Efficienza in nome del popolo

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  1. Con molta precisione Renato Greco ha fatto riferimento, nel suo intervento, al ruolo promozionale del diritto e quindi, in particolare, al ruolo della giustizia civile, perch sembra anche a me che è questo appunto – il ruolo promozionale del diritto - ciò che risulta pi esposto a quanto di aggressivo si sta verificando intorno alla giurisdizione. Vi è indubbiamente, come è stato osservato con efficace immagine suggestiva, il fenomeno di “biodegrabilità” e di adattamento delle norme quando vengono immesse nell’ordinamento giuridico assoggettandosi all’attività di interpretazione ed alla virtuale verifica di compatibilità costituzionale. Ma vi è purtroppo, già in atto, anche un fenomeno di biodegradazione della stessa Costituzione, formale e materiale, e del ruolo della giurisdizione, ciò che rende pi difficile e aleatorio l’altro fenomeno di biodegrabilità a cui ha fatto accenno Giuliano Amato nella tavola rotonda di giovedì pomeriggio.
  2. Guardando alla Costituzione con il binocolo rovesciato il Ministro, cui competono per dovere costituzionale l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, ha dichiarato all’assemblea plenaria del Consiglio che non intende iniettare nuove risorse in un sistema che non funziona, e che ogni intervento sul piano organizzativo è stato accantonato fino a quando non sarà attuato un nuovo equilibrio tra politica e magistratura e non verrà realizzata una complessiva riforma dell’ordinamento giudiziario. Conseguentemente i fondi destinati alla giustizia subiscono un taglio del 10%; la prospettiva di revisione delle circoscrizioni giudiziarie viene abbandonata e restano inattuate le proposte di riassetto organico della magistratura onoraria e della sua redistribuzione sul territorio; è stato bandito, sino ad oggi, uno soltanto dei tre concorsi per l’ingresso in magistratura previsto da una legge di due anni fa, e nulla viene fatto per porre rimedio alla scopertura di organico del 13% del personale amministrativo o per affrontare la drammatica situazione delle notificazioni, causata dalla scopertura di posti del personale giudiziario e da modifiche normative che hanno accresciuto enormemente le formalità processuali. L’età pensionabile dei magistrati viene elevata a 75 anni, ma nulla si sa quanto allo sviluppo ed al completamento di numerosi progetti informatici per i quali sono state già spese somme ingenti, mentre continua a restare inappagata l’esigenza di introduzione almeno parziale dell’ufficio del giudice.
    Si assiste nel contempo ad una escalation che, attraverso ripetuti e sistematici attacchi ai magistrati nell’esercizio delle loro funzioni; l’introduzione di leggi sostanziali e norme processuali di evidente favore; lo scavalcamento del principio del giudice naturale reso possibile direttamente dalla legge; la denuncia delle posizioni culturali e delle appartenenze ideali dei magistrati come pretesto per screditarli e farli apparire inaffidabili nell’esercizio delle funzioni; la curvatura restauratrice insita nel progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, mira al ripristino di un modello di giudice burocrate e funzionario, di quel giudice “bocca della legge” che veniva definito impolitico sol perchè prono e ossequiente al potere politico dominante, un giudice che stava al di sotto della Costituzione in quanto obbediva alla legge anche quando la legge era in contrasto con la Costituzione.
    Fa parte di questa complessa vicenda anche la tendenza alla progressiva emarginazione della giurisdizione ordinaria, attuata non soltanto con l’introduzione nel settore del lavoro di una giustizia arbitrale disancorata dal dovere di applicare le norme inderogabili e con il ridimensionamento del ruolo del giudice nell’ambito del processo civile, ma anche con la sottrazione sempre pi ampia al giudice “naturale” di controversie relative ad interessi di precisa rilevanza costituzionale e corrispondente attribuzione al giudice amministrativo di ampi settori della giurisdizione sui diritti. Anche i progetti di ristrutturazione delle Autorità amministrative c.d. indipendenti, nel senso di configurarle non quali strumenti di attuazione della legalità sostanziale dell’azione amministrativa (e, cioè, lungo il versante della sfida democratica contenuta nell’art. 97 della Costituzione) ma quali strumenti di gestione discrezionale del mercato e del potere economico, rientrano a far parte di un quadro di indebolimento complessivo del controllo di legalità sull’esercizio dei pubblici poteri.
