, nella vicenda processuale de qua, non si sarebbe
più parlato in alcun modo]
, esprimeva delle
accuse precise e circostanziate nei confronti dello stesso; sono
state , invece, rese in un coacervo complessivo di racconti e fatti
che riguardavano in prima e seconda battuta, persone che con Priore
avevano in comune forse solo il concorso in magistratura e poco
altro; quando l’Ariosto parla del Priore lo fa in modo
assolutamente marginale e tralaticio : ella sta parlando di fatti di
corruzione che riguardano giudici romani, avvocati che lei ben
conosce, personalità politiche a cui lei è legata o
che frequenta giornalmente , passaggi di danaro poco comprensibili o
comunque oscuri , gestioni di lobbies o di “circuiti
giustizia”, insomma un universo complesso di fatti e persone
legate da particolari connivenze e ancor più particolari
interessi.
Quando
ella parla del Priore ( e lo fa, come si è detto, in modo
comunque marginale) è sicuramente e pesantemente condizionata
da tutto il complesso dei fatti e delle percezioni che ella ha
sicuramente vissuto e che costituiscono l’”humus”
di memoria da cui ella trae i propri convincimenti e le proprie
valutazioni : ella inserisce ( e come si è detto, sbaglia) il
Priore in questo “ circuito giustizia “ che faceva
riferimento all’avvocato Previti o che comunque Previti ha, in
qualche modo, gestito , perché crede che la persona che ha
visto a New York insieme a Previti e che ha creduto di rivedere a
Montecarlo insieme a Pacifico , faccia parte di questo circuito e di
questo universo , con tutte le conseguenze in termini di “ricaduta
corruttiva” o comunque di corruttibilità personale e
professionale.

Ella
ben sa che Priore non ha preso soldi da Previti o da chi per esso
(vedi le citate dichiarazioni dibattimentali del proc. N. 1600 /00)
ma ritiene che la persona in questione faccia parte di questo gruppo
di “ amici allegri” [Come lei stessa li definisce
nel corso del dibattimento del proc.n. 1600/00]
legati
da connessioni di interesse e di potere che ha visto insieme ai
pranzi offerti da Previti a New York e che ha creduto di rivedere
altre volte .
Come
si è più volte ripetuto , l’Ariosto sbaglia, ma
sbaglia in buona fede sulla base di elementi oggettivi e soggettivi
che si intersecano tra di loro nella sua memoria e che , in un
certo senso, la “ inducono” a sbagliare .
A
parere di questo giudice non vi è alcuna possibilità di
dubbio sulla carenza dell’elemento soggettivo in capo
all’imputata: ella non appare responsabile nemmeno in termini
di dolo cosiddetto eventuale (sempre che tale categoria concettuale
sia riferibile al reato in questione, che , invece, come si è
già detto, a parere di questo giudice e di gran parte della
S.C., esclude la configurabilità di tale fattispecie [
Non esiste, nel nostro codice penale la “ calunnia colposa”e
pertanto l’imputata non può nemmeno essere considerata
responsabile di comportamenti e modalità di agire che
potrebbero ( in ipotesi) ascriversi in tale profilo della condotta (
e cioè avventatezza, superficialità, scarsa
attenzione)]
) attesa la inesistenza di una “
cosciente “ falsità delle circostanze dedotte a carico
della persona ingiustamente accusata e ,comunque, la presenza di
modalità complessive di comportamento che appaiono “ ex
ante” giustificabili e giustificate da quanto dalla stessa
percepito e compreso nella vicenda in questione.
Per
questi motivi Stefania Ariosto va assolta dal reato contestato con la
formula collegata alla carenza dell’elemento soggettivo, e cioè
che il fatto non costituisce reato.
Il
PG d’udienza ha richiesto la trasmissione degli atti
all’ufficio della Procura di Milano per procedere nei confronti
di Natale Giglio e Confalonieri Iride in ordine al reato di falsa
testimonianza commesso nell’udienza del 29 giugno u.s: per i
motivi che sono stati qui svolti, questo giudice ha ritenuto che i
testi in questione siano da considerarsi credibili e quindi non ha
acceduto alle richieste del PG; l’evidente alternatività
delle due soluzioni rende, a parere di chi scrive, inevitabile questo
tipo di opzione procedimentale .
Vanno
invece trasmesse al Pm di Milano, per quanto di competenza, e sempre
su richiesta del PG d’udienza, le dichiarazioni spontanee rese
da Stefania Ariosto nel corso dell’ultima udienza
dibattimentale : il PG non ha precisato la natura dell’eventuale
reato commesso in udienza dall’imputata e questo rende, sempre
a parere dello scrivente, obbligatoria e non disputabile la richiesta
trasmissione .

PQM
Visto l’art. 530 CPP
Assolve
Ariosto
Stefania dal reato ascrittole perché il fatto non costituisce
reato.
Dispone
La trasmissione al PM sede delle dichiarazioni
spontanee rese da Ariosto Stefania nell’odierna udienza , per
quanto eventualmente di competenza.
Indica
In giorni 60 il termine di deposito per la
motivazione della presente sentenza.
Milano
3. Novembre. 2005


Indirizzo:
http://old.magistraturademocratica.it/platform/2005/11/30/lassoluzione-di-stefania-ariosto-dallimputazione-di-calunnia-danno-del-giudice-rosario-pr