Codici culturali e vitalità giuridica: per una nuova stagione dell'impegno

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Le grandi questioni che si sono delineate in questi anni impongono una riflessione critica e, a mio avviso, complessa su quelle che sono le dinamiche, i sussulti provenienti da una società caratterizzata da una mutazione genetica assolutamente non tranquillizzante.
Penso, infatti, che se una novità deve essere colta è che forse per la prima volta in modo palmare, in modo drammaticamente inquietante, si è costretti a rapportarsi non solo ad un presente difficile ma alla prospettiva di un futuro quanto mai fosco.
Forse per la prima volta si coglie intuitivamente, prima ancora che attraverso un giudizio euristico e ponderato, la possibilità che le forze di rigenerazione di una collettività consapevole possano essere alterate e svilite. Perch non vi è dubbio che la straordinaria opera di devastazione culturale, di sterilizzazione delle coscienze, di oltraggio al "tempio dell'uomo", alla sua intelligenza (per ricordare un esempio religiosamente laico) da parte di interessati "mercanti" sta producendo stili vita, consenso nell'immediato e la predisposizione congenita al consenso per il futuro.
In questo campo nulla è disinteressato, nulla è lasciato al caso.
Tutto è, per converso, preordinato al mantenimento e al soddisfacimento futuro di specifici ed individuabili interessi.
Nè vale ipotizzare una fiducia illimitata nelle potenzialità della persona laddove, come oggi accade, quelle potenzialità sono scientificamente annullate, depotenziate.
Si pone il problema di guardare con razionalità, passione e sguardo lucido e asciutto a questo tentativo di mutamento dell'Essere, in molti tratti già realizzato, per poi cercare di contrastarlo e di ripristinare un percorso di conoscenza, di rivisitazione critica, di consapevolezza adulta.
Il terreno del confronto, prima ancora che manifestarsi sul piano giuridico, è quindi culturale e deve riguardare in modo non pi eludibile la capacità da parte delle persone di proporre un giudizio critico e pensoso, una valutazione che abbia nel piacere dell'inspicere i suoi tratti distintivi.
In tutto questo Magistratura Democratica deve svolgere un ruolo essenziale, propositivo, di rottura; deve atteggiarsi il pi possibile come movimento di opinione riconoscibile nelle sue opzioni, nelle sue "scelte di campo" (come è stato storicamente detto), nella sua inesausta ed sempre fertile attività di demistificazione da intendersi sia come risultato che come metodo fruibili da tutti i cittadini e non solo dagli operatori del Diritto.
Si tratta di coltivare quella tenacissima continuità storica, rispondendo così al bisogno di non tradirsi, di non tradire cioè il proprio inerstipabile modo di essere, in una vitalità sempre pi effusiva, sempre pi tendente al dialogo, al dibattito, alla formazione delle pi diverse occasioni culturali.
Il cittadino deve sapere, deve conoscere la possibilità di un conoscenza alternativa, di una occasione "altra" quanto ai luoghi nei quali potersi formare una propria convinzione; e noi siamo chiamati, penso, ad una condotta che identifichi non solo il magistrato (lo ha detto tante volte, e giustamente, Nello Rossi) come "giudice della città", ma che lo renda così immediatamente riconoscibile, percepibile come tale da qualunque suo simile.
E questo impone l'esigenza di una diffusività ampia, capillare sul territorio; prefigura il contatto programmato con i circoli culturali, con i "codici" culturali delle persone, con le mille espressioni della società civile, con gli spazi di aggregazione dei pi giovani e che sarebbe delittuoso abbandonare a quel sopore dell'intelligenza indotto ed ormai grossolanamente perseguito dai mezzi di pi ampia comunicazione.
In questi anni di forte fibrillazione sociale che si è distinta per i movimenti di opinione, per le reazioni di corpo sociale sano che, magari anche in modi non programmati o scientificamente appropriati, si è però con passione contrapposto alla lesione di principi del diritto naturale, in questi anni, dicevo, non so se è stato fatto tutto quanto possibile per dare il nostro contributo il pi possibile organizzato, se sia stato vissuto e sperimentato sino in fondo il gusto della contaminazione con le esigenze del quotidiano, se si è stati sempre disponibili verso quella spaventata preghiera del "voler capire" che spesso mi è stata data l'occasione di sentire in tanti incontri con studenti, imprenditori, operai, o con l'intellighentia pi o meno avvertita sulle tematiche legate al nostro lavoro.
Io penso che non abbiamo il diritto di sperare nelle miracolose capacità di risposta dei cittadini che, nei termini che prima ho delineato, hanno costituito e continuano a costituire un argine estremo, coraggioso, commovente. Magari sino ad abusare di abusare di ciò.
Quante volte nelle nostre discussioni, telematiche e non, abbiamo avvertito il danno derivante da un gap comunicativo e la necessità/opportunità di ristabilire un contatto diretto, pi profondamente efficace, con le categorie di soggetti che con noi si relazionano?
Qui è il problema.
Selezionerei in primis fra queste gli avvocati, ovviamente pi a noi vicini per formazione professionale, ed il personale amministrativo con il quale l'esperienza umana del quotidiano ci porta ad una condivisione di problemi di natura organizzativa, giuridica ed operativa.
Partirei da questa categoria.
