Un progetto di qualità per l'amministrazione della giustizia

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E' da quando siamo entrati in magistratura che sentiamo parlare di crisi della
giustizia. E' un dato reale, purtroppo, vissuto anche in modo drammatico dai
cittadini. Tuttavia qualche dato positivo non manca: nell'ultima finanziaria
è stato attribuito al bilancio della giustizia 1,5% del bilancio dello Stato
(il doppio rispetto al 1993), sono state introdotte importanti riforme giudice
di pace, giudice unico, novella del c.p.c. art. 111 Cost.). La partita dunque
appare aperta, almeno per chi la vuol giocare. E il suo esito dipende da una
pluralità di fattori e dall'azione di molti soggetti: è necessario l'impegno
della cultura giuridica e della politica, certo, ma anche della magistratura
e di tutti i funzionari amministrativi. Magistrati, associazionismo giudiziario,
dirigenti degli uffici, organi di autogoverno avranno un ruolo fondamentale:
1) se si riuscirà ad acquisire una capacità di critica razionale, pacata, di
proposta e discussione, in un'ottica di confronto con le riforme, 2) se ci sarà
la volontà reale e concreta di assumersi una responsabilità diretta per il funzionamento
del servizio giustizia, abbandonando l'idea di attribuire ogni responsabilità
solo agli altri. E quando si parla di organizzazione del sistema giustizia non
può ormai non farsi riferimento al nuovo art. 111 Cost. Il nuovo art. 111 Cost.
con il principio della ragionevole durata dei processi, non è una mera norma
programmatica, di indirizzo per il legislatore, ma ha sicuramente un contenuto
precettivo per il giudice che ne deve tener conto in una rilettura complessiva
delle norme,e delle procedure e per la stessa organizzazione giudiziaria. Il
principio della ragionevole durata del processo rappresenta un vincolo tale
da far considerare con sfavore ogni prassi e procedura che comporti perdita
di tempo; ma da ciò discende che nessun magistrato può pi rapportarsi con il
lavoro in termini di mero obbligo di prestazione, disinteressandosi alla gestione
complessiva dell'attività e dei risultati che vengono raggiunti e dal carico
generale esistente. Esiste dunque un problema nodale che può essere ricondotto
sinteticamente alla "questione organizzativa". Prima di affrontare questo problema
credo però che occorra fissare alcuni punti, a mio giudizio fondamentali, per
individuare snodi coretti dell'analisi. 1) La giustizia non è un'azienda, per
la ragione decisiva che il bene prodotto dagli uffici giudiziari ( la giustizia)
non è monetizzabile ed è sottratto alle regole del mercato. Non credo che possano
essere individuate ragioni organizzative in base alle quali l'attività giurisdizionale
possa essere condizionata o addirittura subordinata a s; come mi sembra un
vincolo invalicabile la piena indipendenza di ogni magistrato nella gestione
e ancor pi nella decisione dei procedimenti. Ciò non significa però disinteresse
per la cultura dell'organizzazione, visione atomistica del proprio lavoro, disinteresse
rispetto al risultato complessivo. Possono e debbono essere pensati interventi
organizzativi che senza incidere sul merito della decisione migliorino però
la qualità e i tempi del lavoro giudiziario e quindi il rapporto tra servizio
e utenti. 2) Occorre agire sulla formazione dei dirigenti degli uffici superando
il mito dell'onniscienza e dell'onnicompetenza del magistrato. Per avere la
capacità di combinare nel modo migliore le risorse disponibili, valorizzare
le attitudini, scegliere le priorità dell'interevnto, occorre agire sulla qualità
della formazione, creare specializzazioni, avere la capacità di modulare uffici
con strutture diverse rispetto ai sevizi che vengono richiesti. Abbiamo un esempio
recente: la riforma del giudice unico là dove è stata colta come occasione per
ripensare e rifondare il funzionamento degli uffici giudiziari alla luce di
nuovi criteri di funzionalità ha dato tangibili risultati positivi; nei casi
in cui la stessa è stata attuata come semplice sommatoria di singoli uffici
e senza alcun progetto organizzativo che non fosse quello di turbare il meno
possibile l'esistente ha dato sicuramente risultati pi deludenti. 3) La crescita
di funzionalità del servizio giustizia non si esaurisce sul piano della quantità
(pi magistrati, pi investimenti, pi personale che pure servono); nessun aumento
di organico, n di personale amministrativo n di magistrati, può portare frutti
seri e duraturi se viene calato in una realtà organizzativa inadeguata e inefficiente.
Il problema è piuttosto quello della corretta distribuzione delle risorse sul
territorio, di qualità delle stesse e di un programma organizzativo in cui inserirle.
