Congresso di Venezia dell'Anm: la relazione introduttiva

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ìGiustizia
più efficiente e Indipendenza della magistratura a garanzia
dei cittadini”

Venezia
5 - 8 febbraio 2004

 

Sommario

  1. L’associazionismo dei
    magistrati italiani

  2. Dal XXVI al XXVII Congresso
    dell’Anm: efficienza del servizio ed indipendenza della
    magistratura

  3. Il problema della giustizia
    italiana: la durata eccessiva dei processi

  4. L’organizzazione ed il
    funzionamento dei servizi relativi alla giustizia (art. 110 Cost.)

  5. Il processo penale

  6. Il processo civile

  7. Ordinamento giudiziario: alcune
    situazioni di tensione

  8. La proposta governativa di
    riforma dell’ordinamento giudiziario

  9. La costruzione dello spazio
    giuridico e giudiziario europeo

  10. L’impegno per la qualità
    del servizio giustizia

1.
L’associazionismo dei magistrati italiani

Signor
Presidente, autorità, avvocati, studiosi del diritto,
operatori della giustizia tutti, signore e signori, colleghe e
colleghi, quale presidente dell’Associazione dei magistrati
italiani svolgo la relazione introduttiva del XXVII Congresso
nazionale.

Un
particolare deferente ringraziamento al Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi, che per la terza volta, dopo Roma 2000 e
Salerno 2002, onora con la sua presenza
la nostra biennale occasione congressuale.

Saluto
i Presidenti dell’Unione Internazionale dei Magistrati e delle
associazioni europee AEM e MEDEL.

Un
reverente ricordo per due grandi che ci hanno di recente lasciato:
Norberto Bobbio, maestro del diritto e dei diritti ed Alessandro
Galante Garrone, magistrato, storico e giurista. Nel 1959 Galante
Garrone nel suo Profilo della Costituzione” ammoniva
tutti che La Costituzione è un programma comune e
minimo, la trincea di tutti i combattenti della libertà che
deve essere difesa contro ogni insidioso attacco, e diserzione, e
disaffezione, e noncuranza”. Soggetti alla legge e soltanto
alla legge, i magistrati italiani trovano il saldo punto di
riferimento ideale nelle norme della Costituzione, che come ha
affermato il Presidente Ciampi è viva e valida” e
di cui bisogna rispettare l’anima e lo spirito”.

Torniamo
oggi a tenere la nostra assise nazionale qui a Venezia ad oltre mezzo
secolo dal VI Congresso del 1952.

Il
Maggior Consiglio della Repubblica di Venezia in un decreto del 1402
afferma con orgoglio: la principale causa della conservazione
di questa città è la sollecitudine dei nostri
progenitori che vollero quilibet cuiusvis gradus et conditionis
existat subiaceat justitiae et juri
” (1).

é
il principio che vediamo scritto nelle nostre aule di giustizia La
legge è uguale per tutti”, che nella tradizione del
costituzionalismo americano si esprime nel concetto di rule of
law” e nella formula government of law, and not of men”
(2), e che nella nostra Costituzione è proclamato
nell’art. 3. Per anni l’attenzione si è diretta
sulla parte più innovativa di questo articolo, quel secondo
comma che introduce il concetto di uguaglianza sostanziale, proposto
dal relatore della prima sottocommissione Lelio Basso, che
ricordiamo oggi nel centenario della nascita. A partire dal secondo
comma dell’art. 3 in cui Costantino Mortati, redattore del
testo finale, vedeva uno degli elementi principali di novità
della nostra rispetto alle altre costituzioni contemporanee, Norberto
Bobbio propose la nozione di funzione promozionale del
diritto” (3).

Era
difficile immaginare che sarebbe stato messo in discussione il
principio della uguaglianza formale del primo comma dell’art. 3
ìTutti i cittadini… sono eguali davanti alla legge …
senza distinzioni di condizioni personali e sociali”.
(4). Il principio secondo il quale quilibet
cuiusvis gradus et conditionis existat subiaceat justitiae et juri
”,
di cui il primo comma dell’art. 3 Costituzione è
traduzione italiana pressoché testuale ci sembra più
che mai la stella polare di riferimento per tutti i magistrati.

