I compiti di Md in difesa dei diritti

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Alla domanda "quanto sono forti i diritti?", in Italia, in Europa, nel mondo, non si può che rispondere: poco e sembrano destinati ad esserlo sempre meno.

Cosa può fare Magistratura democratica, qual è il nostro compito? Ne vedo uno fondamentale: svelare gli inganni e le ipocrisie dei poteri che dipingono come vecchio, anacronistico e superato l’assetto dello Stato sociale e delle attuali tutele dei soggetti deboli, e contrabbandano come nuova e moderna la controriforma neoliberista della società. Il privato contrapposto al pubblico, il flessibile al rigido, l’individuale al collettivo, la libertà alle asfissianti regole nei comportamenti. Lo Stato deve fare un passo indietro e nello Stato la giurisdizione, con la sua pretesa di controllo di legalità. Tutto ciò è buono, nuovo e moderno e rischia di passare come la panacea di tutti i mali anche tra gli strati pi deboli della popolazione, che costituiscono in realtà i bersagli pi esposti del ridimensionamento dello Stato sociale (la sessione di sabato si occuperà in particolare di questo tema).

Dobbiamo quindi mostrare in che modo i diritti sono attaccati nei pi diversi settori, svelando come le moderne riforme governative non sono altro che controriforme, con il ritorno ad un passato, che sembrava ormai superato dalle conquiste della civiltà giuridica e sociale, e che viene oggi riproposto sotto le mentite spoglie di nuove idee, che spesso sono invece ultracentenarie, da liberismo ottocentesco. Lo stesso compito abbiamo nel panorama sovranazionale: dobbiamo denunciare, ad esempio, come ha fatto Elena Paciotti, il tentativo di svalutare i diritti fondamentali europei a meri principi programmatici o raccomandazioni o spiegare, come ha scritto molto bene Luigi Ferrajoli, che la guerra in Iraq sarebbe comunque illegittima, anche se venisse autorizzata dal Consiglio di sicurezza, non potendo essere assimilata all’uso legittimo della forza consentito dalla Carta dell’Onu.

Md sta assolvendo a questo compito e deve continuare a farlo con maggiore impegno.

Cerco di dare anch’io un piccolo contributo con qualche rapido esempio nel settore del lavoro.

Già pochi mesi dopo il suo insediamento l’attuale governo è intervenuto pesantemente, portando al limite estremo il processo di liberalizzazione dei contratti a termine, peraltro iniziato con i governi precedenti, ed esasperando quindi la precarizzazione del mondo del lavoro.
La conseguenza è evidente: sempre pi lavoratori, per non rischiare il mancato rinnovo del contratto o nella speranza della trasformazione del rapporto a termine in rapporto stabile, potranno essere costretti a sopportare violazioni dei loro diritti senza reagire.

Il governo ha affermato che il provvedimento era necessitato, perch in attuazione di una direttiva comunitaria: ma non è vero. La direttiva del 1999 prevedeva, infatti, che gli stati membri potessero mantenere o introdurre disposizioni pi favorevoli per i lavoratori: quindi non è vero che il governo fosse obbligato ad inserire nel nostro ordinamento condizioni meno favorevoli. Al contrario la direttiva vietava modificazioni peggiorative e non vi è dubbio che la legge peggiori la precedente normativa italiana sui contratti a termine: si pensi all’estrema genericità delle condizioni necessarie per l’applicazione del termine e all’esclusione della conversione in rapporto a tempo indeterminato in caso di violazione. Per di pi la legge viola la stessa direttiva non prevedendo una durata massima dei contratti a termine e un numero massimo di rinnovi consentiti e soprattutto smentendo, con la specifica disciplina adottata, il principio, ribadito nella direttiva, secondo cui il rapporto a tempo indeterminato rimane la regola, mentre il rapporto a termine è l’eccezione.

Altro esempio. In questi giorni al Senato sta per essere definitivamente approvato il disegno di legge sul mercato del lavoro (tranne gli articoli stralciati), che costituisce una vera e propria controriforma, incidendo pesantemente sulla struttura complessiva del diritto del lavoro.

Md ha già svolto una critica stringente al disegno di legge con articoli e convegni. Mi limito quindi a poche osservazioni a titolo esemplificativo.

In generale, con l’ingannevole giustificazione di rendere pi efficiente il mercato del lavoro e di favorire quindi l’occupazione, si manifesta chiaramente l’intenzione di allentare gli attuali "vincoli soffocanti" per gli imprenditori (pag. 9 relazione), mediante un’opera di "snellimento e semplificazione delle procedure", di "semplificazione degli oneri amministrativi e burocratici", di apertura al privato, con riduzione dell’intervento pubblico (viene ridimensionata in particolare l’essenziale funzione pubblica di controllo del collocamento al lavoro, con rinascenti rischi di abusi e discriminazioni).

