Essere gruppo

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Allegato (mp3 zippato)Scarica da qui il file audio (compresso) dell'intervento di Rita Sanlorenzo (7484Kb)

Essere gruppo
Nessuno di noi può dire se stiamo assistendo in queste settimane alla fine di una stagione politica, determinata dall'inequivoco responso delle urne elettorali: può darsi, tutti ce lo auguriamo, che una fase sia al tramonto: il che forse ci consente di tirare il fiato, ma non di smettere di vigilare, di ragionare, di denunciare laddove bisogna farlo.
In fondo, il risultato pi pericoloso ed inquinante di questi anni è stato quello di aver visto spingere oltre, laddove sino al poco fa era impensabile, la linea del possibile, un "crescendo" in cui la riunione dei 5000 leghisti di Verona, con il rogo delle toghe e le lapidi innalzate alla morte della giustizia, rappresenta una, tra le tante, manifestazioni.
Sappiamo che le dinamiche di questo tipo, una volta innescate, sono molto difficili da fermare: e la storia ci insegna che anche quando per contingenze avverse, registrano interruzioni anche brusche, sotterraneamente continuano a progredire, nelle coscienze prima ancora che nei testi di riforma, pronte a riesplodere ma oltre, pi avanti rispetto a là dove le si era lasciate.
Per questo, dico, non possiamo smettere di ragionare e di attrezzarci per future fasi di resistenza, di protesta e di contrapposizione.

Questi anni hanno visto l'impegno strenuo e generoso del nostro gruppo all'interno dell'Associazione Nazionale Magistrati. Io l'ho già detto in tante occasioni nella discussione di questi anni, e sono qui per ribadirlo: in un momento come questo, in questi ultimi tre tormentatissimi anni, l'unico rappresentante possibile dell'ANM è stato uno di noi, così come una di noi lo era stata all'altro snodo traumatico della storia costituzionale della Repubblica, l'azzardo sbagliato della Bicamerale.
E non è stato casuale, credo che sia chiaro a tutti. E se è evidente che questa partita è stata giocata, sin qui vittoriosamente, anche grazie alle doti personali e politiche di Edmondo Bruti Liberati e degli altri componenti della giunta ANM, io credo che possiamo e dobbiamo dare atto di tutto ciò che in termini di propulsione, idee ed energie è stato profuso da tutto il gruppo, a tutti i livelli, anche e molto nelle sedi decentrate.
Un'esperienza che ci consente di dire con orgoglio che siamo stati capaci di indirizzare e tenere unito un corpo professionale estremamente variegato, per parte non trascurabile chiuso nella difesa delle proprie prerogative intese come privilegio; credo che uno slogan sia capace di esprimere quello che è avvenuto in questi anni, penso sia giusto affermare che l'ANM SIAMO NOI, siamo noi di magistratura democratica, siamo la sua anima e il suo motore, capace di imprimere direzione soprattutto nei momenti in cui occorre mettere in campo la difesa forte della nostra indipendenza dagli attacchi della politica

Oggi che questa fase della vita associativa si chiude, per il nostro gruppo si apre un biennio ancora di difficile lettura ma non di minore mobilitazione: oggi noi siamo chiamati a tracciare la linea lungo la quale magistratura democratica dovrà muoversi ed esprimere il proprio impegno e la propria azione.
Rispetto a questi temi, esordirò - forse molto banalmente - rovesciando lo slogan che avevo appena coniato, per dire a questo congresso che NOI NON SIAMO l'ANM; che quello che abbiamo dato e che sapremo dare alla magistratura associata non può esaurire il nostro slancio e la nostra propositività, perchè abbiamo una storia ed un'identità diverse da quelle delle altre componenti e che soprattutto abbiamo un altro ruolo.
Questi 40 anni di vita di md hanno segnato la presenza del gruppo e la sua crescita numerica, senz'altro confermandone l'essenzialità per l'evoluzione del dibattito all'interno della magistratura; ma soprattutto ne hanno fatto l'interlocutore imprescindibile e stabile di strati significativi della società: e proprio su questo terreno si misurano le differenze, segnate da un'identità forte, e che ci chiede, per continuare ad essere, di essere riaffermata ed anzi, se possibile, accentuata.