Il
Congresso del 1952 a Venezia ebbe come tema centrale l’attuazione
del Csm. é un tema che oggi puntualmente si ripropone seppure
in termini nuovi, difesa del ruolo che la Costituzione attribuisce al
Consiglio superiore della magistratura, pietra angolare”
dell’ordinamento giudiziario (secondo
la definizione della Corte Costituzionale nella sentenza n. 4/1986).
Il Consiglio superiore della magistratura viene da taluno presentato
quasi come un fastidioso intruso, incautamente "inventato"
dalla Costituzione del 1948 ed ancor più incautamente lasciato
sviluppare. Insomma si tratterebbe di una delle espressioni
dell’anomalia del caso italiano di cui occorrerebbe
sbarazzarsi, in attesa di una auspicata modifica costituzionale,
mettendo mano sin d’ora a livello di legislazione ordinaria ad
un’opera di puntigliosa erosione delle attribuzioni. In realtà
l'idea di un organo del tipo del Csm ha significativi precedenti già
a partire dalla fine del secolo scorso in Francia e in Italia. Il Csm
italiano della Costituzione del 1948 rappresenta, come è stato
da tempo sottolineato, il punto nodale di un nuovo ed originale
modello di organizzazione giudiziaria, che ha influenzato
sensibilmente i sistemi costituzionali di molti Paesi europei che
nell’ultimo mezzo secolo hanno riconquistato la democrazia.(5)

Se il
modello italiano di Csm ha influenzato direttamente le costituzioni
democratiche della Spagna e del Portogallo, occorre sottolineare che
l’idea di un organo di governo autonomo del giudiziario è
stata significativamente proposta dal Consiglio d’Europa come
organismo per assicurare l’indipendenza ed imparzialità,
presupposti del giusto processo secondo l’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.(6)

A
livello di Unione europea è in corso di istituzione una Rete
europea dei Consigli della giustizia” quale strumento di
collegamento tra Consigli superiori e istituzioni equivalenti, mentre
è già operativa, dall’ottobre 2000, la Rete
europea di formazione giudiziaria”, in cui un ruolo
significativo ha svolto il nostro Csm, al cui delegato è stato
attribuito il ruolo di segretario generale.

Altro
che anomalia italiana” di cui occorrerebbe liberarsi.
Piuttosto un modello istituzionale di cui essere orgogliosi e da
preservare gelosamente perché in Italia Csm ed indipendenza
della magistratura sono inscindibilmente connessi, come ebbe a
ricordare un grande magistrato come Andrea Torrente: «Riferire
sui precedenti storici del Consiglio superiore della magistratura
equivale a scrivere la storia del progressivo affermarsi, non solo
nella coscienza collettiva, ma anche nel nostro ordinamento positivo,
del principio dell'indipendenza dei giudici dal potere esecutivo»(7).

Indipendenza dei giudici e Csm sono da sempre al centro
dell’attenzione dell’associazionismo dei magistrati che
in Italia ha una forte e radicata tradizione. Proprio quest’anno
ricorre il centenario della prima iniziativa pubblica collettiva di
magistrati. Nell’aprile del 1904 116 magistrati in servizio in
Puglia sottoscrissero un documento, divenuto noto come il Proclama
di Trani”, diretto al capo del governo ed al ministro della
giustizia con il quale si sollecitava la riforma dell’ordinamento
giudiziario. Il 13 giugno 1909 a Milano si costituì a Milano
l’AGMI, Associazione generale tra i magistrati italiani, che
tenne a Roma il suo primo congresso nel 1911.

A
seguito del rifiuto dei dirigenti dell'AGMI di trasformare
l'associazione in sindacato fascista, l'assemblea generale tenuta il
21 dicembre 1925 deliberò lo scioglimento dell'AGMI. L'ultimo
numero de La magistratura, datato 15 gennaio 1926, pubblicò
un editoriale non firmato dal titolo "L'idea che non muore",
che si concludeva con queste parole «Forse con un po' più
di comprensione - come eufemisticamente suol dirsi -
non ci sarebbe stato impossibile organizzarsi una piccola vita senza
gravi dilemmi e senza rischi, una piccola vita soffusa di tepide
aurette, al sicuro dalle intemperie e protetta dalla nobiltà
di qualche satrapia... La mezzafede non è il nostro forte: la
'vita a comodo' è troppo semplice per spiriti semplici come i
nostri. Ecco perché abbiamo preferito morire». (8)

é
forse in questo gesto di sfida la ragione della durezza mostrata dal
regime, che con RD 16 dicembre 1926 destituì dalla
magistratura i più noti dirigenti dell'associazione a
cominciare dal segretario generale Vincenzo Chieppa, verosimilmente
autore dell'articolo citato. Alla caduta del fascismo e con il
ripristino della democrazia nell’aprile del 1945 si ricostituì
la Asso­ciazione nazionale magistrati italiani (e Vincenzo
Chieppa, riassunto in magistratura, ne fu uno dei dirigenti).

