III. La nomina degli uffici direttivi apicali:una questione aperta

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1. La discussione in ordine alle modalità di nomina dei "vertici"
della Corte di cassazione ha tormentato a lungo il Consiglio
per l'ostinazione con la quale la sua stragrande maggioranza ha
sostenuto la tesi della persistente validità del c.d. interpello, ossia
della procedura di selezione preventiva, ad opera della Commissione
direttivi, della "rosa" dei magistrati da valutare ai fini della
designazione dei posti apicali. Una procedura che era stata adottata
anche per l'attribuzione dell'incarico di Procuratore generale
al dott.Favara nel marzo 2000 e che, a seguito dell'annullamento
della relativa delibera da parte del Consiglio di Stato, ha
dato luogo, a distanza di circa un anno mezzo, ad un grave vuoto
istituzionale.
Le ragioni addotte dal "partito" dell'interpello (al quale soltanto
Md si è opposta con decisione) erano di varia natura; ed in
questa sede non possono che essere riportate in estrema sintesi.
Sul piano giuridico, l'argomento addotto dai fautori dell'interpello
era il tenore dell'art.189 dell'ordinamento giudiziario.
Facile obiettare - e sin dall'inizio obiettato dai consiglieri di Md
- che tale disposizione, a ben vedere, non offre alcun elemento di
supporto a quella tesi per molteplici ed insuperabili motivi: non
sopravvivono, infatti, n l'attribuzione al ministro della giustizia
del potere di proposta (appartenendo esso, per dettato normativo,
ad una Commissione del Consiglio superiore), n la deliberazione
di nomina del Consiglio dei Ministri, sostituita a sua volta
dalla competenza dell'organo di autogoverno. Anche l'assenza di
ogni criterio di valutazione per le nomine in questione, che contraddistingueva
la procedura disegnata dall'art.189 ord. giud., ha
ceduto il passo alla indicazione dei requisiti per il conferimento
degli uffici direttivi di vertice, avendo l'art.6 della legge 24 maggio
1951, n.392, previsto successivamente che anche gli uffici di
primo presidente e di procuratore generale sono conferiti "per
anzianità e per merito". Una volta verificato che il nucleo centrale
della procedura (nei suoi due aspetti della proposta e della nomina)
e i criteri di valutazione per la nomina erano stati, e da decenni,
diversamente regolati, avrebbe dovuto prendersi semplicemente
atto che l'art.189 era diventato ormai "un guscio vuoto".
Del resto, il riferimento alla "scelta" in esso contenuto, che
secondo i fautori dell'interpello è gravida di significati, trovava
una esauriente giustificazione sol nel contesto politico-istituzionale
di origine. Se si tiene presente che proposta e nomina erano,
all'epoca, prerogative rispettivamente del ministro e del Consiglio
dei Ministri, si comprende infatti che la previsione per cui la
"scelta" dei magistrati da nominare dovesse restare circoscritta
nell'ambito di una rosa di magistrati di alto grado costituiva in
realtà l'unico limite alla discrezionalità dell'esecutivo e l'unica garanzia
nei confronti di nomine arbitrarie o intensamente fiduciarie.
Il riferimento alla "scelta", in definitiva, non poteva nel 1941
- n oggi - essere letto come esaltazione della discrezionalità degli
organi dotati del potere decisionale.
Accanto alle ragioni fondate sul dato normativo, per conferire
legittimità al sostanziale arbitrio rimesso - in passato - alla
Commissione (la quale, nel caso relativo al dott. Favara, aveva -
ad esempio - ristretto l'interpello ai soli magistrati preposti a funzioni
direttive superiori da data anteriore al gennaio 1981) si faceva
poi leva, ricorrendo ad espressioni tanto altisonanti quanto
prive di ogni valido supporto teorico, sulla particolare natura
della delibera concernente l'attribuzione di quei "prestigiosi uffici
direttivi", da considerarsi almeno alla stregua di un "atto di
alta amministrazione", se non addirittura di "un atto politico ovvero
di governo", destinata come tale a sottrarsi ad ogni verifica
di legittimità e di merito.
2. A dare nuova linfa a queste deboli argomentazioni, è poi intervenuta una sentenza del giudice amministrativo (Tar. Lazio,
n.12943/2000), la quale, nel respingere il ricorso proposto nei
confronti del dott. Favara da uno dei magistrati esclusi dall'interpello,
ha affermato tra l'altro che la contestata procedura trovava
il suo fondamento anche nella prassi costantemente seguita,
per circa quaranta anni, dall'organo di autogoverno, sottolineando
come la normativa consuetudinaria operi come fonte elettiva
proprio nelle situazioni e nei rapporti che vedono coinvolti organi
di rilievo costituzionale, qual è il Csm. Neppure i rilievi del
giudice amministrativo apparivano, peraltro, persuasivi, come si
è avuto modo di rilevare nel plenum del 7 marzo 2001, riguardo
al quale occorre fare un passo indietro per dar conto di quanto
nel frattempo era accaduto.
