Le correnti e la cosiddetta politicizzazione del Csm

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Quando si parla di "tempi e qualità della giustizia", inevitabilmente si fa
anche riferimento al ruolo e all'attività del Csm quale organo di "amministrazione
della giurisdizione". Tra le cause primarie dell'asserito cattivo funzionamento
del Consiglio viene sempre indicata la c.d. politicizzazione dell'organo che
avrebbe snaturato le proprie funzioni, assurgendo goffamente al ruolo di "parlamentino
dei magistrati", modificando così il suo ruolo originario.
La nuova legge elettorale ha tra i suoi obiettivi dichiarati quello di "spoliticizzare"
il Csm, attraverso l'eliminazione delle c.d. correnti, in modo da ridare
efficienza e "neutralità" all'azione del Csm Questo obiettivo viene perseguito
attraverso l'abolizione del voto di lista, la riduzione del numero dei componenti
e la separazione dell'elettorato passivo tra p.m. e giudici. Il nuovo sistema
elettorale incide dunque, oltre che sulla quantità, sulla qualità della rappresentanza
dei magistrati, in via diretta ed immediata, facendosi carico di quell'accusa
di "politicizzazione" che i promotori del disegno di legge rivolgono all'attività
e al ruolo del Consiglio.
Metodi intriganti e faccendieri, clientelismo, personalismi, macchine elettorali,
favoritismi e lottizzazione sono prospettate come le caratteristiche dominanti
della struttura organizzativa del Csm, così come è stata sinora espressa
dai sistemi elettorali degli ultimi vent'anni. Credo che occorra superare l'impatto
emotivo suscitato da accuse generiche, ma sapientemente orchestrate e ripetute
in modo ossessivo, per chiarire concretamente i problemi che pure esistono,
e analizzare se il rimedio proposto sia idoneo a sanare i mali cui si allude.
Cominciando però a sgombrare il campo da tutta l'aurea suggestiva che l'accusa
di politicizzazione, genericamente diffusa, inevitabilmente solleva. Possono
essere attribuiti tre significati al termine "politicizzazione":
1) collegamento improprio a partiti e potentati politici;
2) politicantismo, cioè mutuazione dei metodi degenerativi della vita politico/amministrativa;

3) politicità: consapevolezza, cioè, delle scelte di valore e dei momenti indirizzo
per la vita dell'istituzione e dell'intera magistratura.
Su queste premesse il rigore dell'analisi deve essere razionale e intellettualmente
onesto e riconoscere che insieme alle importanti funzioni di gestione amministrativa,
che devono essere caratterizzate da correttezza, imparzialità ed efficienza,
vi sono momenti dell'attività del Consiglio connotati da una intrinseca politicità,
esercizio di un potere di indirizzo le cui scelte sono volte ad attuare i principi,
i fini, le regole che la Costituzione assegna all'istituzione giudiziaria.
Privilegiare anzianità o attitudini nel conferimento di incarichi e funzioni,
fissare i limiti e le modalità dell'attività di inchiesta del Consiglio, attuare
in modo pi o meno ampio una scelta in favore della pubblicità e della trasparenza
della sua attività, scegliere i percorsi, i temi e le linee direttive della
formazione professionale, stabilire i criteri organizzativi che devono essere
posti alla base della materia c.d. tabellare, ribadire , con forza, e sempre
drammaticamente pi spesso, il ruolo dell'istituzione giudiziaria all'interno
di un corretto assetto dei poteri costituzionali, sono attività che impongono
scelte alla cui base vi sono valutazioni interpretative, analisi bilanciate,
individuazione di punti qualificanti, che possono trovare la loro organizzazione
ed il loro denominatore comune soltanto in una coerente "politica" giudiziaria.