Oggi
all’Anm è iscritto circa il 95% dei magistrati in
servizio. Non si tratta solo di formale iscrizione, ma anche di
partecipazione attiva alla vita associativa, come è indicato
dalle ultime elezioni per il rinnovo del Comitato direttivo centrale
del maggio 2003 che hanno visto, con 7373 votanti, una partecipazione
altissima, senza paragoni in alcuna associazione professionale.

Il
ruolo delle libere associazioni di giudici è stato
riconosciuto dal Consiglio d’Europa nella Carta europea
sullo Statuto dei giudici” approvata a Strasburgo il 10 luglio
1998 e di fatto associazioni di magistrati operano in tutti i 45
paesi aderenti.(9)

Ne è
testimonianza la partecipazione a questo nostro Congresso dei
rappresentanti delle due associazioni europee Aem e Medel, oltre che
della Uim. La peculiarità italiana consiste nel fatto che
mentre in molti Paesi operano diverse associazioni di magistrati,
della Anm fanno parte tutte le correnti di magistrati che operano nel
nostro Paese. Anche su questo punto la osservazione della realtà
europea fa giustizia della osservazione, ripetuta anche da autorevoli
saggisti, ma cionondimeno infondata, che il pluralismo associativo
sia un’anomalia italiana e la causa di tutti i mali, primo fra
essi la cosiddetta politicizzazione della magistratura. All’opposto
il Consiglio d’Europa, concentrando l’attenzione sui
Paesi di più recente democrazia, ove la regola era quella
dell’unica associazione ufficiale” di magistrati,
insiste e lo vediamo nella Carta sopra ricordata, sulle libere
associazioni.

L’esistenza
nella realtà italiana di diverse correnti, con i mutamenti che
si sono succeduti nel tempo, e la dialettica tra di esse costituisce
un segno della vitalità dell’associazionismo giudiziario
italiano; il fare riferimento tutte le correnti all’Anm
conferisce ad essa una rappresentatività forte. Piaccia o non
piaccia, e non sembri iattanza sottolinearlo, l’Anm,
quale libera associazione con la sua dirigenza democraticamente
espressa, è la magistratura italiana. E la Giunta
esecutiva centrale che siede a questo tavolo, Piero Martello,
vicepresidente, Carlo Fucci, segretario generale, Antonietta
Fiorillo, vicesegretario generale, Tommaso Bonanno, Mario Fresa,
Sergio Gallo, Ezia Maccora, Mario Suriano, Achille Toro, rappresenta
tutte le correnti ed è stata votata all’unanimità.

E a
questo congresso, che ha visto un’affluenza senza precedenti,
sarà presente quasi il 10% dei magistrati italiani, un livello
di partecipazione e di rappresentatività che non ha paragone
in alcuna altra categoria.

L’Anm
deve la sua rappresentatività al fatto di comprendere tutte le
posizioni presenti nella magistratura italiana; deve la sua
autorevolezza al fatto di esprimere la sintesi del ricco dibattito
che si alimenta dal suo pluralismo interno. Da un punto di vista
generale l’associazionismo dei magistrati in quanto tale si
caratterizza da sempre per una tensione
tra i due poli opposti, quello del ripiegamento su chiusure
corporative e quello dell’apertura della corporazione alla
società e al dibattito nella società sui problemi della
giustizia. Proprio il pluralismo interno è l’antidoto
contro il prevalere della chiusura corporativa. Per questo abbiamo
reagito con fermezza di fronte alla reiterazione di iniziative che
hanno preteso mettere in discussione la legittima e trasparente
adesione dei magistrati alle correnti e alla stessa Anm e la
partecipazione dei magistrati e dei gruppi associativi al dibattito
sui temi della giustizia.(10)