Va abrogata, allora, la troppo "soffocante" legge che vieta l’intermediazione di mano d’opera. La relativa delega, ammette infatti, con il ritorno al vecchio caporalato, l’appalto di mere prestazioni di lavoro, quando sussista una ragione tecnica, organizzativa o produttiva, individuata dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali. Ciò comporta, oltre ad evidenti rischi di disparità di trattamento tra zone diverse (dato il rinvio anche alla contrattazione territoriale), il sostanziale svuotamento del divieto, favorito dalla previsione di una originale "certificazione", non già della natura del rapporto (come si vedrà nella specifica delega in materia), ma addirittura della liceità anche penale dell’intermediazione.

Altre deleghe, in ossequio all’ingannevole mito della flessibilità, proseguono l’opera di precarizzazione del mondo del lavoro, autorizzando, ad esempio, qualsiasi forma flessibile ed elastica del part time, consentendo cioè modifiche della ripartizione settimanale e giornaliera dell’orario di lavoro anche comunicate dal datore di lavoro giorno per giorno o addirittura attimo per attimo, con evidenti effetti di disgregazione delle normali condizioni di vita del lavoratore.

Un accenno, infine, agli effetti delle deleghe sulla giurisdizione, che rischiano di mortificare l’originaria funzione del processo del lavoro, un processo, come scriveva Pino Borrè, "volontariamente diseguale" per riequilibrare lo svantaggio di partenza del lavoratore rispetto al datore di lavoro, in esecuzione dei precetti costituzionali.

L’obiettivo di marginalizzare l’intervento del giudice del lavoro non è affatto nascosto: era già scritto a chiare lettere nel Libro bianco di Maroni ed invocato per risolvere la crisi della giustizia del lavoro, imputabile ovviamente ai magistrati, "sia per i tempi con cui vengono celebrati i processi, sia per la qualità professionale con cui sono rese le pronunce". In sostanza, poich i tempi della giustizia sono lunghi e la qualità professionale dei magistrati scadente, meglio ridurre al minimo il loro intervento.

L’ipocrisia di tali affermazioni è stata svelata successivamente dal grave comportamento del Ministro della giustizia, che, come è noto, sta ritardando, con risibili giustificazioni, i concorsi e la conseguente applicazione della legge sull’aumento d’organico, che prevede, tra l’altro, il raddoppio dei giudici del lavoro (solo in questi giorni, dopo ben due anni, il ministro è stato costretto ad avviare la riforma).

L’aumento immediato non avrebbe consentito di giustificare il progetto di ridimensionamento della giurisdizione del lavoro, ritenuta troppo invasiva nei confronti degli imprenditori, che si inserisce a pieno titolo nel progetto complessivo di riduzione del controllo di legalità.

Va in questa direzione la delega relativa alla "certificazione" della natura del rapporto, autonomo o subordinato, a cui difficilmente il lavoratore potrà sottrarsi, accettando, pur di lavorare, una qualificazione che dà minori tutele, e soprattutto quella sull’arbitrato, attualmente stralciata, che sarebbe consentito anche se non previsto dai contratti collettivi e con giudizio secondo equità (quindi anche in violazione di norme inderogabili di legge e degli accordi sindacali), impugnabile solo per vizi procedimentali. E’ evidente che la proposta mette in grave pericolo l’intera struttura di garanzia del rapporto di lavoro, nonostante la formale "volontarietà" del ricorso agli arbitri: il lavoratore, pur di essere assunto, sarà portato a sottoscrivere clausole compromissorie ad uso e consumo del datore di lavoro, senza alcuna garanzia, che potrebbe derivare dall’intervento dei sindacati, ad esempio in ordine alla composizione genuina e davvero terza del collegio.

Ho fatto solo alcuni esempi di una deriva che, sotto il velo della pretesa lotta alla disoccupazione, mette in realtà in discussione la stessa ragion d’essere del diritto del lavoro e cioè la necessità di tutelare in modo speciale il lavoratore come parte debole del rapporto, e ciò in spregio al principio costituzionale di eguaglianza sostanziale.

Cosa può fare Md per svelare questi inganni e queste deformazioni della realtà in questo e negli altri settori del diritto? E’ sufficiente parlarne al Congresso o discuterne nei convegni? Certamente no! Noi non abbiamo i mezzi e la capacità mediatica di altri. Non bastano neppure i manifesti, le interviste, l’acquisto di pagine sui giornali, seppure utili e necessari.

Credo che l’unico modo per essere ascoltati, per riacquistare credibilità, è metterci in discussione, da un lato non avendo paura di criticare le decisioni e i comportamenti interni alla magistratura, dall’altro confrontandoci con l’esterno (gli altri operatori del diritto, la società civile, i movimenti, le associazioni degli utenti, i sindacati), per spiegare disfunzioni ed incongruenze e per comprendere le esigenze dei cittadini, nella convinzione che efficienza ed autonomia della giurisdizione sono strumentali all’effettiva realizzazione dei diritti.

Concludo con un passo della relazione del Segretario, che ben sintetizza il mio pensiero: "La scelta, l’originalità, la ragione stessa di Magistratura democratica stanno nel suo essere aperta al confronto con l’esterno, nella convinzione che una giurisdizione adeguata ai bisogni della società deve necessariamente alimentarsi del confronto con i portatori di questi bisogni".

Questa è la strada giusta. Percorriamola senza autocensure, perch la democrazia in questo paese ha bisogno anche della nostra voce.

24 01 2003
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