4) Il fattore tempo tradizionalmente è stato considerato spesso secondario nell'esercizio
della giurisdizione. Adesso non si deve cadere nell'eccesso opposto, attraverso
una lettura parziale e inadeguata dell'art. 111 Cost.; il principio della ragionevole
durata del processo non può infatti porsi come unico e indifferenziato metro
di giudizio dell'intero sistema giustizia. I tempi del processo sono una realtà
complessa cui fanno riferimento valori incomprimibili di carattere costituzionale
come ad es. il diritto di difesa delle parti e il principio del contraddittorio.Vi
sono però tempi tecnici che dipendono dall'organizzazione dell'ufficio, altri
tempi che dipendono dalle modalità di esercizio dei poteri di direzione del
processo da parte del giudice, altri che sono nella disponibilità dei difensori
e delle strategie che essi intendono adottare e, infine tempi di attraversamento
che accompagnano il processo nel passaggio da una fase all'altra. E come tali
non sono presidiati da nessuno. Su questo fronte intervenire sui tempi comporta
preventivamente individuare la natura di ciascuno di essi, responsabilizzando
ciascuno dei soggetti titolare della sua gestione. 5) Affrontare con determinazione
la questione organizzativa non significa cedere ad un efficientismo senza valori.
Credo che sia l'attuale situazione di crisi che alimenta fenomeni negativi sotto
il profilo della qualità, dei contenuti e della motivazione personale di giudici,
avvocati, del personale amministrativo. La prospettiva della ragionevole durata
del processo se amministrata con intelligenza può invece rompere la tradizionale
contrapposizione tra garanzia ed efficienza: tempo ragionevole significa garanzie
per il cittadino, garanzia per la collettività, efficienza del servizio nel
suo complesso. Investimento sulla qualità E' necessario dunque puntare sulla
qualità: liberare e valorizzare energie tramite l'innovazione organizzativa,
l'innovazione tecnologica e la formazione. In questo senso non si parte da zero:
dal 1996 al 2000 sono aumentati gli organici dei magistrati e del personale
amministrativo, le scoperture sono state ridotte in entrambi i casi di circa
la metà; è in corso di definizione la messa in opera del c.d. processo telematico,
sono aumentate le risorse per la formazione del personale amministrativo, lo
stesso contratto collettivo integrativo si muove nell'intento di qualificare
e valorizzare la professionalità del personale, ma per i magistrati dirigenti
degli uffici giudiziari deve essere prioritario insieme ad una attività di garanzia,di
rispetto delle regole per la formazione del prodotto giurisdizionale anche la
qualità del servizio. E sotto questo profilo l'individuazione degli obiettivi
dell'attività dell'ufficio, l'elaborazione delle strategie e l'attuazione delle
scelte non può essere ricondotta in modo esclusivo al dirigente, ma costui deve
rappresentare un punto di riferimento capace di suscitare in tutti i componenti
dell'ufficio le motivazioni necessarie a renderli partecipi all'attività dell'ufficio.
Queste considerazioni comportano una riflessione sullo status dei dirigenti
sulla loro formazione , sulla loro selezione. Non pi dirigenza concepita come
cursus honorum, ma impegno con assunzione di responsabilità, che comporta formazione
e temporaneità delle funzioni; ciò comporterebbe l'aspirazione a ricoprire le
cariche dirigenziali da chi ha consapevolezza del ruolo, consentendo l'introduzione
condivisa di strumenti di verifica dell'esercizio delle funzioni, al di là del
rilievo delle patologie di carattere disciplinare e paradisciplinare. Quello
che mi preme sottolineare è che dovrebbe entrare nella cultura del dirigente
che , fermi i principi e i vincoli che la Costituzione pone a garanzia dei cittadini,
come il valore dell'indipendenza, dell'inamovibilità, del giudice naturale,
l'organizzazione dei servizi deve rispondere a criteri essenziali di efficacia,
di efficienza e di economicità. Le risorse insomma devono essere gestite non
in maniera casuale, gli interventi devono essere programmati, devono essere
esplicitati gli obiettivi perseguibili in base al rapporto appunto tra obiettivi
e risorse. Ci deve pur essere un'attenzione al problema dei costi e quindi alla
programmazione di un'attività razionalizzatrice ( esistono ancora uffici in
cui le udienze vengono programmate secondo le esigenze dei magistrati? Esistono
aule super intasate la mattina e vuote il pomeriggio; esistono ad es. parchi
macchine eccessivi per taluni uffici e insufficienti per altri?). Credo che
in quest'ottica sarebbe del tutto normale introdurre degli strumenti di verifica
per l'attività della gestione del servizio, verifica del raggiungimento degli
obiettivi rispetto alle risorse disponibili. ( controllo di gestione introdotto
in via generale per i pubblici uffici dal d.lgs. n. 286/1999). Certo, questo
comporterebbe un mutamento delle stesse modalità con cui viene conferitoi un
ufficio direttivo. Sarebbe necessaria magari la presentazione di un programma
di interventi con riferimento alla sede in ordine alla quale si è presentata
la candidatura e verificare successivamente, magari a scadenze periodiche, lo
stato di effettiva realizzazione del programma e il raggiungimento degli obiettivi.