La
partecipazione dell’Anm al dibattito sui temi della giustizia,
che si nutre del confronto che abbiamo sempre perseguito con
l’avvocatura, gli studiosi del diritto e tutti gli operatori,
si concreta in ricognizione della situazione organizzativa, in
valutazioni sui problemi interpretativi ed applicativi della
legislazione in vigore, in proposte di riforma, in analisi delle
iniziative legislative in corso. é questo, nel rigoroso
rispetto delle prerogative del Parlamento e del Governo, il
contributo della magistratura associata all’elaborazione di un
servizio giustizia più efficiente e di un sistema sempre più
adeguato di tutela dei diritti. Nella relazione svolta due anni
addietro al XXVI Congresso di Salerno il presidente Gennaro
ricordava, ad esempio, «l’intensa attività di
interlocuzione con le forze politiche per sollecitare l’adozione
di scelte normative che consentissero la piena attuazione del
principio del giusto processo». Siamo andati avanti nella
stessa linea della proposta e del confronto, su tutte le questioni
che si sono da allora prospettate.

2. Dal XXVI al XXVII Congresso
dell’Anm: efficienza del servizio ed indipendenza della
magistratura

Ripercorrere,
come è doveroso in questa relazione introduttiva, l’attività
dell’Anm nei due anni che ci separano dal XXVI Congresso
nazionale, tenuto a Salerno dal 28 febbraio al 2 marzo 2002, ci
rimanda puntualmente alle due prospettive evocate nel titolo di
questo congresso, efficienza del servizio giustizia e indipendenza
della magistratura, che hanno costituito il riferimento del nostro
impegno. Sono stati due anni straordinariamente intensi di
iniziative, seminari, convegni, dibattiti a livello locale e a
livello nazionale nei quali abbiamo portato le nostre proposte e le
nostre osservazioni al confronto con gli operatori del diritto,
avvocati e studiosi del diritto, con le forze politiche e con gli
esponenti istituzionali. Credo che le Giunte esecutive centrali che
si sono succedute in questo biennio, quella che ho l’onore di
presiedere, così come le precedenti presiedute da Giuseppe
Gennaro ed Antonio Patrono, possano andare orgogliose per la quantità
e la qualità del lavoro svolto in una linea di sostanziale
continuità.(11)

Ma occorre
anche dire che il quadro in cui ci siamo mossi in questi due anni è
un quadro di delusione, di sconforto, di preoccupazione e, per certi
aspetti, di allarme.

Le leggi
approvate in materia di giustizia, talora dichiaratamente ispirate da
ragioni contingenti, non hanno inciso se non in senso negativo sulla
qualità e sulla funzionalità del servizio giustizia. Lo
stato dell’organizzazione giudiziaria, che la Costituzione
attribuisce alla responsabilità del Ministro della Giustizia,
non ha visto miglioramenti significativi, anzi segna arretramenti in
settori importanti: soprattutto è mancato un piano organico di
intervento. Torneremo specificamente su questi punti.

Ma
l’aspetto più vistoso e maggiormente riflesso sull’arena
della pubblica opinione ha toccato il rapporto politica/giustizia.
Una puntualizzazione preliminare è doverosa.

Sono
stati due anni non di tensioni o di scontro tra politica e
magistratura, come vorrebbe far intendere una vulgata non fondata sui
fatti. Sono stati invece due anni di reiterati gravissimi attacchi
all’indipendente esercizio della funzione giudiziaria, attacchi
che sono venuti, si deve precisare, non genericamente da parte della
politica ma da parte di alcuni esponenti politici ed istituzionali.
Un attacco, senza precedenti nella storia della Repubblica, che per
di più è stato improvvidamente proiettato anche sulla
scena europea nel corso dell’ultimo semestre dello scorso anno.

Non sono
gli insulti, anche di recente reiterati con grande clamore mediatico,
che ci toccano: gli insulti debbono essere un problema per chi ne è
autore, non per chi ne è vittima.

I singoli
magistrati, la magistratura, l’Associazione nazionale
magistrati ed il presidente pro tempore che la rappresenta, non hanno
mai, mai accettato di scendere sul terreno dello scontro.

I
magistrati, giudici e pubblici ministeri, hanno silenziosamente
svolto il loro compito, hanno avuto l’ardire, questo sì,
di applicare la legge, di portare avanti e concludere i processi.

Alcuni
magistrati, che abbiamo l’onore di avere oggi qui con noi, sono
stati chiamati per nome e additati al pubblico disprezzo, tanti e
tanti altri magistrati noti e meno noti, amministrando giustizia
spesso in situazioni di grande difficoltà, si misurano ogni
giorno con gli effetti perversi di questa campagna di
delegittimazione.