Sul da farsi, oggi, io condivido parola per parola le analisi di Giovanni Palombarini, che parte dai caratteri della fase storico - politica che stiamo vivendo, in cui da un lato arretrano i diritti sociali e del lavoro e dall'altro saltano - nei fatti prima che nelle norme scritte - gli equilibri istituzionali, mentre alcuni principi fondamentali dell'organizzazione statuale vengono ignorati e violati impunemente (l'art.11 della costituzione), per giungere a segnare le priorità per l'azione di md.
Oggi md deve impegnarsi in una posizione di difesa, della costituzione e dei suoi valori di fondo, e poi via via arretrando, di garanzie e principi fondamentali messi di volta in volta in discussione dalle scelte della maggioranza di governo e non adeguatamente contrastate a livello politico. Di "una guerra di trincea" ci parla Giovanni, per esempio nel settore dell'immigrazione.
E' un'analisi, come sempre, ineccepibilmente rigorosa: che ci indica la rotta politica a cui ci dobbiamo attenere, perchè io credo che oggi, tantomeno oggi, noi non possiamo limitare il nostro sforzo propositivo e il nostro impegno a proposte che riguardino esclusivamente nuovi strumenti e nuovi moduli sul piano dell'organizzazione giudiziaria.
Senz'altro, il tema dell'efficienza del servizio e della necessità di un preciso investimento della politica in tal senso è stato un formidabile argomento da contrapporre, in particolare a livello associativo, alle strumentali motivazioni poste a fondamento di una riforma sbagliata, ed a quella che si è rivelata essere, come si dice nella relazione, una precisa strategia, la strategia dell'inefficienza; ed è un argomento serio, e sensibile per i nostri interlocutori: ma rispetto al quale in questi anni forse abbiamo corso il pericolo di spostare il baricentro della nostra attenzione culturale, dimenticando di ripetere e di ribadire, all'attenzione dei magistrati italiani soprattutto, che non è ogni efficienza che ci interessa, ma solo quella capace di coniugarsi con il rispetto delle garanzie e dei valori costituzionali e la promozione dei diritti che oggi, e da tempo ormai, subiscono sistematici attacchi.

Dico questo, consapevolmente, anche sotto il peso della esperienza della realtà dove lavoro, forse una delle pi efficienti d'Italia, dove sono stati raggiunti senz'altro brillanti risultati in termini di smaltimento numerico. Ma è una sede dove in questi anni si sono registrate fra le pi basse percentuali di adesione agli scioperi: a dimostrare il fatto, che qui posso solo enunciare, che vi è un'efficienza - ed è la pi semplice da raggiungere - che è sostanzialmente indifferente ai valori che si vanno affermando all'interno delle aule di giustizia, e che consapevolmente tende all'isolamento del singolo magistrato, rispetto al resto degli altri magistrati, ma soprattutto, rispetto alla società in cui opera.
Io credo che, soprattutto in questa fase, dobbiamo stare molto attenti a non appiattirci su questa linea. Questi tempi ci chiamano in prima linea all'impegno nella difesa dei diritti, e della promozione di quell'uguaglianza che la nostra Costituzione fissa come obbiettivo a cui tendere: e questo per noi magistrati vuol dire, essenzialmente, RIPARTIRE DALLA GIURISPRUDENZA. Per noi magistrati democratici vuol dire favorire il confronto e il dibattito al fine di saper elaborare e proporre linee interpretative di tutela, di garanzia, con la massima attenzione ai profili di costituzionalità delle leggi. In fondo, non è per questa ragione che in questi anni abbiamo subito e stiamo subendo attacchi, continui, come singoli e come gruppo? Non è contro un certo modo di intendere il proprio ruolo che si è addirittura pensato di poter creare un illecito disciplinare capace di colpire la giurisprudenza creativa patrimonio inestimabile del sapere giuridico del paese.

Venendo al lavoro ed alle sue trasformazioni, solo pochi cenni.

