Osservazioni sul disegno di legge sull'immigrazione

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Le linee-guida del disegno di legge n. 795/S ("Modifica alla normativa in materia
di immigrazione e di asilo") di riforma del decreto legislativo n. 286 del 1998
(testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione
e norme sulla condizione dello straniero: cd. legge Napolitano - Turco) e della
legge n. 39 del 1990 (cd. legge Martelli) risultano univocamente orientate ad
una politica di rifiuto dell'immigrazione e possono essere così sintetizzate:

- una drastica chiusura dei canali di ingresso regolare;
- una netta tendenza verso la precarizzazione del soggiorno;
- una riscrittura della disciplina degli allontanamenti caratterizzata da allarmanti
profili di illegittimità costituzionale e foriera di una forte spinta verso
l'ulteriore amministrativizzazione dei diritti fondamentali degli stranieri;

- un sensibile irrigidimento della normativa penale; - uno svuotamento, in
termini di effettività, del diritto d'asilo.
Ingressi
Muovendo dalla considerazione del "pericolo di una vera invasione dell'Europa
da parte di popoli che sono alla fame, in preda ad una inarrestabile disoccupazione
o a condizioni di sottocupazione", il disegno di legge si presenta come orientato
ad "affrontare il problema di fondo concernente l'immigrazione clandestina".
Le norme in tema di ingressi segnalano il reale obbiettivo dell'iniziativa governativa,
che mira ad una drastica chiusura rispetto non all'immigrazione irregolare,
ma all'immigrazione tout court: in questo senso, l'impostazione di fondo del
disegno di legge sembra tendere all'immigrazione zero, così sancendo il superamento
della logica binaria che ha caratterizzato le politiche europee nello scorso
decennio, un logica incentrata - con le ambiguità e le contraddizioni interne
pi volte segnalate - sulla contrapposizione tra immigrazione regolare, da governare
nella prospettiva dell'integrazione, e immigrazione irregolare, da contrastare
con risolutezza. Queste le principali innovazioni del disegno di legge. - Con
gli artt. 4, 5 e 15 del disegno di legge, viene introdotto un contratto di soggiorno,
presupposto per il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Il meccanismo è imperniato sull'incontro a livello planetario tra domanda e
offerta di lavoro e, in realtà, riproduce quello già previsto dall'art. 22 t.u..
Rispetto a quest'ultima norma si registra, nel disegno di legge governativo,
una maggiore responsabilizzazione (con probabili effetti disincentivanti) del
datore di lavoro, che deve garantire "una adeguata sistemazione alloggiativa
per il lavoratore" e assumere l'impegno di corrispondere le spese di viaggio
per il rientro nel Paese di provenienza. Significativo, nella prospettiva delineata,
è pure l'inasprimento della sanzione pecuniaria previsto dal comma 12 dell'art.
22 t.u. novellato. Nel complesso iter prodromico al rilascio del permesso di
soggiorno per motivi di lavoro, viene introdotta (art. 22 co. 4) la verifica
preventiva dell'indisponibilità di altri lavoratori iscritti nelle liste di
collocamento, verifica - significativamente circoscritta ai soli lavoratori
nazionali e comunitari, con esclusione di quelli extracomunitari - già prevista
dalla normativa anteriore al t.u. (art. 8 co. 3 legge 943 del 1986) e superata
per le disfunzioni che aveva prodotto. L'art. 17 del disegno di legge in tema
di lavoro stagionale riproduce le innovazioni previste per il lavoro subordinato.
- Il nuovo istituto dei titoli di prelazione (art. 16 del disegno di legge che
modifica l'art. 23 del t.u.), del quale non è difficile preconizzare un infimo
tasso di effettività, prende il posto della prestazione di garanzia per l'accesso
al lavoro (cd. sponsor), ossia del principale canale di ingresso regolare svincolato
dall'incontro a livello planetario tra domanda e offerta di lavoro; il disegno
di legge, dunque, mira alla soppressione di un fondamentale strumento di flessibilità
nella disciplina degli ingressi, uno strumento che faceva leva, per un verso,
sul richiamo esercitato da stranieri già integrati nel nostro Paese (cd. catena
migratoria) e, per altro verso, sul ruolo del volontariato: è ragionevole attribuire
al drastico irrigidimento dei canali di ingresso legale determinato dalla soppressione
dell'istituto dello sponsor un effetto di forte incentivazione dell'immigrazione
irregolare. - L'art. 20 del disegno di legge modifica l'art. 29 del t.u.: viene
ristretta l'area del ricongiungimento familiare, escludendo i parenti entro
il terzo grado e subordinando l'ingresso dei genitori alla condizione che essi
non abbiano altri figli; la stretta sul ricongiungimento familiare, uno degli
istituti pi significativi nella prospettiva dell'integrazione dei migranti,
rappresenta un sintomo inequivoco della ratio complessiva del disegno di legge.