Ma questa dimensione "politica", che trova la sua sintesi efficace nella formula
dell'autogoverno, coglie il suo percorso obbligato nei valori che la Costituzione
assegna alla giurisdizione: autonomia e indipendenza della magistratura, obbligatorietà
dell'azione penale, rifiuto di giudici speciali o "politici" (salvo i casi previsti
dagli artt. 90, c.2, e 103 della Cost.), tutela giudiziaria di ogni situazione
garantita dall'ordinamento, tutela del pluralismo giudiziario, controllo della
costituzionalità delle leggi.
Perch allora non è giusto considerare il Csm come l'istituzione naturale
deputata a rappresentare le diverse posizioni ideali presenti nella magistratura,
espresse dalle varie aree culturali e che hanno trovato la loro legittimazione
proprio nell'azione svolta sinora all'interno dell'organo di autogoverno? Perch
negare che il Csm , grazie alla sua struttura è stato un luogo idealmente
e pluralisticamente qualificato, ha rappresentato un punto di convergenza dove
dai confronti, anche aspri, sui pi importanti temi istituzionali e professionali,
si è sviluppata e consolidata un'area di comune consenso, di un consenso laico
e non ideologico, sui valori istituzionali fondamentali, quali, ad es. l'autonomia,
l'indipendenza e la funzione di garanzia della giurisdizione? Ma con quale superficialità
si può affermare che il pluralismo culturale presente nel Csm costituisce
la riproduzione degli schieramenti partitici, causa ed effetto quindi della
deprecata politicizzazione? Solo un esame approssimativo o non obiettivo dell'attività
del Csm non può riconoscere il pluralismo ideale esistente all'interno di
ciascun gruppo, che fa giustizia sommaria di ogni ipotizzabile cordone ombelicale
con singoli schieramenti politici.
Ciò che deve preoccupare l'istituzione giudiziaria sono piuttosto i casi di
collateralismo politico occulto di singoli esponenti del mondo giudiziario,
che mettono, quelli si, in crisi la legittimazione sociale della magistratura,
e perciò la sua indipendenza. Ed allora perch non riconoscere che l'autonomia
politico - culturale sviluppatisi all'interno della magistratura è stata capace
anche di decantare questi fenomeni degenerativi, grazie al modello associativo
pluralistico? E non è stata la sempre pi chiara caratterizzazione del Consiglio
in ordine alle scelte programmatiche, ai contenuti, alle linee di politica istituzionale,
pluralisticamente costruite attraverso il dibattito e il contributo trasparente
e verificabile delle varie componenti ideali, a costituire il rimedio pi efficace
contro le spinte clientelari?
Con il nuovo sistema elettorale si vuole spazzare via un sistema proporzionale
per liste concorrenti, che pur con tutti i suoi difetti è apparso lo strumento
organizzatorio pi valido del consenso dei magistrati, in quanto è stato il
naturale sviluppo e la coerente conclusione istituzionale della tradizione associativa
presente da lungo tempo in magistratura. Questo sistema, insieme al pluralismo
espresso dalle designazioni parlamentari ha determinato la vita dell'istituzione
e le sue linee generali, che possono essere condivise o meno, ma che sicuramente
non possono essere ricondotte a mere posizioni partitiche o corporative, se
non operando un arbitrario e riduttivo procedimento di amputazione intellettuale
del fenomeno. Non si può far finta di dimenticare che nel nostro sistema costituzionale,
nonostante le violente torsioni maggioritarie, vige ancora il c.d. "policentrismo
istituzionale", di cui è evidente espressione l'autogoverno del Csm Qual
è la coerenza costituzionale del progetto in cantiere con l'architettura disegnata
dal Costituente?
Il nuovo sistema elettorale non appare in grado, al di là delle affermazioni
di facciata, di eliminare alcuna delle superfetazioni del sistema, ma anzi rischia
di aggravarle, minando e non salvaguardando, al contempo, l'autonomia e l'indipendenza
della magistratura, e, con esse, del suo organo istituzionalmente rappresentativo.
C'è un solo modo, a mio giudizio, per superare il pericolo della c.d. lottizzazione
e dello snaturamento della rappresentanza del Consiglio, da organo di rappresentanza
di un interesse generale comune, quello della giurisdizione, a centro di riferimento
di interessi personali, facilmente clientelari; in base alla Costituzione la
rappresentanza di interessi particolari, sia che essi si riferiscano a singoli
soggetti, o a aree geografiche , o a categorie di magistrati o a magistrati
individuati in base ai diversi "mestieri" non può avere legittimazione al Csm
Il Consiglio, organo di rilevanza costituzionale cura un unico interesse generale,
per cui deve poter rappresentare i diversi punti di vista con riferimento a
questo interesse, e trovare il modo migliore per raggiungerlo. Occorre dunque,
anche in questo nuovo scenario, fare leva sull' autonomia culturale derivante
all'istituzione dal confronto dialettico tra i magistrati e tra le aree culturali
di appartenenza; confronto trasparente e controllabile, svolto sulla base dei
valori propri dell'istituzione giudiziaria, così come previsti dalla carta costituzionale;
non è cedendo all'idea di burocratizzare il Csm che si salva la sua immagine
e la sua credibilità; non è consegnando l'organo di governo autonomo della magistratura
all'area dell'alta amministrazione che si difendono le condizioni indispensabili
del ruolo e dell'indipendente esercizio della giurisdizione.
Non è attraverso interventi sulla composizione e sulla struttura del Consiglio,
ricondotti, in questo caso, ad un quadro di centralizzazione di fatto dei poteri,
che si può utilmente percorrere la strada per attribuire coerenza ad un sistema
politico generale, che pure in altri settori sceglie la trama delle varie autonomie.
Occorre invece proteggere sino in fondo il ruolo dell'autogoverno.Solo senza
stravolgere le regole del libero confronto tra i diversi orientamenti ideali
e senza depotenziare la ricchezza del pluralismo associativo la magistratura
troverà la forza e la coerenza per il rispetto e la tutela di quei valori che
sinora sono stati espressi dalla capacità di autonomia politico - culturale
dell'istituzione , dalla sua capacità di essere rappresentanza di idee e non
di interessi.
La sfida che ci aspetta è dunque quella disegnata da un nuovo scenario, dove
saper cogliere comunque le opportunità per una rappresentanza che sia espressione
dell'interesse comune, non di particolarismi e di localismi, in modo che la
rappresentanza si leghi comunque ad un programma di idee condivise. Solo così
non avremo una fuga dalle responsabilità della magistratura, un abbassamento
della capacità della funzione giurisdizionale di dare risposte alle domande
di giustizia, senza protagonismi, ma senza atteggiamenti di subalternità culturale
e di conformismo, con quella crescente pigrizia morale che, come diceva Calamandrei,
"sempre pi preferisce alla soluzione giusta quella accomodante". Solo così
potrà esserci un magistrato che non avrà il "terrore" della propria indipendenza,
che non sarà condizionato da poteri ed interessi, ma sarà custode di impegno
e professionalità e dei valori essenziali della giurisdizione.
La magistratura non è il "partito della legge", ma è sicuramente custode della
tutela del principio di legalità e il Consiglio può e deve continuare a rappresentare
anche questo valore.
Giovanni Diotallevi

26 04 2003
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