XIII. Le modifiche al regolamento interno

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  1. E' probabile che, nei magistrati che non abbiano mai vissuto direttamente l'esperienza del Consiglio superiore, il suo Regolamento interno rimandi ad una dimensione vagamente burocratica; che i componenti della Commissione chiamati ad occuparsene siano da essi considerati dei travet di gogoliana memoria; e che i relativi dibattiti (che pure hanno talvolta impegnato l'assemblea plenaria per ore ed ore) siano ritenuti la quintessenza del bizantinismo.
    Se è valida una testimonianza proveniente dall'interno, va detto che così non è. In realtà, quel Regolamento, che è il frutto di stratificazioni ormai quarantennali e la cui lettura ed interpretazione non sono - spesso - affatto agevoli, ha realizzato pur sempre un delicato equilibrio tra le competenze proprie dei diversi organi del Consiglio (il comitato di presidenza, il vicepresidente, il segretario generale, le commissioni, il plenum ), sì che ogni sua modificazione, pur marginale, è idonea ad alterare l'assetto raggiunto, con eventuali contraccolpi sui rispettivi poteri: anche rispetto ai contenuti del Regolamento si sono talora riproposti, pertanto, i tradizionali schieramenti tra le diverse "anime" del Consiglio, rispettivamente orientate ad esaltare ovvero ad indebolire il ruolo dei singoli componenti.
    Tre vicende possono essere illuminanti al riguardo.
  2. Allorch lo scorso anno, al fine di realizzare un sistema meno farraginoso e pi razionale di quello vigente, sono state riformulate le norme regolamentari che disciplinano l'ordine e le modalità delle votazioni nell'ambito dell'Assemblea plenaria, è stata manifestata una certa resistenza, in particolare da parte di Unicost, ad accettare l'idea che, in caso di ballottaggio, dovessero essere poste contestualmente in votazione le proposte presentate in Commissione e quelle formulate direttamente in plenum. Ove una tesi del genere fosse risultata vincente (ma così, per fortuna, non è stato) il singolo componente del Consiglio sarebbe stato privato della facoltà di offrire alla valutazione del plenum la propria tesi e ne sarebbe risultato un ingiustificato sbilanciamento a favore delle Commissioni, che pur del Consiglio costituiscono mere articolazioni. N può trascurarsi che i gruppi associativi, ad eccezione di Unicost, non sono presenti in tutte le Commissioni, per cui il ventilato divieto avrebbe penalizzato le altre "correnti", cui in taluni casi sarebbe stato di fatto impedito di formulare una propria proposta.
  3. Un'analoga linea di tendenza può cogliersi nel dibattito svoltosi di recente in occasione della proposta avente ad oggetto la modificazione della norma regolamentare che disciplina le modalità della discussione in plenum (durata delle relazioni e degli interventi, repliche, emendamenti, dichiarazioni di voto, ecc.), proposta che non è poi sfociata in una delibera in quanto, essendo state sollevati dei rilievi critici in relazione ad alcune innovazioni, si è deciso che fosse restituita alla Commissione per un nuovo esame.
    Prescindendo da ogni altro aspetto delle modifiche proposte (sulla maggior parte delle quali si era in realtà registrato in Commissione un ampio consenso), va in questa sede sottolineato che nella norma vigente è stabilito che in relazione a talune questioni di carattere, per così dire, preliminare (richiesta di rinvio, questione preclusiva e regolamentare, ecc.) sono ammessi ad intervenire, non diversamente che per le questioni di merito, tutti i componenti, con la sola esclusione di repliche e dichiarazioni di
    voto.
    Orbene, una parte del Consiglio (Unicost, ma non solo) ha proposto che per la richiesta di rinvio e per le questioni regolamentari si ammettesse, invece, l'intervento di un solo componente a favore e di uno contrario, sottraendosi così ai singoli componenti un diritto irrinunciabile, quale è quello di intervenire nel dibattito consiliare e di esprimere la propria posizione in ordine a richieste e questioni che non possono, poi, considerarsi affatto di carattere marginale. Modifica che tanto pi è apparsa inaccettabile se si considera che, a differenza che in altri organi istituzionali di natura collegiale, nell'ambito del Consiglio superiore non è prevista la costituzione di "gruppi", dei quali un componente possa assumere la rappresentanza, con la conseguenza che la variazione suggerita finirebbe per non dar voce ad alcune posizioni ideali pur presenti in plenum.