Si era verificato, infatti, che alcuni componenti della Commissione
direttivi, pur ribadendo, tanto pi alla luce della sentenza
del Tar Lazio, che la procedura dell'interpello era da ritenersi assolutamente
legittima, avevano tuttavia avvertito l'esigenza di individuare
dei "criteri per la selezione dei concorrenti al fine di
evitare che - in assenza di essi - l'interpello possa costituire od
apparire un vero e proprio atto di imperio della sola Commissione,
impedendo la candidatura di prestigiosi aspiranti". Avevano,
quindi, ritenuto che, in conformità a quanto previsto dalla Circolare
consiliare del 7 luglio 1999, che indica i criteri preferenziali
per la valutazione degli aspiranti agli uffici direttivi superiori,
la rosa dei destinatari dell'interpello potesse opportunamente
comprendere i magistrati che, negli ultimi quindici anni, siano
stati titolari di uffici direttivi superiori per almeno due anni ed
abbiano esercitato funzioni di legittimità per almeno quattro anni.
E con il voto favorevole degli altri componenti della Commissione,
ad eccezione del rappresentante di Md, che si era invece
astenuto, avevano portato all'Assemblea plenaria poc'anzi ricordata
una proposta in tal senso, che andava ad integrare la circolare
sugli incarichi direttivi.
In quella sede il gruppo consiliare di Md non ha potuto non
apprezzare il fatto che attraverso la regolamentazione della procedura dell'interpello fosse stata superata l'ampiezza sostanzialmente
illimitata dei poteri discrezionali in precedenza attribuiti
alla Commissione. Nel contempo ha, però, ribadito la sua contrarietà
all'interpello per le ragioni già note ed ha, inoltre, sollevato
serie perplessità - come si è accennato - sulla validità della
tesi sostenuta dal giudice amministrativo circa la sussistenza di
una consuetudine, rilevando soprattutto che faceva nella specie
difetto ogni indagine volta ad accertare se la ritenuta prassi consiliare
fosse sorretta da una comune opinio iuris ac necessitatis, se
cioè non solo l'organo di autogoverno, ma anche il corpo dei magistrati,
avesse introiettato il carattere vincolante dell'uso. E si è
attestato, anch'esso, su una posizione di astensione.
3. Ben può dirsi che si era stati facili profeti.
Con sentenza del 6 novembre 2001 il Consiglio di Stato, adìto
dalla parte soccombente, ha ribaltato la decisione del Tar Lazio,
sottolineando, per un verso, che se il Consiglio superiore può
prestabilire delle regole cui attenersi nel procedere in concreto
all'apprezzamento delle singole posizione degli aspiranti, una facoltà
del genere non può comunque essere attribuita alla Commissione
preposta al conferimento degli uffici direttivi; e, per altro
verso, che non vi  spazio per l'invocata consuetudine in
quanto "le fonti primarie forniscono, attraverso l'interpretazione,
elementi sufficienti per individuare le corrette modalità da seguire
per la scelta del candidato pi idoneo". In definitiva - ha
concluso il giudice amministrativo - "la procedura cosiddetta
dell'interpello, pur se ha avuto nel tempo ripetute applicazioni,
diverge"dal dettato normativo", con la conseguenza che la delibera
con la quale era stato attribuito al dott. Favara l'incarico di
Procuratore generale non poteva che essere annullata.
Di qui il vuoto istituzionale cui si è fatto inizialmente riferimento
ed al quale si è cercato di porre prontamente rimedio attraverso
l'immediata rinnovazione della procedura concernente
la copertura di quel posto apicale alla stregua della delibera del 7
marzo 2001 (mediante, cioè, l'interpello "allargato"); procedura
al cui esito l'ufficio in questione è stato nuovamente attribuito al
dott. Favara, la cui posizione non è stata successivamente da altri
"insidiata", assumendo così un carattere di definitività.
Sarebbe, tuttavia, illusorio ritenere che l'attuale procedura di
interpello, pur con tutti i miglioramenti, anche in senso garantistico,
che sono stati ad essa apportati, possa in futuro sottrarsi alla
scure dei giudici amministrativi, soprattutto ove si consideri
che nella sentenza pi volte richiamata il Consiglio di Stato ha
espressamente escluso che l'organo di autogoverno - la cui discrezionalità
è assai elevata quando procede alla valutazione dei
singoli aspiranti - possa tuttavia introdurre "requisiti di legittimazione"
non previsti dalle fonti primarie. In realtà, i tempi sembrano
ormai maturi per la introduzione della regola "aurea" del
concorso anche in relazione agli incarichi direttivi apicali, la cui
importanza e prestigio - se è questo che preoccupa coloro che al
concorso si oppongono - non sarebbero certamente scalfiti dall'ampliamento
dell'area degli aspiranti: va detto, infatti, che le residue
resistenze sono soprattutto di ordine culturale e che esse
vanno, peraltro, superate se si vuole evitare che i provvedimenti
del Csm, ed anzi proprio quelli di pi spiccato rilievo, possano -
come è avvenuto nella vicenda Favara - essere cancellati con un
tratto di penna dai giudici amministrativi nel doveroso esercizio
delle loro funzioni.

02 03 2003
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