Dieci tesi per Magistratura democratica

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Premessa: la giurisdizione come osservatorio privilegiato sulla realtà
/ I. Una società che ha fame di diritti / II. Il diritto e la forza /
III. L'Europa come speranza / IV. La difesa della Costituzione / V. Imparzialità
e contesto politico / VI. La centralità dello status del magistrato e
dell'ordinamento giudiziario / VII. Md, la giurisdizione e il servizio
giustizia / VIII. Md, l'Anm e i magistrati / IX. Md, l'avvocatura e la
cultura giuridica / X. Md, la società e la politica. Premessa (la giurisdizione come osservatorio privilegiato sulla realtà)
1. La giurisdizione costituisce un osservatorio privilegiato della evoluzione
della società, delle sue trasformazioni e delle sue tendenze e, nel contempo,
è una cartina tornasole del livello di democrazia di una collettività.
Al di là dei luoghi comuni, i dati e l'esperienza quotidiana delle aule
di giustizia segnalano molte cose: una giustizia sempre pi diseguale;
una giustizia che non riesce a soddisfare in tempi ragionevoli la domanda
di attuare i diritti; un abbandono della legalità non solo come priorità
da perseguire, ma anche come valore fondamentale di riferimento. 2. La crescita della disuguaglianza davanti alla legge, anzitutto. I
dati sul carcere segnalano una ulteriore crescita del numero dei detenuti:
dai 26.150 del 1990, dopo l'ultima amnistia e indulto del 1989, ai 54.079
del 2000, sino ai 56.574 attuali. Aumento del carcere che non corrisponde
a un aumento della criminalità, ma a un senso di insicurezza diffuso e
profondo. I dati Istat dimostrano, in particolare, come in questi ultimi
anni si sia avuto un calo sia dei "reati predatori" che degli omicidi
. E le caratteristiche dei carcerati dimostrano verso chi si è diretta
la pretesa punitiva: il 27,9 % di tossicodipendenti e il 30,7% di immigrati,
mentre il tasso di criminalità tra gli immigrati regolari è inferiore
a quello degli italiani (6 denuncie ogni 100 persone contro 9 ogni 100),
a dimostrazione che le cause della devianza non stanno tanto nei flussi
migratori e nella loro entità, quanto nelle politiche che li governano
e che producono clandestinità. Il processo penale, poi, mostra sempre
pi tempi ed effettività diversi a seconda dello status sociale dell'indagato
e del tipo di reato. Alla celerità (talora prossima alla sommarietà) dei
processi per direttissima o con riti alternativi, fa da contrasto la lentezza
dei processi di criminalità economica e organizzata. E' vero che il processo
inevitabilmente risente della struttura sociale, ma esso dovrebbe tendere
a diminuire (non ad esaltare) questi effetti. Invece si torna sempre pi
a un processo "di classe", tanto implacabile nei confronti di alcuni
strati sociali, quanto ineffettivo e declamatorio per altri. I processi
di Milano in cui sono imputate personalità istituzionali di primo piano
sono un evidente simbolo di ciò: la stessa possibilità di svolgere il
processo viene messa in dubbio con accuse di parzialità, di mala fede,
con minacce di ispezioni ministeriali o di procedimenti disciplinari.
Sono state pi volte cambiate le leggi da applicare nel processo e, ciò
non bastando, si è cercato di cambiare il giudice. Il principio di eguaglianza
di tutti i cittadini davanti alla legge è vulnerato e il messaggio è,
nel migliore dei casi, che i processi riguardanti gli uomini della politica
e i loro affari non si possono svolgere. La direzione è l'abbandono di
qualsiasi controllo penale (e non solo penale) nei confronti dei comportamenti
dei colletti bianchi. La legge sulle rogatorie, l'abrogazione di fatto
del reato di falso in bilancio, le depenalizzazioni e le modifiche in
corsa attuate in materia ambientale, le proposte di revisione della legge
fallimentare, il condono fiscale hanno come segno univoco il ritorno a
un diritto penale diretto esclusivamente al contenimento del disagio
sociale, da attuare in termini repressivi e all'insegna della tolleranza
zero. 3. La corruzione sembra non essere pi un problema, anche se l'Italia
si situa al 51 posto nella classifica mondiale al riguardo (ed episodi
di corruzione, anche di particolare gravità, continuano a emergere in
ogni parte del paese); e, contestualmente, la criminalità organizzata
è diventata una realtà, ancorch (forse) amara, con cui convivere. Il
tema della legalità, della lotta al crimine organizzato e della trasparenza
dei rapporti tra pubblico e privato sembra scomparso dai taccuini della
politica. Mentre una notevole percentuale dei processi scaturiti dalle
indagini condotte negli anni '90 si conclude con la prescrizione , nessuna
misura viene presa per rendere pi difficile la commissione dei reati
e pi facile la loro scoperta. Al contrario, alcuni interventi legislativi
hanno reso problematica la persecuzione di reati connessi alla corruzione,
il cui approfondimento era stato spesso occasione della scoperta di rapporti
illeciti tra il mondo degli affari e alcuni rappresentanti delle istituzioni.