Soggiorno
La modifiche previste dal disegno di legge in tema di soggiorno non investono
profili essenziali della disciplina del t.u., risultando, tuttavia, ispirati
ad una medesima opzione di fondo: la spinta verso la - ulteriore - precarizzazione
della condizione giuridica dei migranti, per i quali qualsiasi prospettiva di
integrazione viene rigidamente subordinata ai bisogni di manodopera a basso
costo delle imprese proiettate nella dimensione iper-concorrenziale del mercato
globale. Rispetto alla normativa vigente, viene dimezzata la durata del permesso
di soggiorno rinnovato [art. 4 lettera e) del disegno di legge] e viene portata
da 5 a 6 anni la durata della permanenza regolare necessaria al conseguimento
della carta di soggiorno (art. 8 del disegno di legge); la visione dell'immigrato
nella sola dimensione imprenditorial-lavorativa viene esaltata dalla riduzione
da un anno a sei mesi del periodo minimo di iscrizione nelle liste di collocamento
concesso al lavoratore straniero che ha perso il posto di lavoro per trovarne
uno nuovo (art. 22 co. 11 t.u., come modificato art. 15 del disegno di legge).
Allontanamenti
La riscrittura complessiva della disciplina degli allontanamenti rappresenta
il nucleo centrale del disegno di legge. a) L'art. 11 del d.d.l. riscrive l'art.
13 t.u. in tema di espulsione amministrativa; per comodità di lettura, si farà
riferimento al testo di quest'ultima norma così come risultante dalle modifiche
proposte. - I commi da 3 a 3 sexies disciplinano (a parte l'incipit del comma
3, che si riallaccia, come si vedrà, al nuovo comma 4) i rapporti tra il procedimento
penale e il procedimento per l'espulsione amministrativa; il meccanismo ricalca,
in buona sostanza, quello previsto dal d.d.l. n. 4656 approvato nella scorsa
legislatura dal Senato (si tratta del cd. indultino, a proposito del quale vds.
le osservazioni di Md e dell'ASGI pubblicate in Questione Giustizia, n. 6/2000):
- - il comma 3 prevede una procedura di silenzio-assenso per il rilascio del
nulla osta dell'A.G. all'espulsione e disciplina le ipotesi in cui la richiesta
del questore può essere rigettata; l'intera disciplina del nulla osta non trova
applicazione per l'espulsione dello straniero in stato di custodia cautelare
in carcere (previsione che trova conferma nei commi successivi); - - il comma
3 bis disciplina il meccanismo del silenzio-assenso per l'ipotesi in cui l'espellendo
sia stato sottoposto a misure pre-cautelari (arresto o fermo); viene ribadita
la non concedibilità del nulla osta in caso di applicazione della custodia cautelare
in carcere; - - il comma 3 ter disciplina il caso della revoca o della declaratoria
di estinzione della custodia cautelare in carcere, prescrivendo che il giudice
debba contestualmente pronunciarsi sulla richiesta di nulla osta; - - i commi
3 quater e 3 quinquies prevedono che, "acquisita la prova dell'avvenuta espulsione,
se non è stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio", il giudice
pronuncia sentenza di non luogo a procedere; in caso di rientro illegale dello
straniero espulso, troverà applicazione l'art. 345 c.p.p., con un nuovo esercizio
dell'azione penale (anche sul punto, il disegno di legge in esame ricalca il
disegno di legge n. 4656 citato); - - il comma 3 sexies esclude la concedibilità
del nulla osta qualora si proceda per i reati di cui all'art. 407, comma 2,
lettera a) c.p.p. e per quelli di cui all'art. 12 t.u.. Come era stato rilevato
nelle osservazioni sopra citate, per un verso "l'introduzione dell'istituto