Non penso che sia utile un giudizio a posteriori sulle nostre eventuali responsabilità, che pure può e deve essere fatto ma che peccherebbe di relativismo e di personalismi. Penso che sia pi proficuo assumere una prospettiva che veda il coinvolgimento organizzato e non episodico dei nostri collaboratori, la selezione di prassi operative, dei metodi di lavoro, dando a tutto questo una consapevolezza il pi possibile giuridica che sia non solo culturalmente convincente, ma soprattutto di forte responsabilizzazione.
Il contrasto ad una "vulgata" pervicacemente riproposta di un sistema-giustizia inefficiente per neghittosità del personale amministrativo si realizza, a mio avviso, attraverso la considerazione di un "agire comune" dell'Ufficio Giudiziario, la comunicazione all'esterno di problematiche e di esigenze condivise che non consentano a coloro sui quali, poi, gravitano effettivamente responsabilità di inefficienza di nascondersi dietro le paventate lotte di corporazioni, le imprecisate inefficienze del sistema, il c.d. taglio degli sprechi. Una formula questa dai tratti sempre pi esoterici, indistinti, ottimale solo per rappresentare il comodo presupposto di manovre economiche privilegianti interessi di pochissimi.
L'esperienza degli osservatori civili, e si spera quanto prima di quelli penali, è lì a dimostrarlo: una vera rivoluzione copernicana (anche di stile) la cui sola proposizione ha permesso di manifestare entusiasmo e stupore da parte di tanti operatori della Amministrazione da tempo solo demandati alla soddisfazione di carichi di lavoro inauditi e svolti anche in una consapevolezza giuridica non adeguatamente avvertita, vessati da un rapporto con il professionista ed il cittadino non sempre denotanti criteri di comprensione, oggetto (e non soggetto) dei metodi di lavoro dei magistrati spesso orientati al soggettivismo pi estremo.
Recuperare intelligenza, passione, responsabilità dei collaboratori costituirebbe la migliore risposta, la migliore offensiva della ragione nei confronti di chi non è stato percepito come adeguato alle esigenze del quotidiano, di chi non è in grado di cogliere e di sviluppare le personalità migliori di una Amministrazione ricordata solo ed unicamente per le "sacche di inefficienza".
Sugli avvocati le riflessioni sono pi complesse ed articolate: il congresso saprà affrontarle e darle le risposte pi opportune.
Mi limiterò a delineare la necessità di un metodo di lettura che tragga origine da fatti che mi pare abbiano segnato la professione forense in maniera non marginale. L'aggressione alla giurisdizione, proprio nella sua ampiezza e sistematicità, ha intaccato l'essenza stessa del ministero difensivo: la cultura della ricerca, della prospettazione innovativa, dell'essere il difensore un "terminale" di percorsi carsici, ma non per questo meno vitali, di una coscienza collettiva sempre in divenire.
Senza dimenticare, poi, quella aggressione pi immediata, e per certi versi emblematica, rappresentata dalla diminuzione delle garanzie difensive in specifici ambiti della ultima legislazione che ha portato alla icasticità dell'ossimoro "diritto-diseguale".
In questo passaggio, bisogna dirlo con franchezza, l'avvocatura è apparsa spiazzata, non ha saputo o potuto replicare ad una offensiva che andava ben al di là della nota tematica della separazione delle carriere e che investiva principi che toccano le persone nella loro quotidianità pi stretta, immediata.
Il "giusto" processo non si identifica solo con l'aggettivazione di una formula tanto ridondante quanto abusata; il giusto processo è quello nel quale non vengono pretermesse con inquietante facilità garanzie, principi, culture sedimentatisi per anni. Su questo, prima dell'intervento della Corte Costituzionale, non si rammentano prese di posizioni articolate e stringenti da parte della avvocatura civile e penale, e la circostanza non ha indotto ad ottimismo, per usare un eufemismo.
Sarebbe quanto mai opportuno ripartire anche qui dal basso, essere propositivi in concreto, fornire il concreto contributo scientifico.
M.D. deve riprendere e riorganizzare la ricerca scientifica nelle esperienze dei circondari, deve conferire ad essa il pregio del contributo "serio", combattendo lo spirito impiegatizio e non ripiegandosi nell'avvallare perniciose prassi domestiche che hanno il solo scopo di rendere pi comoda ed economicamente proficua la giornata lavorativa a magistrati ed avvocati, magari a scapito del controllo sociale e dell'immagine stessa della funzione giurisdizionale.
Concludendo io penso che oggi debba recuperarsi anche nell'ambito giuridico la conoscenza, al tempo stesso intima e partecipata, di quella differenza culturale che passa fra una visione della vita sociale orientata allo sviluppo, all'efficientismo di maniera e che nasconde in realtà una prospettiva legata alla superficialità, al consumo; e quella, invece, che guarda al "progresso", inteso questo come momento di crescita della pubblica opinione in cui l'intelligenza ha un suo peso, una sua importanza.
Il contrasto avverso una volontà antropologicamente modificativa delle persone profeticamente evocata da Pasolini, verso quell'assioma economico e politico secondo il quale ormai si tende sempre pi alla produzione di rapporti sociali, e cioè di "umanità", ci pone una domanda ineludibile: se cioè abbiamo ancora la forza e la voglia di trasportare la forze delle origini di M.D. in una dimensione quanto mai concreta, quanto mai vitale con cittadini.
Forse non sarebbe male se tutti noi ricordassimo come monito e come stimolo un pensiero dello stesso Pasolini: "Contro tutto questo voi non dovete fare altro (io credo) che continuare semplicemente essere voi stessi: il che significa a essere completamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso, a scandalizzare".

08 05 2005
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