L'azione di contrasto al crimine organizzato coinvolge, come noto, questioni
cruciali nella sfera giudiziaria, politica, sociale ed economica: l'inquinamento
dell'economia e della libera concorrenza, le potenzialità espansive anche
a livello territoriale, i legami tra gruppi mafiosi e gruppi terroristici,
tra mafia e segmenti istituzionali, la capacità di mimetizzazione all'interno
delle illegalità "ordinarie" e delle zone grigie degli affari e della
finanza, i riflessi sulle libertà fondamentali di tutti. Ma tutto ciò
sembra dimenticato o posto in secondo piano. Anche sull'esigenza di dotare
gli organi investigativi di strumenti adeguati e sulla individuazione
di strumenti processuali in grado di coniugare efficienza e garanzie
sembra calato il silenzio della politica. Gli interventi sono occasionali
e, spesso, strumentali alla delegittimazione della magistratura e del
suo operato. Alcune assoluzioni eccellenti sono state spregiudicatamente
utilizzate per rilanciare l'idea di un fenomeno mafioso tutto sbilanciato
sul profilo violento e "gangsteristico" o per affermare che certe regole
processuali, "buone" per condannare i boss, diventano ingiuste e intollerabili
se applicate a professionisti accusati di collaborare con la mafia. Ciò
è tanto pi grave nel momento in cui l'arrivo in terre di mafia di imponenti
risorse per "grandi opere" (a cominciare dal Ponte sullo Stretto) rischia
di rappresentare una formidabile occasione per la criminalità organizzata
e le imprese ad essa legate, come anche recentissimi episodi hanno già
testimoniato. 4. In questo contesto si assiste a un vero e proprio "attacco ai diritti".
A essere messi in discussione sono il diritto di cittadinanza (inteso
come tutela di un livello di vita dignitoso per tutti), il pluralismo
dell'informazione, la scuola e la sanità pubblica. E' sui diritti sociali
e sul lavoro che lo scontro si è fatto pi aspro: la prospettiva sembra
essere quella dell'accantonamento delle garanzie di tutela apprestate
dallo Stato sociale e di una privatizzazione generalizzata. Alla contrazione
dello Stato sociale, poi, corrisponde l'esaltazione della tolleranza
zero, come dimostrano, tra l'altro, le politiche nel settore degli stupefacenti
e della tossicodipendenza, in cui l'accantonamento delle prospettive di
accoglienza e riduzione del danno apre la strada a un revival del modello
esclusivamente repressivo. Si colloca qui anche la legge Bossi Fini,
portato di pregiudizi razzisti, spinte securitarie e parole d'ordine tanto
demagogiche quanto inidonee a governare un fenomeno sociale imponente,
che - come tempestivamente segnalato da Md e Asgi - "non condurrà ad un
governo giusto ed efficace dei fenomeni migratori, ma comporterà un'ampia
e profonda compressione dei diritti fondamentali dei migranti; non raggiungerà
gli scopi dichiarati e, in particolare, non ridurrà l'area dell'immigrazione
irregolare, destinata anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione
di strumenti di assorbimento della clandestinità, sia della drastica chiusura
dei canali di ingresso legale; non favorirà l'integrazione della immigrazione
regolare, che, attraverso l'accentuazione dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione
della condizione giuridica degli stranieri indotta dalle nuove norme in
tema di soggiorno e di allontanamento, sarà spinta verso una dimensione
sempre pi marcatamente servile". 5. Le tendenze alla marginalizzazione della giurisdizione vengono da
lontano (come abbiamo puntualmente segnalato anche nella precedente legislatura),
ma l'operato del Governo e della maggioranza parlamentare usciti dalle