del silenzio-assenso per il rilascio del nulla-osta è, in concreto, la consacrazione
dell'ineffettività del controllo giudiziario: chiunque conosca la vischiosità
del processo sa che normalmente nel termine di quindici giorni la richiesta
del questore non arriverà neppure sul tavolo del magistrato"; per altro verso,
"la nuova disciplina corrisponde ad una visione dell'immigrato in quanto tale
come soggetto pericoloso, sempre potenziale autore e mai vittima di reati, una
visione che il legislatore recepisce dal corpo sociale, contribuendo, allo stesso
tempo, ad alimentarla. Non altrimenti si giustifica la mancata estensione, nonostante
le sollecitazioni della dottrina e degli operatori, della norma sul nulla osta
all'espulsione da parte dell'autorità giudiziaria allo straniero che abbia assunto
la qualità di persona offesa in un procedimento penale, una qualità rispetto
alla quale le esigenze processuali (ad esempio, la testimonianza in dibattimento)
risultano - anche alla luce dei princìpi introdotti dal nuovo art. 111 Cost.
- di enorme rilevanza." - Il comma 4 del nuovo articolo 13 rappresenta la norma
centrale dell'intero disegno di legge n. 795/S, il fulcro del programma di azzeramento
ad ogni costo dell'immigrazione irregolare: l'accompagnamento coatto alla frontiera
diviene la forma ordinaria di esecuzione dell'espulsione amministrativa, con
la sola deroga offerta dal successivo comma 5 per lo straniero il cui permesso
di soggiorno sia scaduto da pi di 60 giorni e che non abbia provveduto a chiederne
il rinnovo. Come hanno rilevato tutti i commentatori, la Corte Costituzionale,
con la nota sentenza n. 105/2001, ha ritenuto l'accompagnamento coatto alla
frontiera una misura limitativa della libertà personale e, come tale, soggetta
alla riserva di giurisdizione di cui all'art. 13 Cost.: se disposto insieme
con la detenzione amministrativa, tale misura è conforme alla Costituzione in
virt dell'allargamento dell'area del sindacato giurisdizionale sancito, in
via interpretativa, dalla Corte; nella disciplina di cui ai comma 4 e 5 della
legge vigente ed in quella di cui al comma 4 del disegno di legge - norme che
non contemplano alcun intervento dell'A.G. - l'accompagnamento coatto alla frontiera
deve invece ritenersi incostituzionale. Il silenzio sul punto della Corte Costituzionale
è stato imposto solo da ragioni processuali (il difetto di rilevanza della questione
nei casi oggetto delle ordinanze di rimessione) ed è un silenzio destinato a
perpetuarsi dal momento che la possibilità di ricorso giurisdizionale presentato
all'estero da stranieri espulsi con accompagnamento alla frontiera è, di fatto,
inesistente: assume, pertanto un carattere mistificatorio la disciplina pi
liberale - con l'elevazione da 30 a 60 giorni del termine per la presentazione
del ricorso all'estero - prevista dal nuovo comma 8 dell'art. 13. In linea con
l'impostazione di fondo del disegno di legge è, infine, il prolungamento della
durata del divieto di rientro fino ad un minimo di cinque anni, restando sempre
indefinito - così come nel t.u. n. 286 del 1998 - il termine massimo del divieto
stesso. b) L'art. 12 del disegno di legge modifica il quinto comma dell'art.
14 del t.u., raddoppiando la durata della detenzione amministrativa nei centri
di permanenza temporanea: viene qui al pettine un nodo che la Corte Costituzionale
con la sentenza n. 105/2001 non ha affrontato, quello dei parametri di legittimità/ragionevolezza
del trattenimento. c) L'art. 13 del disegno di legge introduce - nel corpo dell'art.