Sicuro
di interpretare un comune sentire voglio qui esprimere a tutti loro,
insieme alla solidarietà più forte, la gratitudine per
quanto hanno fatto e continuano a fare, il sostegno per andare
avanti.

L’Anm,
dicevo, non ha mai accettato di scendere sul terreno dello scontro,
ma ha puntualmente e pervicacemente richiamato i principi
fondamentali della divisione dei poteri.

L’attacco
diretto ai magistrati e alle decisioni da loro emesse è un
attacco alla giurisdizione e dunque al sistema di tutela dei diritti
dei cittadini. Operare deliberatamente per minare la fiducia dei
cittadini nei loro magistrati mette in crisi uno dei fondamenti della
convivenza civile. Tutto ciò è avvenuto e continua ad
avvenire; noi non cessiamo di auspicare, di sperare, nell’interesse
generale, che si verifichi un mutamento.

Non è
questa la sede per un’analisi sul tema del rapporto politica e
giustizia.

é
opportuno comunque rammentare alcuni principi fondamentali sulla
indipendenza della magistratura, che è garanzia per i diritti
dei cittadini e per la stessa democraticità di un sistema,
assicurando che l’esercizio del potere sia anch’esso
soggetto alla legge.

Alexander
Hamilton, uno dei padri fondatori del costituzionalismo americano,
nel Federalista n. 78, con parole del tutto attuali indica il
ruolo del potere giudiziario: «In regime monarchico, esso
rappresenta un’ottima barriera contro il dispotismo del
principe, in regime repubblicano rappresenta una barriera,
altrettanto efficace, contro i soprusi e le prepotenze degli organi
rappresentativi. … é incontestabile che il potere
giudiziario è, senza paragone alcuno, il più debole dei
tre poteri dello Stato least dangerous branch; che esso non potrà
mai attaccare con qualche successo uno degli altri due; che è
invece necessario prendere ogni possibile precauzione affinché
esso sia messo in grado di difendersi contro i loro possibili
attacchi».(12)

Qualche
decennio dopo Alexis de Toqueville, così descriveva il
funzionamento del sistema costituzionale americano: «Non
so se ci sia bisogno di aggiungere, tanto la cosa è naturale,
che, in un paese libero come l’America, ogni cittadino ha il
diritto di accusare i funzionari pubblici dinanzi ai giudici ordinari
e che i giudici hanno, a loro volta, il diritto di condannarli. Non è
concedere un privilegio particolare ai tribunali, il permettere loro
di punire gli agenti del potere esecutivo quando violano la legge.
Sarebbe togliere loro un diritto naturale il proibirglielo. Non mi è
mai sembrato che gli Americani, rendendo tutti i funzionari
responsabili davanti ai tribunali, abbiano indebolito la forza del
governo. Mi è sembrato, al contrario, che, così
facendo, abbiano aumentato il rispetto dovuto ai governanti, i quali
si industriano assai più per andare esenti da critiche».(13)

Vengono
costantemente riproposte polemiche sulle indagini di Mani pulite,
indagini e processi che hanno interessato numerose sedi giudiziarie
italiane e coinvolto centinaia di imputati. Vi sono stati, certo,
eccessi, errori, protagonismi, vi sono state dolorose e tragiche
vicende personali. Ma la storia di Mani pulite non è la storia
di eccessi e di errori, è, al contrario, la storia del
doveroso intervento repressivo penale di fronte ad un vero e proprio
sistema di corruzione, ad una devastazione della legalità,
quando tutti i controlli preventivi amministrativi, la concorrenza
delle imprese sul mercato ed i rimedi interni al sistema politico
erano rimasti inoperanti e settori degli stessi apparati di verifica
e repressione erano stati inquinati. Il corretto controllo dei
giudici sulle iniziative dei pubblici ministeri ha portato anche a
numerosi proscioglimenti e assoluzioni (ed ancor più ha
operato la prescrizione). Ma occorre smentire la leggenda tanto
diffusa, quanto falsa, secondo la quale le indagini sulla corruzione
si sarebbero concluse per lo più nel nulla. I dati dimostrano
che vi sono state centinaia di condanne passate in giudicato ed in
centinaia di casi vi è stata espiazione di pena. Se in molte
vicende, e per la gran parte dei condannati più noti, la
condanna non ha comportato il carcere è perché,
saggiamente, ha operato il diritto mite” delle misure
alternative alla detenzione. Nella vicina Francia dove i meccanismi
di misure alternative e di sospensione della pena hanno un ambito di
operatività più ristretta, imprenditori di rilievo ed
uomini politici, tra cui tre ex ministri, hanno scontato una parte
della loro pena in carcere.