elezioni del 13 maggio 2001 costituisce un salto di qualità negativo:
esaminando nel loro insieme le riforme prospettate nei vari settori dell'ordinamento
emerge un disegno complessivo, quali tessere di un mosaico, dal quale
possono cogliersi i nessi che legano la progressiva riduzione dei diritti
fondamentali e la compressione del ruolo della giurisdizione. Le "riforme"
in cantiere convergono, infatti, verso due obiettivi (tra loro strettamente
connessi): da un lato, il recupero di un modello di giudice ottocentesco,
privato, quanto alle norme sostanziali, di reali spazi interpretativi,
e, quanto alle norme processuali, di poteri di gestione e controllo; dall'altro,
l'arretramento della tutela dei soggetti deboli, della promozione di
nuovi diritti, della rimozione delle disuguaglianze. Questa strategia
di ritorno al passato ha come manifestazioni, a fianco della progettata
riforma ordinamentale e della riduzione per i magistrati dello stesso
diritto di manifestazione del pensiero, la progressiva riduzione del processo
a contesa, in una sorta di darwinismo processuale in cui la ragione non
dipende dai fatti, dalle prove o dalle argomentazioni, ma dalla forza
delle parti e, in definitiva, dalla loro ricchezza e/o potenza . Alcuni
esempi sono particolarmente significativi. 5.1. La tutela dei minorenni
- prototipo dei soggetti deboli - è in via di abbandono: non solo attraverso
le ricorrenti proposte di ridurre da 14 a 12 anni il limite della imputabilità,
ma anche con un progetto governativo che tende a trasformare il tribunale
minorile in organo giudiziario esclusivamente penale (e dunque repressivo),
privandolo delle competenze civili, trasferite ad una sezione del tribunale
ordinario, composta di soli giudici togati, addetta alla trattazione
di tutti i procedimenti in materia di minori, di famiglia, di stato e
capacità delle persone. Ciò comporterebbe la perdita della specializzazione
e darebbe inevitabilmente luogo a un depauperamento delle capacità di
analisi, ascolto, accertamento dei fatti e adozione della soluzione pi
adeguata, con ricadute rilevanti sulla connotazione della giustizia minorile,
difficilmente in grado di continuare ad essere "luogo" di tutela dell'esclusivo
interesse del minore (situazione oggi assicurata dal contributo dei giudici
onorari, dal contatto costante con i servizi sociali territoriali, dalla
integrazione dell'intervento di prevenzione con quello di recupero). Si
tratta, all'evidenza, di conseguenze gravissime, che chiamano in gioco
diritti fondamentali: il diritto di ogni fanciullo/a a crescere in una
famiglia che sia in grado di mantenerlo, istruirlo, educarlo; il diritto
di ogni fanciullo/a a un pieno sviluppo e all'attuazione dei propri diritti
nella formazione sociale - la famiglia - in cui è inserito; il diritto
d'uguaglianza inteso non come garanzia formale ma come rimozione degli
ostacoli sulla via della realizzazione della effettiva parità. 5.2. La
riforma neoliberista del mercato del lavoro passa non solo per la riduzione
dei diritti al lavoro e nel lavoro (dalla privatizzazione del sistema
di collocamento, alla deroga all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori,
all'estensione del lavoro a termine, a tempo parziale, a chiamata, occasionale,
alle prestazioni ripartite ".) ma anche per un forte ridimensionamento
del ruolo storicamente giocato dalla magistratura grazie al concomitante
operare di diversi fattori (l'emanazione di normative sostanziali avanzate
e l'introduzione di un procedimento speciale per le controversie di lavoro).