16 del t.u. - un'ulteriore figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa
alla detenzione: disposta dal magistrato di sorveglianza, essa sarà applicabile
allo straniero che, per un verso, debba scontare una pena detentiva anche residua
non superiore ai due anni e che, per altro verso, si trovi in una delle situazioni
individuate dall'art. 13 comma 2 del t.u. quali presupposto dell'espulsione
amministrativa. La nuova figura di espulsione a titolo di sanzione alternativa
alla detenzione presta il fianco a numerosi rilevi critici, il primo dei quali
si ricollega alla mancata previsione del consenso dello straniero quale presupposto
dell'allontanamento: l'espulsione senza consenso è già stata censurata, seppur
incidenter tantum, dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 62/1994,
ha dichiarato infondata un'eccezione di legittimità costituzionale dell'art.
7 commi 12 bis e ter dl n. 416/1989 motivando proprio, tra l'altro, sul fatto
che l'espulsione prevista da detto articolo era subordinata al consenso dell'imputato
o del condannato. Questo il passaggio sul punto della sentenza: "La stessa subordinazione
del rilascio del provvedimento di espulsione previsto dalla norma impugnata
alla richiesta dell'interessato (o del suo difensore), per quanto atipica, non
costituisce un arbitrario elemento di favore nei confronti dello straniero,
ma rappresenta, come si deduce anche dai lavori preparatori, un requisito diretto,
nella fattispecie, ad armonizzare la condizione dello straniero ai valori costituzionali
cui il legislatore deve riferirsi nel prevedere una misura pur sempre incidente
sulla libertà personale, cioè su un diritto inviolabile dell'uomo". D'altra
parte, la mancata previsione, quale presupposto della misura, della richiesta
del condannato e, dunque, il carattere officioso del provvedimento di allontanamento
snaturano il carattere di pena alternativa dell'espulsione e il ruolo del magistrato
di sorveglianza: nel nostro ordinamento, le misure alternative costituiscono
un favor per il condannato e sono applicabili solo a richiesta dello stesso
(salvo le ipotesi eccezionali di cui all'art. 57 ord. pen.). Pi in generale,
il nuovo istituto è destinato a riprodurre uno dei difetti pi significativi
del sistema anteriore alla legge Napolitano - Turco, la sovrapposizione/confusione
di profili giudiziari e di profili amministrativi nella costruzione delle fattispecie
di espulsione: peraltro, esso - anche alla luce della prevista semplificazione
dei rapporti tra procedimento penale ed espulsione amministrativa - sembra rispondere
assai pi all'esigenza mediatica della proliferazione delle figure di allontanamento
(dato costante del trattamento degli stranieri nel nostro Paese) che a bisogni
reali. Letta nel suo complesso, la normativa prevista dal disegno di legge governativo
in tema di allontanamenti rivela allarmanti profili di illegittimità costituzionale;
mortifica il ruolo garantistico della giurisdizione, riducendo, in buona sostanza,
l'intervento del giudice a quello di un passacarte dell'autorità di polizia,
a sua volta destinata - attraverso l'ulteriore dilatazione dei poteri ampiamente
discrezionali già oggi ad essa riconosciuti - ad assumere una posizione di assoluta
centralità nel governo del fenomeno migratorio e nella definizione della condizione
di regolarità/irregolarità dei migranti; consacra una visione dell'immigrazione
come fenomeno in s pericoloso, esaltando quella prospettiva dell'ordine pubblico
che, per un verso, si oppone ostinatamente all'adozione di strumenti mirati
all'emersione dell'immigrazione irregolare (prevedendo, ad esempio, meccanismi
di regolarizzazione permanente fondati sul decorso del tempo e su indici di
integrazione, quali la mancata commissione di reati e il raggiungimento ex post
delle condizioni che avrebbero giustificato l'ingresso) e, per altro verso,
individua nell'espulsione la sola risposta a qualsiasi forma di irregolarità.