    Tutto questo accade in un contesto che vede crescere povertà e disuguaglianze, appannarsi - nel destino di insicurezza che è già drammatica realtà per milioni di lavoratori e per intere popolazioni in tutto il mondo - fondamentali garanzie dello Stato sociale e della dignità della persona, mettere in discussione universali diritti di libertà e di cittadinanza mentre i venti di guerra e la clonazione degli esseri umani disegnano un inquietante futuro, un futuro che in realtà è già presente.
  3. Se si torna a guardare alla Costituzione, puntando il binocolo dalla parte dei cittadini e dei loro diritti insoddisfatti, emerge invece, in successione:

    • che per il buon funzionamento della giustizia è necessario garantire mezzi, strumenti e risorse materiali; colmare i ritardi nell’attuazione della legge sui concorsi in magistratura; provvedere alla copertura delle vacanze degli organici del personale amministrativo e degli ufficiali giudiziari; attuare la revisione delle circoscrizioni giudiziarie secondo criteri di funzionalità e di efficienza; dotare tutti gli uffici delle indispensabili strutture e tecnologie informatiche; realizzare un sistema statistico idoneo ad assicurare una conoscenza veridica e completa della realtà quale presupposto per una migliore organizzazione del lavoro giudiziario ed una pi efficace gestione delle risorse;
    • che al suo funzionamento giovano anche appropriate modifiche processuali, con tutto ciò che ne consegue anche in termini di semplificazione delle forme, di ristrutturazione del sistema delle impugnazioni e di radicale rinnovamento del processo di esecuzione, muovendo dalle cose già fatte per migliorarle e completare il cammino, e non partendo ogni volta da zero buttando all’aria quanto di positivo è stato nel frattempo faticosamente realizzato;
    • che occorre rimodellare con urgenza compiti e funzioni della magistratura onoraria nel quadro della cornice costituzionale di riferimento e nel senso della funzionalità complessiva del servizio giudiziario, riorganizzare la distribuzione sul territorio degli uffici del giudice di pace, affrontare senza pi indugi il problema dell’indipendenza anche interna dei magistrati onorari rendendo tra l’altro trasparente e verificabile l’esercizio delle funzioni dei coordinatori dei giudici di pace e facendo in modo che la formazione costituisca anche per la magistratura onoraria il principale veicolo di indipendenza.
    • che il “giusto” processo e la sua ragionevole durata si ottengono infine con misure capaci di far sì che il processo possa costituire per tutti un tramite effettivo di tutela; facendo crescere accanto e intorno al processo una fitta rete di strumenti capaci di favorire il superamento e la composizione dei conflitti senza necessità di ricorrere al giudice; facendo in modo che ogni giurisdizione si caratterizzi per omogeneità di garanzie sotto il profilo della terzietà ed indipendenza del giudice.

    Di tutto questo c’è bisogno – non dell’emarginazione della funzione direttiva del giudice all’interno del processo - prima che i danni già gravissimi diventino irreparabili con quella nuova organizzazione dei rapporti tra politica e magistratura vagheggiata dal Ministro Castelli.

  4. Ma il buon andamento della giustizia civile investe direttamente anche i compiti dell’autogoverno e postula tra l’altro un forte rinnovamento di cultura organizzativa, poich è anche lì, sul terreno dell’organizzazione, che nascono i disagi e i disservizi per gli utenti, oltre al discredito dell’istituzione giudiziaria ed il suo allontanamento dalla coscienza collettiva.
    Non basta richiamare la Costituzione ed esibirla all’inaugurazione dell’anno giudiziario; occorre riuscire a farla vivere concretamente anche nell’esercizio quotidiano delle proprie funzioni. Dobbiamo essere capaci - come ci ha ricordato fino all’ultimo Carlo Verardi, - “di ridurre la distanza tra le elaborazioni culturali e politiche ed i concreti modi di essere della magistratura e della giurisdizione”, non solo “attraverso il rilancio della riflessione critica sulla giurisprudenza”, ma anche con “un diverso modo di essere negli uffici”, con “una critica e una denuncia alle distorsioni ed alle prassi organizzative”, il coraggio, “la pazienza e la tenacia di guardare al nostro interno, senza schivare gli “spigoli” della giurisdizione”.