Pochi giorni fa l'Osservatorio del Nord - Ovest diretto da Luca Ricolfi ha pubblicato il suo rapporto periodico, da cui emerge che a Torino, la città italiana industriale per eccellenza, la quota dei lavoratori parasubordinati (ex cococo ed ora lavoratori a progetto) è la pi alta, tra quelle delle altre grandi città italiane.
Si tratta di una massa ingente di lavoratori che sono stati estromessi in pratica dalla possibilità di godere delle garanzie e prerogative del lavoro subordinato: molto spesso lo strumento contrattuale è anzi posto in essere proprio al fine di escludere queste garanzie.
E non posso non accennare, visto che la condizione femminile è uno degli argomenti di questo congresso, e che comunque ovviamente esso attiene sempre al pi grande postulato dell'eguaglianza, che l'introduzione e l'incentivazione a queste forme ormai selvagge di precariato penalizzano soprattutto le donne che lavorano, in pratica impedendo loro di organizzare la vita loro e delle loro famiglie in modo da riuscire a conciliare le esigenze a cui devono far fronte.
E così, sotto il governo di questa destra che sbandiera l'obbiettivo dell'introduzione di un sistema di quote elettorali, che dovrebbero stare a dimostrare quanto a cuore stia l'emancipazione femminile, le politiche sociali e del lavoro in realtà risbattono indietro le donne in una condizione che non lascia loro scelta, se è vero che da un lato, il lavoro che c'è è sempre pi flessibile, ma flessibile in una direzione sola, si pensi alle clausole elastiche del part time ed alla loro libera revocabilità da parte del datore di lavoro, e dall'altro vengono meno servizi sociali essenziali come il tempo pieno scolastico.
A dimostrazione del fatto, semmai ce ne fosse bisogno, che lo strumento delle quote non serve da solo a promuovere l'eguaglianza femminile, se non è accompagnato da opzioni politiche di fondo che partano da una scelta precisa e si pongano sinceramente il dovere di perseguire questo obbiettivo.

Rispetto a quella che è la realtà odierna del mondo e della legislazione del lavoro, che io vi ho sin qui solo tratteggiato, dobbiamo interrogarci a proposito di come immagini il proprio ruolo il giudice, ed anche il giudice di md,
la mia esperienza di giudice di merito d'appello di questi tempi mi dà in qualche modo il senso dello smarrimento, da parte di molti di noi e anche di quelli che ci hanno premiato elettoralmente, di un'identità originale ed irrinunciabile, senza la quale non esistiamo e non abbiamo senso.
E non è raro imbattersi, in questa fase di progressivo smantellamento legislativo del sistema di tutele che contrassegnava il nostro diritto del lavoro, in provvedimenti giudiziari che a questo processo ritengono di non avere nulla da opporre, di non dovere opporre nulla.
Perchè si fa strada, prima di ogni riforma, il canone interpretativo della volontà del legislatore, intesa come volontà della maggioranza politica che ha espresso il provvedimento, capace dunque di affermarsi prima ed a discapito dei valori costituzionali che improntano la materia.
E quest'esperienza mi convince di quanto sia importante la ripresa, in molti settori il rafforzamento, di uno sforzo culturale, nei confronti della generalità dei nostri colleghi, innanzitutto per dare un luogo comune di elaborazione delle linee interpretative di garanzia, ma soprattutto per riportare all'evidenza di tutti quale è il compito, qual'è il dovere di un magistrato che della costituzione e dei suoi principi ha fatto la sua stella polare
Il compito si preannuncia difficile, ma prioritario: questi anni di assedio alla giurisdizione, di accuse tanto infamanti quanto sfornite di prova di parzialità possono aver fiaccato le capacità di resistenza di molti. Dal punto di vista culturale, sempre di pi sarà indispensabile il ricorso alle fonti sovranazionali, ai testi comunitari in ispecie, che ci aiuteranno a trovare strumenti se non ci basteranno quelli classici.
Ma si tratta di uno sforzo che riguarda la nostra vita, la nostra sopravvivenza futura.
Diversamente, non vedo come potremo andare all'esterno, a cercare il dialogo con i nostri interlocutori naturali, con tutte quelle aggregazioni che oggi praticamente sole lottano per la difesa di quegli stessi diritti, di quei valori, ed alle quali sentiamo di doverci affiancare, nella nostra vocazione verso l'esterno, perchè sappiamo, lo sappiamo bene, che la giustizia non è prerogativa esclusiva dei tribunali

A Venezia nel 2004 il ministro Castelli ci è venuto a dire di avere trovato la prova, la prova documentale, a proposito della mancanza di imparzialità di una parte almeno della magistratura, perchè fra gli esponenti di quel gruppo ce n'era uno che aveva pubblicato un libro dal titolo "giudici a sinistra", e un'altro, indicato nemmeno per nome ma come "il fondatore di una corrente ancora attiva", aveva così espresso le ragioni della sua scelta "Da un lato il rifiuto del conformismo, come gerarchia, come logica di carriera, come giurisprudenza imposta dall'alto, in una parola come passività culturale; dall'altro il sentirsi dalla parte dei soggetti sottoprotetti e sentirsi "da questa parte" come giuristi con le risorse e gli strumenti propri dei giuristi".
Si diceva inquieto il ministro di fronte ad un magistrato che dichiara di stare da una parte: ma io credo che oggi siamo qui per rispondere al ministro che, pur a fronte della sua inquietudine, che per un verso umanamente ci dispiace ma per altro in qualche modo anche ci rassicura, NOI STIAMO ANCORA DA QUELLA PARTE. dalla parte che ci hanno affidato Pino Borrè e come lui tanti altri, segnando la strada per quelli che sarebbero venuti dopo e che oggi giustamente si interrogano prima di ogni altra cosa a proposito del senso e del significato dello stare nei nostri uffici, da giudici, per dare giustizia.

