Reagire al declino della giustizia

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Cari amici,
credo che tutti cogliamo i segnali di un Paese in crisi.

Lo avvertiamo in molti settori, ed anche e purtroppo nel nostro settore, la giustizia.
Lo viviamo nelle leggi ad personam, nella torsione di norme e discipline per risolvere singoli casi e procedimenti, nella menomazione quotidiana dei principi costituzionali dell'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e della solidarietà (con l'indebolimento delle tutele per i soggetti pi deboli, tra tutti i minori e con modifiche processuali modellate per favorire le parti forti).
Lo avvertiamo nelle scelte del Governo che sembrano condannare la giustizia ad una rapida decadenza, che diventerà in tempi brevi quotidiana difficoltà a celebrare i processi ordinari: taglio dei fondi, blocco dell'assunzione del personale amministrativo, abbandono dei progetti di innovazione, blocco dei concorsi per i nuovi 1000 magistrati previsti da una legge del 2001.

Ma quanto è ancora pi grave sono i "guasti dell'anima", come li ha definiti Franco Cordero, ovvero quelle modifiche profonde provocate nel costume e nei comportamenti, anche quotidiani, che rischiano di impoverire e far degenerare il nostro Paese.
Così la legalità non è pi un parametro di civiltà, ma un ostacolo da superare o aggirare, un limite negativo, mentre la forza viene ad essere l'unico valore cui la legge ed i diritti (degli altri) debbono inchinarsi.
I guasti provocati da leggi sbagliate sono gravi, ma saranno pur sempre rimediabili; i guasti dell'anima sono pi profondi e difficili da curare e, se non vi sarà da parte di tutti una risposta che si traduce in comportamenti virtuosi frutto di consapevolezza culturale, potrebbero essere necessari decenni per rimediarvi.

Per questo credo che anche noi, nel nostro quotidiano, dobbiamo essere consapevoli del ruolo istituzionale che ci è assegnato dalla Costituzione, che ci impone un alto senso di responsabilità nei confronti della collettività. Nessuna rassegnazione, nessun abbandono di tensione, nessuna sciatteria è possibile : è nei momenti difficili che si deve svolgere fino in fondo e con orgoglio il proprio ruolo.
So bene come sia umanamente riconoscibile la tentazione di interpretare il proprio ruolo in senso puramente burocratico, come risposta alle continue mortificazioni che toccano tutti gli aspetti del nostro lavoro, da quelli pi propriamente materiali che attengono alla dignità del nostro lavoro, a quelli del rispetto per la stessa funzione pubblica di tutela dei diritti.
Dobbiamo contrastare questa tentazione senza remore, consapevoli come siamo delle responsabilità di cui il nostro ruolo ci fa carico, mantenendo la certezza che gli sforzi di oggi ci porteranno a risultati positivi.

Dobbiamo innanzitutto continuare a cercare di svolgere al meglio il nostro lavoro quotidiano, senza nessun cedimento, dando una risposta di giustizia a chi la chiede. Dobbiamo continuare a batterci perch ogni ufficio
sia organizzato al meglio, sulla base della pari dignità di tutti i magistrati; dobbiamo continuare a curare e discutere qualità e contenuti della giurisprudenza puntando ad una crescita collettiva.
Ma dobbiamo nel contempo essere capaci di denunciare, con costanza e puntualità e senza alcun timore, le enormi difficoltà che si incontrano nel lavoro, la vergognosa condizione in cui si amministra la giurisdizione priva di mezzi, strutture, personale, sistemazioni logistiche adeguate, e dall'altra l'incongruenza e pericolosità di taluni interventi normativi, avendo sempre presente che di tutti questi aspetti negativi è il cittadino che attende giustizia a pagarne per primo le conseguenze peggiori.
Dobbiamo avere la forza di chiedere ai nostri organi associativi e istituzionali di essere
un esempio virtuoso di efficienza, equità e correttezza.

Probabilmente un giorno ci verrà chiesto che cosa ha fatto ciascuno di noi e la magistratura nel suo complesso in un momento difficile come questo: dobbiamo essere in grado di dire che tutto il possibile è stato fatto e che noi abbiamo fatto fino in fondo la nostra parte.

Milano, giugno 2003

28 06 2003
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