    Essere indipendenti, infatti, non significa comportasi come se del modo in cui si organizza e si fa il proprio lavoro non si dovesse rendere conto a nessuno; e non dobbiamo stancarci di ripetere che il buon funzionamento della giustizia postula anche criteri di rigorosa selezione nella nomina dei dirigenti degli uffici e nel conferimento degli incarichi semidirettivi, implica capacità di intervento contro ogni forma di abuso, di inettitudine o di inerzia, richiede un sistema di verifiche periodiche ed effettive della professionalità. Come annovera la capacità di saper riconoscere le prassi virtuose ed i modelli positivi, di incentivarle e di favorirne la diffusione.
    E’ anche dalla tensione costante non solo verso l’imparzialità e l’indipendenza, ma anche verso la professionalità, che dipende la sorte concreta dei diritti, il modo in cui si affermano o deperiscono nella concreta realtà della vita.
  5. La costruzione di una nuova idea di cittadinanza, che “assuma come premessa necessaria la saldatura tra il riconoscimento dei diritti universali – civili, , politici e sociali – a tutti gli esseri umani e la consapevolezza della dimensione ormai pluriculturale delle società democratiche”, rimanda ad un processo assai complesso, di cui sono parte integrante i comportamenti e le politiche degli Stati nazionali, il futuro della Carta europea dei diritti e la direzione in cui si evolverà il processo di costituzionalizzazione in atto, ma a cui concorrono necessariamente anche le giurisdizioni dei diversi paesi, l’opera dell’avvocatura nel farsi tramite di promozione e affermazione di diritti, il ruolo del mondo accademico e della cultura giuridica complessivamente intesa.
    Se la giurisprudenza sarà chiamata ad essere, sempre pi spesso, il campo di un grande confronto civile e democratico, un argine agli arbitri ed alle logiche conformatrici del mercato, un tramite di adeguamento delle legislazioni nazionali ai principi di un nuovo costituzionalismo fondato sui diritti universali e sulla solidarietà tra persone, ognuno deve saper ritrovare il senso e l’utilità della propria funzione, sentendosi partecipe del processo di costruzione che raccoglie questa spinta universale. Una partecipazione che non si risolve nella fredda, distratta o burocratica applicazione di tecniche giuridiche, ma è opera di attenta e paziente comprensione dei beni materiali e dei valori sostanziali in gioco e, proprio per questo, non può maturare nel distacco, nell’isolamento o nell’atarassia, ma richiede confronto continuo, sensibilità culturale, capacità di ascolto. Di qui, tra l’altro, il ruolo strategico della formazione professionale e l’insostituibile funzione degli Osservatori sulla giustizia civile, che nella pratica del dialogo e del confronto hanno saputo dare espressione concreta alla comune cultura della giurisdizione accomunando magistrati, avvocati, docenti universitari e personale giudiziario, al di fuori di ogni logica di appartenenza, nella consapevolezza che la risposta alle difficoltà di funzionamento della giustizia civile deve essere cercata riaffermando, nei diversi ruoli, la fedeltà ai valori ed ai principi della Costituzione, di cui fa parte quello del giusto processo, come strumento di inveramento e di garanzia dei diritti e delle libertà.
    Come è stato osservato, la storia della magistratura dal 1948 è storia di attuazione dei principi contenuti negli artt. 101, secondo comma e 107, terzo comma della Costituzione. Questa storia ha consentito poco a poco di convincere i magistrati italiani (o almeno la loro grande maggioranza) che essi potevano, senza rischi, esercitare le loro funzioni in modo indipendente dalla volontà espressa o presumibile del potere esecutivo, dei loro superiori gerarchici e di qualunque altro personaggio che si presentasse per una ragione o per un’altra come un “potente”; e per questa via ha consentito di ritenere concretamente possibile l’applicazione della regola, scritta in tutte le aule di giustizia, ma troppo spesso in passato disattesa, secondo la quale la legge è uguale per tutti. Nonostante le difficoltà del presente non v’è ragione perch questa storia si arresti. E non si fermerà, se i magistrati continueranno essi per primi ad essere consapevoli, come lo sono stati le amiche e gli amici indimenticabili che nell’esercizio quotidiano delle loro funzioni hanno saputo sempre anteporre i fini della Costituzione ad una Costituzione senza fini, che amministrare la giustizia in nome del popolo non significa essere asserviti alla volontà della maggioranza politica di turno, ma costituisce uno scudo ulteriore all’indipendenza, garanzia insuperabile per giudici soggetti solo alla legge che sappiano guardare ai bisogni di giustizia della società avendo in mente l‘art. 3 della Costituzione.
23 01 2003
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