Un giudice specializzato, fornito di ogni utile conoscenza, dotato di
rilevanti poteri ufficiosi, potrebbe rappresentare un ostacolo sulla via
della piena liberalizzazione del mercato del lavoro. Di qui la previsione
di strumenti per rendere marginale il ruolo del giudice: da un lato la
possibilità di inserire liberamente clausole arbitrali nei contratti individuali
di lavoro; dall'altro la "certificazione", l'accertamento assistito all'inizio
del rapporto della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro
con possibilità di far ricorso al giudice nel caso di difformità tra programma
realizzato e programma concordato o per errore sulla qualificazione, ma
lasciando immutati gli effetti dell'accertamento svolto dall'organo della
certificazione sino a quando non sopraggiunga una pronuncia definitiva
della erroneità o difformità del programma. Grazie allo schermo formale
dell'uguaglianza tra le posizioni contrattuali, obliterando la realtà
della disuguaglianza tra le parti del rapporto di lavoro, attraverso
clausole e certificazioni, si impedisce in radice l'intervento del giudice,
disinnescando così quel processo e quel giudice che erano stati voluti
dal legislatore del 1973 al fine - come è stato detto - di "attuare sul
piano tecnico procedurale quella aspirazione alla uguaglianza sostanziale
affermata dall'art. 3 capoverso della Costituzione e che può, e quindi
deve, essere realizzata anche nell'ambito del processo". 5.3. L'opera
di privatizzazione del processo e di ridimensionamento dei poteri del
giudice si completa nel generale ambito del processo civile. Il disegno
di legge delega prodotto dalla Commissione Vaccarella delinea un processo
ordinario caratterizzato dalla attribuzione dei poteri di gestione e conduzione
alle parti, cui soltanto compete, di regola, la definizione del thema
decidendum e del thema probandum e l'assunzione delle prove (mentre al
giudice resta il potere di indicare alle parti le questioni rilevabili
d'ufficio, di provvedere sulla regolarità del contraddittorio nei suoi
vari profili, di ammettere le prove eventualmente richieste). L'estromissione
da ogni attività di collaborazione nonch di stimolo e impulso per le
parti nella fase della trattazione e la riduzione del ruolo nella fase
istruttoria implicano necessariamente l'assunzione da parte del giudice
di un atteggiamento di "distacco" dal fatto e di supina accettazione delle
prospettazioni e dei materiali probatori offerti dalle parti; le conseguenze,
inevitabili, sono la burocratizzazione del percorso giudiziale attraverso
il quale si perviene alla decisione e, con la perdita del governo della
ricerca della verità processuale, il venir meno dello stimolo a far emergere
nuove situazioni sostanziali e a ricercare nuove forme di tutela. Questo
processo produrrà, sul piano culturale, un giudice teso a concentrarsi
esclusivamente su questioni formali e di diritto, e sul piano strutturale,
un giudice cui è inibita la gestione del processo. Viene, infatti, immaginato
un processo in cui il timore di un abnorme allungamento dei tempi dipendenti
unicamente dalla volontà delle parti è bilanciato da un percorso disseminato
di trappole e tagliole. E si immagina, come legislatori ottocenteschi,
che sia sufficiente dotare le parti di uguali strumenti formali perch
il diritto di difesa e il contraddittorio siano rispettati e che sia
lo scontro tra le parti in condizioni di parità a favorire la giusta composizione
della lite. Il risultato è quello di premiare pi che la ragione sostanziale
la "bravura" delle parti, con il rischio di trasformare il processo da
luogo di realizzazione dei diritti a macchina di ingiustizie. 5.4. In
questa ottica la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici,
costituisce l'ultimo passo verso un'assimilazione del pubblico ministero
a una parte sostanziale delineando una inesistente omogeneità istituzionale
tra lo stesso e la difesa, con una sotterranea privatizzazione dell'accusa,
sempre pi soggetta e succube alla polizia, all'esecutivo e, comunque
a chi ha potere. In realtà si tratterebbe, anche qui, di un ritorno al
passato, con la creazione di un pubblico ministero tanto forte nei confronti
degli inquisiti e dei giudici, quanto debole e soggetto alle pressioni
dell'esecutivo e alle richieste di identificazione e assimilazione della
polizia. Il dibattito sulla separazione delle carriere, qui e oggi, non
è, per questo, una mera disputa scientifica o teorica, ma un problema
di democrazia e di tutela dei cittadini. Le lezioni tratte dalle indagini
genovesi e napoletane sul G8 e sul Social Forum insegnano che ben difficilmente
un pubblico ministero superpoliziotto e svincolato dalla giurisdizione
avrebbe avuto la capacità, e forse addirittura la possibilità, di distaccarsi
dalla impostazione data dalla polizia alla gestione dell'ordine pubblico
e agli arresti ed ancora pi difficilmente avrebbe fatto partire e avrebbe
gestito indagini relative a possibili comportamenti illegali da parte
della polizia. 6. Non ci si può - n si deve - nascondere che la diseguaglianza della
giustizia trova alimento anche in limiti e responsabilità della magistratura.
