Lettera aperta agli avvocati

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Nel recente passato ci ha diviso la valutazione su alcuni aspetti della riforma dell'ordinamento giudiziario. Ma siamo certi che ci accomuna la convinzione della necessità dell'indipendenza della magistratura come garanzia per il cittadino e il profondo rispetto per la professione forense, che realizza essenziali principi costituzionali. Una magistratura indipendente ed una avvocatura libera sono i connotati di ogni vera democrazia.

Pensiamo che non possiate che condividere la nostra preoccupazione di fronte al tono ed ai contenuti delle recenti polemiche su singoli provvedimenti giudiziari. Si travalica ormai costantemente la critica, sempre legittima, sui singoli provvedimenti, per fare appello diretto al "sano sentimento popolare", di cui ci si propone come interpreti esclusivi. Ciò è tanto pi preoccupante quando sono in gioco vicende in cui la cui complessità e problematicità delle scelte rimesse alla magistratura dovrebbe essere sempre richiamata ai cittadini, piuttosto che fare appello alle reazioni emotive. Si urla allo scandalo per ipotesi di condanna a venti anni di reclusione con rito abbreviato, o per il riconoscimento della seminfermità mentale, muovendo dalla pretesa di farsi interpreti del "sentimento popolare". Il tutto senza reale contraddittorio, in un clima esasperato, che non consente dubbi o riflessioni.

A noi pare che tutto ciò mortifichi non solo l' indipendenza della magistratura, ma anche, e forse soprattutto, la funzione del difensore, il processo come luogo esclusivo per l'accertamento del fatto e la valutazione della personalità dell'imputato.

Tutto questo avviene nel momento in cui il Parlamento, con il disegno di legge Cirielli-Vitali (mentre con la modifica del regime della prescrizione vanifica ogni risposta penale anche per reati di notevole gravità), fissa per i recidivi in reati minori limiti di pena minimi anche di quattro anni e mezzo, con l'abolizione dei benefici penitenziari: eppure l'art. 27 della Costituzione sul carattere rieducativo della pena è ancora vigente.

Quando si parla della necessità di adeguare le sentenze al sano sentimento popolare ci turbano pericolose memorie. Quando il ministro della giustizia entra nel merito di decisioni giudiziarie, criticando la decisione di un giudice di Lecco e approvando quella di un giudice di Busto Arsizio, vi è da preoccuparsi per il sereno esercizio della giurisdizione. Quando un altro ministro presenzia ad una manifestazione in cui si disprezzano le sentenze, si mostrano lapidi per un procuratore della Repubblica, si lanciano invettive contro un giudice reo di aver assolto un imputato islamico e un altro giudice che ha applicato un patteggiamento a due nomadi, la preoccupazione è massima. I magistrati hanno accettato, come parte del rischio professionale, di entrare nel mirino di gruppi terroristi e di gruppi mafiosi, ma è difficile accettare questo livello di attacchi che coinvolgono esponenti del governo. Vorremmo discutere con le associazioni forensi questi argomenti, che non possono essere in nessun modo sottovalutati. Siamo sicuri che un confronto non potrebbe che vederci concordi, avvocati e magistrati, nella difesa di un esercizio indipendente e sereno della giurisdizione, libero da demagogiche strumentalizzazioni.

23 02 2005
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