Al riguardo, va ribadito quanto affermato pi volte e, da ultimo, nel citato
documento sul disegno di legge n. 4656: "il sistema delle espulsioni è uno degli
strumenti per affrontare le patologie dell'immigrazione, ma esso può essere
utile solo se ancorato a princìpi di razionalità e di equità. In concreto ciò
significa contenere, anzich estendere, le ipotesi di espulsione, limitandole
alle violazioni amministrative insanabili e protratte ed alla commissione di
reati di gravità medio-alta: in questi casi l'impegno degli apparati per dare
effettività alle espulsioni disposte deve essere affinato e incrementato; nelle
altre ipotesi è necessario, invece, un governo duttile della situazione con
previsione di possibilità di sanatoria." E' questa la strada da seguire per
conciliare le esigenze di un effettivo governo del fenomeno migratorio con la
irrinunciabile salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti e del ruolo
della giurisdizione, salvaguardia dalla quale non si può certo deflettere neppure
di fronte alla pi volte prospettata - o minacciata - introduzione del reato
di immigrazione clandestina quale alternativa all'inadeguatezza, dal punto di
vista garantistico, delle procedure amministrative di allontanamento: traducendosi
nella criminalizzazione della condizione del migrante e, dunque, delle cause
profonde che stanno alla base degli epocali fenomeni migratori della nostra
epoca, la configuazione penalistica dell'ingresso irregolare si porrebbe in
insanabile contrasto con la visione costituzionale dell'illecito penale e con
i principi fondamentali che da tale visione discendono.
Norme penali
Nel disegno di legge non viene criminalizzato l'ingresso irregolare in quanto
tale; come è emerso con chiarezza dal dibattito che ha preceduto l'iniziativa
governativa, la scelta di non introdurre il reato di immigrazione clandestina
è scaturita non dalle considerazioni sopra sintetizzate, ma dalla valutazione
dei prevedibili effetti paralizzanti sulla macchina della giustizia penale derivanti
dalla criminalizzazione di massa degli irregolari e, soprattutto, da preoccupazioni
relative alla effettività e immediatezza degli allontanamenti: illuminanti sui
contenuti di quel dibattito sono le parole di Giovanni Sartori (Il Corriere
della sera, 6 agosto 2001): "se l'immigrazione clandestina diventa reato, allora
il clandestino entra ope legis negli ingranaggi infernali del nostro processo
penale e del suo esasperato garantismo." Se, come si è visto, è la riscrittura
complessiva della disciplina degli allontanamenti lo strumento sul quale il
disegno di legge governativo fa leva per l'azione di contrasto all'immigrazione
irregolare, sul terreno penalistico si registra, da una parte, un drastico irrigidimento
delle fattispecie incriminatrici già previste dal t.u. del 1998 e, dall'altra,
l'introduzione di nuove figure di reato non prive di profili di problematica
legittimità costituzionale. - L'art. 4 lettera g) del disegno di legge introduce
nell'art. 5 t.u. il comma 8 bis, ai sensi del quale: "chiunque redige un permesso
di soggiorno, un contratto di soggiorno o una carta di soggiorno falsi o ne
altera di autentici, ovvero redige documenti falsi o ne altera di autentici
al fine di determinare il rilascio di un permesso di soggiorno, di un contratto
di soggiorno o di una carta di soggiorno, è punito con le pene previste dall'articolo
476 codice penale. La pena è aumentata se il fatto è commesso da un pubblico
ufficiale." La norma rappresenta un chiaro esempio di diritto penale speciale,
assoggettando alla pi severa pena prevista dall'art. 476 c.p. per il falso
commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico condotte commesse da privati
e/o relative a documenti non aventi natura giuridica di atto pubblico, ossia
condotte punite, ad esempio, dagli artt. 477 e 482 c.p. con pene inferiori.
- L'art. 10 del disegno di legge apporta significative modifiche all'art. 12
del t.u., allargando, prima di tutto, l'area dell'incriminazione delineata dal
primo comma alle condotte favoreggiatrici dell'"ingresso degli stranieri, presenti
illegalmente in Italia, nel territorio di un altro Stato". Con i nuovi commi
3 e 3 bis, vengono trasformate in fattispecie autonome le ipotesi previste quali
circostanze aggravanti dall'originaria formulazione del terzo comma. La ratio
dell'innovazione è chiaramente funzionale ad un inasprimento del regime sanzionatorio
in concreto applicato, inasprimento conseguito attraverso la sottrazione dei
fatti oggetto delle nuove ed autonome fattispecie incriminatrici alla valutazione
giurisdizionale sul possibile bilanciamento con circostanze attenuanti; tale
ratio, che caratterizza anche la modifica del delitto di furto introdotta dal
cd. pacchetto sicurezza, dovrà, comunque, misurarsi con la complessa questione
del rapporto tra elementi costitutivi ed elementi circostanziali della fattispecie,
rapporto la cui configurazione caso per caso resta, infatti, affidata all'interpretazione
giurisdizionale. - L'art. 11 lettera g) del disegno di legge sostituisce il
comma 13 dell'art. 13 del t.u. e introduce i commi 13 bis e 13 ter: si tratta
di innovazioni ispirate al pi drastico rigorismo sanzionatorio e foriere di
evidenti eccezioni all'impianto garantistico del codice di procedura penale.