Il dirigente non può raggiungere questi obiettivi da solo, ma deve garantire
anzi deve necessariamente ricercare un leale rapporto di collaborazione con
i titolari delle funzioni dirigenziali amministrative. Credo che sia ancora
valido il punto di equilibrio raggiunto nel 1997 tra l'ANM e le organizzazioni
sindacali, in quanto in base a quell'accordo era garantita la razionale distribuzione
dei compiti organizzativi e al tempo stesso l'indipendente e autonomo esercizio
della giurisdizione; in base a quell'accordo: 1) resta ferma la titolarità della
dirigenza dell'ufficio nel suo complesso in capo al dirigente magistrato; 2)
l'elaborazione del programma annuale di attività dell'ufficio è effettuata insieme
dal dirigente magistrato e da quello amministrativo; 3) a quest'ultimo spettano
le funzioni attuative di tale programma e, in genere tutte le funzioni di gestione
delle risorse materiali e umane; 4) il dirigente magistrato ha poteri di sorveglianza
e di inibizione motivata su singoli atti di gestione ritenuti pregiudizievoli
per l'esercizio della giurisdizione. Ancora qualche considerazione. Lo strumento
organizzativo principe degli uffici giudiziari, almeno per quanto riguarda l'attività
dei magistrati sta nelle tabelle, istituite proprio per dare attuazione al principio
del giudice naturale. E' un dato di fatto, purtroppo, che il sistema tabellare
è osteggiato ancora da molti dirigenti, sottoutilizzato nelle sue potenzialità
e spesso destinato a restare sulla carta. E sempre pi spesso si accusa il C.S.M.
di "centralismo burocratico", nonostante lo sforzo operato dall'organo di autogoverno
di dettare regole e parametri generali per l'organizzazione dell'ufficio. Non
si può arretrare prefigurando un sistema tabellare debole per dare mano libera
ai dirigenti senza la presenza di un'attività di controllo. Ma ecco che allora
l'occasione della formazione delle tabelle deve trasformarsi in un progetto
condiviso di gestione dell'ufficio, che non veda impegnati solo i magistrati,
ma anche tutte le altre componenti del servizio giustizia. Se il progetto tabellare
contenesse le analitiche indicazioni delle pendenze, le prevedibili sopravvenienze
e definizioni, i criteri di assegnazione dei magistrati ad ogni singolo ufficio,
il numero delle udienze di ciascun magistrato e di ogni sezione (almeno per
il civile), si potrebbe anche impostare una valutazione prognostica sul tempo
necessario alle parti per ottenere tutela giudiziale. Vi è un altro profilo
organizzativo fondamentale, quello della realizzazione dell'ufficio del giudice,
attraverso il quale il magistrato potrebbe concentrarsi sull'attività di gestione
dei processi e di decisione, liberandosi delle incombenze materiali e attività
connesse al lavoro giudiziario in senso stretto. Occorre chiedersi a che punto
è la attuazione del contratto collettivo integrativo 1998 - 2001 per il personale
del Ministero della Giustizia sottoscritto il 3 febbraio 2000, nella parte in
cui prevede la creazione di circa 1200 assistenti ( da destinare prioritariamente
alla giustizia del lavoro, alla volontaria giurisdizione, al settore fallimentare)
ai quali affidare il compito di provvedere, secondo le indicazioni del magistrato,
alla raccolta della documentazione legislativa, giurisprudenziale e dottrinale
per lo studio delle questioni in discussione ovvero di predisporre schemi di
provvedimenti giurisdizionali con carattere di semplicità e ripetitività. Sono
aumentate le risorse per la formazione del personale amministrativo e, conseguentemente,
anche il numero dei dipendenti avviati alla formazione; ma c'è da dire che la
linea di tendenza tesa a valorizzare e qualificare la professionalità dei dipendenti,
attraverso la configurazione di nuove ed effettive possibilità di sviluppo professionale
e di un'accresciuta capacità di gestione del personale dei singoli uffici, conosce,
a mio giudizio, anche interventi che vanno, in qualche modo, in controtendenza
rispetto all'obiettivo di ricercare uno specifico intervento formativo, in particolare
per i nuovi assunti, così da evitare di immettere negli uffici persone del tutto
ignare non soltanto dei compiti e delle mansioni da svolgere, ma anche delle
caratteristiche e della specificità dell'amministrazione giudiziaria. E il riferimento
all'emendamento introdotto al d.l. del 24 novembre 2000 che consente la copertura
di metà dei posti scoperti riservati a dirigenti pescando tra le graduatorie
di merito dei precedenti concorsi, quadruplicando l'originaria riserva di posti,
appare dissonante con la strategia di potenziamento delle responsabilità dei
funzionari amministrativi, che dovrebbe invece camminare di pari passo con l'acquisizione
effettiva di capacità professionale attraverso uno specifico percorso formativo;
appare piuttosto una mera operazione di facciata riconoscere questa professionalità
"ope legis", con un concorso per titoli e colloquio, come è avvenuto a seguito
della già ricordata introduzione del comma 1 bis dell'art. 24 della legge 19
gennaio2001, n. 4 di conversione del d.l. 24 novembre 2001. n. 341. Credo che
su questo punto occorrano impegni chiari che partano da una seria riflessione
sui compiti e sulle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti, affrontando
il quotidiano nell'ottica di una complessiva riorganizzazione del sistema. Qualche
spiraglio di luce si è visto, dobbiamo cercare di non ricominciare a vagare
nella nebbia. Giovanni Diotallevi

26 04 2003
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