In troppi settori sensibili (ad esempio in tema di corruzione) l'intervento
della magistratura è a macchia di leopardo e vi sono settori in cui esso
è ormai trascurato o lasciato in secondo piano (come in materia di ambiente,
di vita, di lavoro e di tutela del territorio). Il rischio è che passino
i messaggi quotidianamente lanciati dai media che vogliono un magistrato
silenzioso, sfornito di autonomia decisionale e interpretativa, omologato,
privo di valori e attivo solo nei confronti delle espressioni del disagio
sociale; e ciò in un periodo caratterizzato da stimoli e potenzialità
senza precedenti. L'approvazione della Carta europea dei diritti e il
nuovo art. 111 Costituzione, in particolare il principio di ragionevole
durata dei processi, delineano, infatti, un nuovo assetto normativo e
impongono un impegno rinnovato. L'affermazione a livello europeo di un
nuovo catalogo di diritti e l'esigenza della loro effettività concorrono
con la necessità, imposta dall'art.111 Costituzione, di semplificazione
e di velocizzazione delle procedure. E ciò porta a una rilettura complessiva
del quadro normativo con potenzialità interpretative, tutte da cogliere.
Alcuni terreni di impegno di particolare importanza vanno al riguardo
sottolineati. C'è, anzitutto, la questione della condizione giuridica
dei migranti. Essa impone, in primo luogo, risposte alle numerose questioni
poste dalla legge BossiFini: si pensi al nuovo contratto di soggiorno
(con conseguenze inedite in tema di poteri impropri in capo al datore
di lavoro e di precarizzazione dei diritti fondamentali), alla normativa
in tema di allontanamenti, di procedure di espulsione e di detenzione
amministrativa, alle nuove norme penali (che creano meccanismi di criminalizzazione
fondati sul continuum tra illecito amministrativo e illecito penale).
Ma il lavoro dei giuristi dovrà sempre pi proiettarsi oltre i confini
del diritto speciale degli stranieri, sviluppandosi sul terreno del diritto
comune intorno alle questioni generate dall'impatto dei fenomeni migratori
sulle nostre società, sulle nostre istituzioni, sui nostri codici. Nel
settore civile la giurisprudenza è destinata ad essere chiamata, con sempre
maggiore frequenza e su questioni sempre pi complesse, a dare attuazione
al principio di non discriminazione, mentre un giusto processo per gli
stranieri richiederà un impegno costante di analisi critica ed elaborazione
giurisprudenziale. Le questioni poste dall'incrocio tra applicazioni scientifiche,
corpo umano e libertà delle donne evidenziano, a loro volta, il ruolo
fondamentale della giurisprudenza, con la capacità di rimettere in discussione
idee consolidate della tradizione giuridica e con un approccio laico (l'unico
possibile per garantire soluzioni compatibili con le diverse opinioni
morali e religiose presenti nella società). Ancora: gli alterni esiti
dei processi di corruzione e di criminalità organizzata impongono di interrogarsi,
oltre che sulle ragioni dei tempi e dell'ineffettività di troppi processi,
sui "mutamenti genetici" dei fenomeni corruttivi e della questione criminale
mafiosa (non pi concentrata sulla sola cd "ala militare") e sulla perdurante
validità dei metodi che hanno sinora guidato il controllo penale. Le difficoltà
contingenti non possono far dimenticare che il nostro lavoro e il modello
di giurisdizione che cerchiamo di far vivere sono fondati su dati solidi
a livello normativo, culturale e internazionale. I tentativi di ridimensionare
una giurisdizione indipendente si scontrano con le tendenze in atto in
tutti i paesi occidentali. La giurisdizione è sempre pi (secondo una
tendenza non solo italiana) arbitro o risolutore di questioni fondamentali:
la tutela della legalità nel settore dell'economia, della finanza e della
pubblica amministrazione; la repressione della criminalità organizzata;
la tutela - penale e civile - contro le violazioni dei diritti umani;
il riconoscimento dei nuovi diritti della persona nei pi vari settori
(dalla tutela individuale e collettiva dei consumatori a quella del cittadino
nei confronti della pubblica amministrazione, dai rapporti familiari
di fatto ai conflitti in materia di bioetica), ecc. Il crescente rilievo
della giustizia nella vita collettiva è uno dei fatti politici pi significativi
delle democrazie occidentali in questa fase storica e non è un fenomeno
congiunturale, n legato ad una situazione nazionale. Questa influenza
deriva dall'incapacità delle istanze politiche tradizionali di dare risposta
alla domanda di garantire i diritti e le tutele che, crescenti, provengono
dalla società e rappresenta una risposta ai deficit della democrazia rappresentativa.
La giurisdizione è sempre pi chiamata a tutelare diritti vecchi e nuovi
che riguardano ceti sottoprotetti e normali cittadini, ma anche a dare
risposte all'insicurezza e all'angoscia che permeano la nostra società.
Questo è il ruolo che dobbiamo cercare di soddisfare...(segue)
Il documento è scaricabile in versione integrale.

24 03 2003
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