  4. 4. Ma la vicenda pi grave, che ha suscitato una forte reazione nel gruppo di Md, è quella relativa alla modifica dell'art.27 del Regolamento interno, il quale disponeva che in presenza di "fatti suscettibili di valutazione in sede disciplinare", emersi dall'attività compiuta dalle Commissioni in ordine a rapporti ed esposti relativi alla condotta di magistrati, il Consiglio ne informasse i titolari dell'azione disciplinare. Potere, questo, che il Consiglio aveva di frequente esercitato, limitandosi ovviamente a segnalare la mera esistenza di un fumus, senza affatto compiere - come stabilisce del resto il terzo comma di quella norma - "alcuna valutazione sulle responsabilità disciplinari che possano eventualmente risultare", essendo ogni iniziativa al riguardo rimessa - come è ben noto - al ministro della giustizia ed al Procuratore generale presso la corte di cassazione.
    Sennonch, assumendo essenzialmente che nell'esercitare quei poteri il plenum era spesso andato, in concreto, ben al di là di una mera delibazione dei fatti oggetto di esame e che si veniva così a realizzare un "pregiudizio" in capo, in particolare, ai componenti della Sezione disciplinare, inevitabilmente chiamati a partecipare alla discussione o, quanto meno, alla votazione, i cons. Caferra (Unicost) e Pastore Alinante (laico di sinistra) hanno proposto, ottenendo la maggioranza dei consensi, che l'art.27 fosse modificato nel senso che sia la Commissione competente a trasmettere direttamente al Vicepresidente, per il successivo inoltro ai titolari dell'azione disciplinare, gli atti relativi a circostanze eventualmente rilevanti sotto il profilo disciplinare.
    E' forse appena il caso di sottolineare che quella sorprendente delibera spoglia, in buona sostanza, il Consiglio di quel potere che in precedenza gli era stato doverosamente attribuito dal Regolamento ed introduce un palese squilibrio nell'assetto stesso dell'organo di autogoverno.
    Essa, infatti, sembra violare in primo luogo la stessa legge istitutiva del Csm, che non attribuisce alle Commissioni alcun potere deliberativo o, comunque, a rilevanza esterna (fatta eccezione per il "concerto" che la V Commissione deve richiedere al ministro della giustizia nell'attribuzione di incarichi direttivi, fermo restando, peraltro, che tale attività si inserisce pur sempre nell'ambito di un procedimento preordinato a sfociare in una delibera del plenum). Inoltre, rimette la valutazione circa la sussistenza del fumus di un illecito disciplinare ad un'articolazione consiliare (la Commissione, appunto), la cui attività non è affatto caratterizzata dalla trasparenza e pubblicità proprie dei lavori del plenum e che, per le sue limitate dimensioni, non comprende tutte le posizioni lato sensu politiche presenti in Consiglio.
  5. Le radicali novità introdotte, anche in ordine alla composizione del Consiglio superiore, dalla recente legge in tema di modifiche al sistema elettorale, comporteranno inevitabilmente delle variazioni non marginali del testo regolamentare (in relazione, ad esempio, al numero delle Commissioni, alcune delle quali dovranno essere accorpate; alla loro composizione, essendo impensabile che a taluna di esse possano - come oggi - partecipare ben nove consiglieri; al numero dei componenti - attualmente pari a cinque - che in presenza di pi proposte possono chiedere che la votazione avvenga con il sistema del ballottaggio; ecc.).
    Il primo impegno dei neo-eletti dovrà, pertanto, estrinsecarsi nell'evitare che attraverso tali modifiche ne risultino indeboliti i diritti dei singoli componenti e siano ulteriormente mortificati i poteri del plenum, in relazione al quale va ribadita la sua posizione di assoluta centralità, così come va riaffermato - alla luce della legge istitutiva del Consiglio superiore - che esso, ed esso soltanto, è titolare di poteri deliberativi.
    In un diverso contesto storico-istituzionale l'enunciazione di questi principi apparirebbe totalmente superflua: ma le tendenze già manifestatesi nell'attuale consiliatura, che si iscrivono del resto nel solco di quella curvatura autoritaria che connota l'attuale quadro politico, giustificano le preoccupazioni espresse e reclamano, quindi, una particolare attenzione anche sulle vicende regolamentari
    per il mantenimento, ed anzi per il recupero, della pi ampia dimensione partecipativa in seno all'organo di autogoverno.
06 03 2003
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