In Italia
la cosiddetta Tangentopoli ha presentato caratteristiche di
accentuata pervasività, ma la corruzione politica sul finire
degli anni ’80 si è presentata in numerosi paesi
democratici non come marginale od occasionale, ma sempre più
spesso come un sistema” di corruzione. Uno degli
studiosi che ha maggiormente approfondito l’argomento, Yves
Mény, autore già nel 1992 del saggio La
corruption de la Republique” in più occasioni ha
insistito sul concetto che «la corruzione non può essere
considerata come un fenomeno secondario, una malattia benigna ed
inevitabile che bisogna certo combattere, ma sapendo che è
impossibile sradicarla... Distruttrice dello Stato, anche nella sua
versione dittatoriale o autoritaria, la corruzione è mortale
per i regimi democratici che non sappiano reagire in tempo».(14)

Nello
stesso senso si è espresso il Parlamento europeo nella
Risoluzione per una politica anticorruzione dell’Unione europea
del 6 ottobre 1998 affermando che «la corruzione nel settore
pubblico mette in pericolo il funzionamento del sistema democratico e
la fiducia dei cittadini nei confronti dello stato democratico di
diritto».(15)

Applicando
la legge di fronte alla corruzione, a tutti i tipi di corruzione ed
al più grave di essi, la corruzione di giudici, la
magistratura non ha fatto altro che adempiere al suo dovere. Se lo ha
potuto fare anche nei confronti di qualsiasi imputato è grazie
allo statuto di indipendenza garantito dalla Costituzione.

Ai
magistrati è stata mossa l’accusa più grave e più
delegittimante, quella di parzialità. Questa accusa nel 1996
fu rigettata dall’Alta Corte di Giustizia londinese. Lord Simon
Brown, nella motivazione della decisione del 23 ottobre 1996 con la
quale la High Court of Justice respingeva il ricorso della difesa
contro la trasmissione di atti di una commissione rogatoria, ha
scritto: «Non accetto in nessun modo che il
desiderio della magistratura italiana di smascherare e punire la
corruzione nella vita pubblica e politica ed il conflitto che ciò
ha creato tra i giudici ed i politici di quel paese, operi in modo
tale da trasformare i reati in questione in reati politici. é
un uso scorretto del linguaggio definire l’iniziativa dei
magistrati come improntata a ‘fini politici’ o le loro
azioni nei confronti dell’imputato come persecuzione politica.
Al contrario, tutto ciò che ho letto su questo caso suggerisce
piuttosto che la magistratura sta dimostrando al tempo stesso una
giusta indipendenza politica dall’esecutivo ed equanimità
nel trattare in modo eguale i politici di tutti i partiti».(16)

Ma questo non ha impedito che
l’accusa fosse reiterata nel corso dei due processi milanesi
per corruzione giudiziaria. Dopo che diverse istanze di ricusazione
erano state rigettate, quando le Sezioni Unite della Cassazione,
massimo organo giudiziario del nostro sistema, hanno rigettato
l’istanza di rimessione avanzata sulla base della legge Cirami,
è stata rilanciata con grande enfasi il 30 gennaio 2003 su
tutte le reti televisive la gravissima accusa di una giustizia
amministrata in nome e per conto di una classe politica”.(17)

Questa accusa, riproposta il 2
luglio 2003 al Parlamento europeo a Strasburgo, mette in discussione
il valore fondamentale della imparzialità della magistratura,
mina la fiducia dei cittadini della giustizia, viola il principio
della separazione dei poteri. Per questo ha suscitato sconcerto e
preoccupazione vivissima in Europa, ove è patrimonio acquisito
che l’indipendenza della magistratura è uno strumento
essenziale per la garanzia dei diritti dei cittadini.

In
quanto magistrati italiani abbiamo trovato conforto nel comunicato
del Presidente della Repubblica italiana che ancora una volta, il 4
settembre 2003, ha espresso la sua «ferma
convinzione che i cittadini italiani guardano alla Magistratura con
piena fiducia, come all’istituzione, che, pur tra non poche
difficoltà, si adopera con impegno e con dedizione - in piena
autonomia ed indipendenza, secondo il dettato costituzionale - ad
amministrare la giustizia per la tutela dei loro diritti ed il
rispetto della legalità».