La prima disposizione aumenta la pena edittale per il reato di rientro senza
autorizzazione dello straniero espulso, portandola, nel minimo, da due mesi
a sei mesi di arresto e, nel massimo, da sei mesi a un anno di arresto; il nuovo
comma 13 bis prevede una fattispecie ad hoc per la trasgressione del divieto
di reingresso dello straniero espulso sulla base di un provvedimento giudiziario,
fattispecie punita con la reclusione da uno a quattro anni. La terza disposizione
prevede che "per i reati di cui ai commi 13 e 13 bis è sempre consentito l'arresto
in flagranza dell'autore del fatto e, nell'ipotesi del comma 13 bis è consentito
il fermo. In ogni caso contro l'autore del fatto si procede con rito direttissimo".
La prima parte della norma deroga alla disciplina contemplata dall'art. 381
c.p.p. primo e secondo comma (individuazione dei reati che consentono l'arresto,
individuazione estesa anche ad una fattispecie contravvenzionale quale quella
prevista dal comma 13) e a quella di cui al quarto comma (requisiti della gravità
del fatto e della pericolosità del soggetto); rimane fermo, invece, il presupposto
dello stato di flagranza di cui all'art. 382 c.p,, presupposto, peraltro, svuotato
- con riferimento alla fattispecie di cui al nuovo comma 13 bis - dalla possibilità
di procedere comunque al fermo dell'indiziato. La seconda parte della norma
allarga la possibilità di procedere con il giudizio direttissimo a tutte le
ipotesi contemplate dall'articolo in esame. - L'art. 12 lettera b). del disegno
di legge prevede un'articolata disciplina per il caso in cui "non sia stato
possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea
ovvero siano trascorsi i termini di permanenza senza aver eseguito l'espulsione
o il respingimento", disciplina incentrata, in prima battuta, sull'ordine rivolto
dal questore allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro cinque
giorni. Decorso tale termine, "lo straniero che senza giustificato motivo" si
trattiene nel territorio dello Stato è punito - ai sensi del comma 5 ter del
nuovo art. 14 t.u. - con l'arresto da sei mesi ad un anno e viene espulso con
accompagnamento coatto alla frontiera; lo straniero, nuovamente espulso in base
al comma 5 ter, che si trattiene senza giustificato motivo nel territorio dello
Stato è punito - ai sensi del comma 5 quater dell'art. 14 t.u. novellato - con
la reclusione da uno a quattro anni; per i reati indicati, "è obbligatorio l'arresto
dell'autore del fatto e si procede con il rito direttissimo". L'applicazione
delle figure di reato ora descritte richiederà grande rigore interpretativo,
al fine di scongiurare il rischio che le ragioni per le quali - all'esito del
periodo massimo di trattenimento dell'espellendo nei centri di permanenza -
non è stata eseguito l'allontanamento (ad esempio, indisponibilità di documenti
di identificazione) si traducano in elementi di per s soli integrativi delle
fattispecie incriminatrici: una lettura di questo tipo, oltre a porsi in contrasto
con il tenore letterale della disposizione (che esige l'assenza di giustificati
motivi), determinerebbe una sostanziale reviviscenza della fattispecie di cui
all'art. 7 bis della legge Martelli (che puniva con la reclusione da sei mesi
a tre anni lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione "che
non si adopera per ottenere dalla competente autorità diplomatica o consolare
il rilascio del documento di viaggio occorrente"), fattispecie dichiarata incostituzionale
per violazione del principio di tassatività dalla sentenza n. 34/1995 della
Corte Costituzionale. - Gli artt. 15 e 17 del disegno di legge aumentano la
pena pecuniaria prevista dagli artt. 22 comma 12 e 24 comma 5 per il datore
di lavoro che occupa alle sue dipendenze stranieri privi del permesso di soggiorno
o il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato: l'ammenda da due a sei
milioni è sostituita dalla pena proporzionale di 2.582,28 euro (pari a cinque
milioni di lire) di ammenda per ogni lavoratore impiegato.