E nella nettezza di questa scelta di campo stanno le risposte a tutti i travagliati interrogativi che agitano questi tempi difficili anche per la magistratura ed anche per magistratura democratica: qui sta il modo ed il riferimento per stare nei nostri uffici, dove rivendicare formule trasparenti e verificabili, anche dall'esterno, e dove dare vita anche a modelli nuovi nati dalla discussione e dal confronto con gli altri operatori di giustizia.
Sta il modo per riparlare di temi che questi anni di necessario unanimismo hanno messo un po' in disparte, il che non è un bene nè per noi nè per la magistratura: è ora di tornare a parlare di quel che non va nella giurisdizione, anche per il deficit degli stessi magistrati; è ora di ricordare, secondo quanto scriveva Mario Dogliani, che "nel patrimonio culturale del magistrato doverosamente devono entrare una "educazione morale" - la trasmissione di una deontologia - e la formazione di una coscienza del ruolo attraverso la trasmissione di una idea di magistrato".
Sta il modo di praticare l'autogoverno, da soli o operando all'interno di quell'alleanza con i movimenti che pure in tante occasioni ci vede divisi, ma in una misura anche inevitabile, perchè è l'alleanza la strada che ci siamo dati e non quella della confluenza. Le esperienze locali dimostrano come quest'accordo politico pur con tutte le difficoltà e le crisi, che vanno sempre denunciate, sia essenzialmente una materia da governare, con lucidità e lungimiranza, per raggiungere obbiettivi politici che viceversa ci sarebbero preclusi ma rispetto ai quali i magistrati che a noi guardano continuano a nutrire aspettative e ideali, e anche slanci partecipativi.
Su queste premesse si devono porre le basi per la nostra storia futura: un futuro capace di restare attaccato alla propria identità, pur necessariamente andando a sperimentare modi e esperienze nuove di partecipazione.
E' con particolare orgoglio che sottolineo oggi la presenza e la partecipazione al dibattito congressuale di tante colleghe, dopo questi mesi di discussione interna che hanno portato alla condivisione di una proposta di modifica statutaria che opererà da subito per consentire l'ingresso di un maggior numero di donne negli organismi direttivi della corrente. Ma noi non ci accontentiamo di questo: questo è lo strumento, non era l'obbiettivo a cui badavamo. Noi puntiamo a cambiare.
Pi donne vorrà dire un maggior risalto a temi che soprattutto la condizione femminile riguardano, ma rispetto ai quali vogliamo portare tutto il gruppo a riflettere ed a pronunciarsi pubblicamente, come per il referendum sulla fecondazione assistita.
Ma una maggiore partecipazione femminile dovrà significare un modo nuovo di praticare la vita del gruppo: linguaggi nuovi e diversi, tempi e strumenti diversi, per dar modo a tutte e tutti di esprimersi e di "contare", pur restando fedeli alle proprie priorità individuali, soprattutto se di carattere famigliare
E vi chiediamo di non svilire queste richieste a questioni banalmente logistiche, perchè in definitiva, quel che noi stiamo chiedendo con tutto questo è che si tenga conto della vita, delle vite delle persone. E se ci dobbiamo sempre ricordare, secondo l'insegnamento di Ferrajoli, che è proprio la vita delle persone, che ognuna ed ognuno di noi tiene nelle proprie mani nel momento in cui esercita la propria funzione, non trascuriamo mai di valutare che la propria vita pur sempre ognuna ed ognuno di noi mette in gioco nel momento in cui intraprende la strada, qualunque essa sia, dell'impegno e della riflessione collettiva.
In fondo, anche in questo stanno le ragioni del nostro essere gruppo, e della nostra scelta di farne parte: una scelta difficile, perchè è difficile, e non certo da oggi, la strada che md si è data. Ma abbiamo avuto l'inestimabile fortuna di avere molti grandi, grandissimi maestri, alcuni dei quali oggi non ci sono pi, ma ci stanno ancora accompagnando.

Rita Sanlorenzo

06 05 2005
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