Ed
abbiamo particolarmente apprezzato la nota con la quale
nell’occasione il Consiglio nazionale forense ha sottolineato
che ogni offesa alla funzione giurisdizionale, da qualunque parte
provenga, è una offesa anche alla funzione difensiva ed alla
avvocatura italiana.(18)

 

3. Il problema della giustizia
italiana: la durata eccessiva dei processi

Molteplici
sono le manifestazioni della crisi della giustizia, ma «il
problema centrale della nostra giustizia è e rimane quello
della durata eccessiva dei processi», come ha ribadito il
Presidente Ciampi nel discorso del 18 dicembre 2002. Il principio
della ragionevole durata dei processi, che l’art. 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo pone
significativamente come prima delle caratteristiche del processo equo
e che dal 1999 è iscritto nell’art. 111 della nostra
Costituzione, rimane largamente
inattuato.

Siamo di
fronte ad una lesione grave dei diritti dei cittadini e a una mancata
risposta ad un’esigenza fondamentale della società, con
pesanti ricadute negative sulla libertà, sui beni, sull’onore
dei singoli, ma anche sul sistema economico e di impresa e sulla
stessa tenuta della civile convivenza. Insomma è un problema
centrale per la qualità della nostra democrazia. Noi
magistrati non intendiamo né arrenderci né rassegnarci
di fronte ad una situazione che viviamo noi per primi, con
l’umiliazione di non poter rendere ai cittadini il servizio
giustizia cui avrebbero diritto. Non è un fenomeno naturale
ineluttabile ed imperscrutabile, non è un problema
irresolubile. Se i tempi della giustizia civile rimangono troppo
lunghi, i dati dimostrano che opportune riforme legislative
accompagnate dall’impegno dei magistrati e di tutti gli
operatori di giustizia hanno consentito di invertire la tendenza ed
ormai da qualche anno si sta recuperando l’arretrato e non se
ne crea di nuovo poiché i procedimenti esauriti superano le
sopravvenienze.

Analisi
sono state fatte e rimedi proposti. Si tratta di intervenire su tre
livelli:

  • ”organizzazione e del
    funzionamento dei servizi relativi alla giustizia” che l’art.
    110 della Costituzione rimette alla responsabilità del
    Ministro della Giustizia

  • processo penale e civile

  • ordinamento giudiziario.

In questi
due anni nulla o quasi è stato fatto; quel poco che è
stato fatto e quello che viene proposto va in direzione opposta a
quella che sarebbe necessaria. é una valutazione seccamente
negativa, che argomenteremo. L’Anm non assume, e mai lo ha
fatto, un ruolo di contrapposizione politica rispetto al Governo o al
Ministro della Giustizia, semplicemente sta ai fatti. Siamo coscienti
che non tutti i magistrati sono pienamente all’altezza del loro
difficile compito, chiediamo di sanzionare le patologie, invitiamo
tutti i colleghi ad impegnarsi sempre di più in qualità
e quantità di decisioni di giustizia. Chiediamo al Csm di
continuare ad esercitare, con incisivo impegno, tutte le sue
prerogative per contribuire al miglioramento della qualità del
servizio, attraverso gli strumenti della formazione e della verifica
della professionalità dei magistrati.

Ma
abbiamo il dovere di dire senza attenuazioni che, nonostante
l’impegno e l’abnegazione quotidiani della stragrande
maggioranza dei magistrati italiani, nella attuale situazione non è
possibile rendere un servizio giustizia di qualità in tempi
accettabili.

Sul tema dei
rimedi di fronte alla lentezza della giustizia l’Anm ha offerto
un contributo di analisi e proposta. Abbiamo tenuto un rapporto
costante con il personale amministrativo e le sue rappresentanze
sindacali. Abbiamo costantemente perseguito, nonostante momenti
ricorrenti di divisione sui contenuti ed anche di difficoltà
nel dialogo, la collaborazione con l’avvocatura e le sue
organizzazioni, nella consapevolezza che senza una comune assunzione
di responsabilità di tutti gli operatori della giustizia
sarebbe ben difficile fare passi avanti.

(per scaricare la relazione integrale, cliccare il link qui sotto)

04 02 2004
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