Asilo
Gli artt. 24 e seguenti del disegno di legge governativo innovano profondamente
la disciplina in tema di asilo prevista dall'art. 1 della legge Martelli; in
particolare: - nelle ipotesi di cui al nuovo art. 1 bis (accertamenti sulla
nazionalità e sull'identità del richiedente; verifica degli elementi sui quali
si basa la richiesta qualora gli stessi non siano immediatamente disponibili;
iter procedimentale per il riconoscimento del diritto di ammissione nel territorio
dello Stato in corso; richiesta presentata da straniero che ha eluso i controlli
di frontiera o che si trova, comunque, in condizione di soggiorno irregolare;
richiesta presentata da uno straniero già destinatario di provvedimenti di allontanamento),
è previsto - come facoltativo nei primi tre casi, come obbligatorio negli ultimi
due - il trattenimento del richiedente asilo in uno dei previsti centri di accoglienza;
- nelle ipotesi di trattenimento obbligatorio di cui all'art. 1 bis comma 2,
la definizione dell'istanza di riconoscimento dello status di rifugiato ha luogo
attraverso una procedura semplificata, per la quale sono previste serrate cadenze
temporali sia nella fase di trasmissione da parte del questore della documentazione
necessaria alla valutazione della richiesta, sia nella fase della decisione
della istituita commissione territoriale per il riconoscimento dello status
di rifugiato; il ricorso avverso la decisione della commissione territoriale
- presentato, anche dall'estero, al tribunale in composizione monocratica competente
per territorio - "non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio
nazionale"; il richiedente asilo ha facoltà di chiedere al prefetto un'autorizzazione
alla permanenza nel territorio nazionale fino all'esito del ricorso; la decisione
di rigetto del ricorso è immediatamente esecutiva; - viene delineata la struttura
della commissione territoriale per il riconoscimento dello status di rifugiato
e vengono ridefinite le funzioni della Commissione centrale, ribattezzata "Commissione
nazionale per il diritto d'asilo". La normativa in tema di asilo prevista dal
disegno di legge governativo è criticabile da molteplici punti di vista e, prima
di tutto, nella scelta di adottare una disciplina scarna e tranchant in luogo
del complesso articolato che, ad esempio, caratterizzava il disegno di legge
approvato nello scorso marzo dalla Camera dei deputati: si tratta di una scelta
tanto meno comprensibile se si pone mente alla normativa europea in materia
approvata o in corso di approvazione, normativa alla quale la legislazione italiana
sarà chiamata ad adeguarsi. Nel merito, l'amplissimo ventaglio di ipotesi previste
dall'art. 1 bis attribuirà al trattenimento del richiedente asilo caratteri
di assoluta ordinarietà; d'altra parte, la natura sommaria della procedura semplificata,
in uno con la immediata esecutività della decisione della commissione territoriale,
determina gravi rischi di svuotamento, in termini di effettività, del diritto
d'asilo e, dunque, alimenta seri dubbi di legittimità costituzionale della normativa.

Se approvato, il disegno di legge governativo non condurrà ad un governo giusto
ed efficace dei fenomeni migratori, ma comporterà un'ampia e profonda compressione
dei diritti fondamentali dei migranti; non raggiungerà gli scopi dichiarati
e, in particolare, non ridurrà l'area dell'immigrazione irregolare, destinata
anzi ad allargarsi a causa sia della mancata adozione di strumenti di assorbimento
della clandestinità, sia della drastica chiusura dei canali di ingresso legale;
non favorirà l'integrazione dell'immigrazione regolare, che, attraverso l'accentuazione
dei processi di precarizzazione/amministrativizzazione della condizione giuridica
degli stranieri indotta dalle nuove norme in tema di soggiorno e di allontanamento,
sarà spinta verso una dimensione sempre pi marcatamente servile.
Novembre 2001.

01 04 2003
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