La passione politica di un gruppo di donne e uomini

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La querelle sulla bontà del nostro sistema di autogoverno è arrivata ad occupare le prime pagine dei quotidiani, ed è stata così evidenziato un malessere che da tempo serpeggia nei magistrati . Soprattutto i giovani si chiedono perch riconoscersi in una Associazione Nazionale Magistrati unanimista sul piano politico-associativo, se in nome di questa unità non si registra nel nostro organo di autogoverno (composto da colleghi che nei gruppi associativi si riconoscono) corrispondenza tra i principi proclamati ed i comportamenti tenuti?

Al punto tale che appare ben pi importante ottenere un trasferimento tanto atteso piuttosto che lasciarsi appassionare dalle grandi questioni di difesa della giurisdizione.

A fronte di questo malessere, e dopo una stagione di grande resistenza nella politica associativa, due grandi insidie stringono la magistratura.

La prima è tutta interna ed è esplosa da ultimo con la nota lettera aperta inviata da Antonio Patrone, segretario di magistratura indipendente a Claudio Castelli, in cui si parla del deterioramento delle correnti da laboratori di idee a centri impropri di potere, si accusa magistratura democratica di essere prigioniera della comunicazione delle nefandezze addebitabili ad alcuni gruppi a meri fini elettorali, si ritengono inutili e pericolose le reprimende contro i c.d. blocchi di voti precostituiti nel CSM.

Viene individuata come possibile inversione di rotta una risoluzione comune dell'A.N.M.
che, formalmente e simbolicamente dichiari l'illegittimità di qualsiasi tipo di "vincolo di mandato" in capo ai consiglieri del CSM., ed inviti formalmente i futuri eletti ad astenersi da ogni scelta e atteggiamento che possa anche solo apparire ispirato non all'interesse generale dell'ordine giudiziario ma ad interessi particolari correntizi.

Dirò tra poco il mio pensiero su tale rimedio, ma già ora evidenzio l'incongruenza di per se della proposta, ancor di pi perch accompagnata dalla forte richiesta di modifica dell'attuale sistema elettorale, propugnando il ritorno a quello proporzionale.
La seconda insidia non è nuova, ma anche in questo Congresso è stata riproposta dall'avv. Michelina Grillo, è consiste nel riaffermare la politicizzazione dei magistrati ed in particolare di magistratura democratica.
E' quella accusa di politicizzazione che rispunta anche quando sembra essere stata allontanata, come già nel 1964 ricordava Marco Ramat distinguendo tra la grande politica della Costituzione, in cui la magistratura deve impegnarsi, e la politica del partito, contingente, da cui la magistratura deve estraniarsi.

Non è importante in questa sede replicare a chi, da sempre agita il fantasma del giudice comunista per aggredire e screditare l'operato dei singoli magistrati o della stessa magistratura, richiamandola a ragioni di stato o al comune sentimento popolare, ma è importante ricordare che quando si invita l'ANM a proclamare l'assenza di vincoli di mandato tra gli eletti al CSM ed i gruppi culturali di riferimento, si corre il pericolo di alimentare, in buona fede, chi ritiene che il vero male della magistratura è la politicizzazione dei magistrati
.
Due insidie pericolose che si intrecciano.

A chi teorizza che attraverso alcune indagini e sentenze si aiuta deliberatamente una certa classe politica e propugna un forte ridimensionamento del pluralismo democratico della magistratura stessa è sicuramente gradita l'immagine del consigliere del CSM attanagliato nella mera logica di gestione del potere!

I magistrati sono essere umani hanno la loro storia personale, le loro idee i loro valori, ma è solo un luogo comune che nella magistratura pluralismo significa lottizzazione e clientelismo.

Queste certo in alcune occasioni si riscontrano, non devono essere nascoste, ma anzi vanno apertamente contrastate. Ma non si combattono cercando soluzioni che esaltano il ruolo del singolo svincolato da un progetto, avulso dai valori che lo inseriscono in un gruppo pi ampio, soluzione in contrasto con lo stesso concetto di autogoverno che non è proprietà di qualcuno ma appartiene a molti.

Tutto ciò porta solo alla leadership che ingenera conflitti, e che alimenta o i propri interessi o un consenso ed una progettualità con vita limitata all'esperienza personale, porta al rischio del delirio dell'onnipotenza e del populismo.

Questa esaltazione della concezione individualistica di concepire il mandato e la stessa funzione giudiziaria, rievoca un modello di magistrato che mi preoccupa; un magistrato"solo", lontano ed avulso dalla ricchezza che possiede chi è inserito in una riflessione collettiva, un magistrato di molti anni fa, quando l'imparzialità era il non avere idee piuttosto che possedere la capacità e la libertà di saper cogliere i valori senza pregiudizi e senza indebiti condizionamenti esterni.

Esplicitare la politicità del progetto che si condivide e che porta l'eletto ad essere uno dei tanti che quel progetto vogliono realizzare, è il vero rimedio verso le derive corporative; il rapporto continuo tra impegno culturale ed imparzialità nell'esercizio delle funzioni così come nella amministrazione della giurisdizione, la trasparenza e la conoscibilità delle scelte, la fiducia nella intelligenza della politica nell'autogoverno, differenzia nettamente la "politica delle idee" dalla "politica come mera gestione del potere".

Denunciare tutto ciò e riuscire nel contempo a trasmettere da subito ai magistrati segnali di effettivo cambiamento, sarà la vera scelta di campo che magistratura democratica dovrà fare nel prossimo futuro, rivendicando da un lato l'appartenenza al gruppo come condivisione della politica delle idee e dei progetti e denunciando dall'altro le scelte occulte, non dichiarate, rispetto alle quali nessuna assenza di vincolo di mandato garantisce dal disprezzo di ogni regola, da nomine di soggetti del tutti inidonei solo perch amici o appartenenti al proprio gruppo.

Oggi pi di ieri è necessario rivendicare la nostra identità e l' appartenenza a Magistratura di democratica, senza il timore che questo comporti perdita di consensi.

Solo attraverso questa rivendicazione sarà possibile essere autori consapevoli dei molteplici obiettivi da perseguire nel pianeta giustizia:

- costruire progetti che creano consenso diffuso in tema di autogoverno;

- coniugare la cultura della garanzia con la risposta penale alla illegalità e la ragionevole durata del processo;

- garantire trattamenti rieducativi a tutti i reclusi e combattere le belle strutture ed i super carceri- modelli che ormai sono solo un contenitore di disagio anche psichico che produce suicidi;

- garantire i diritti dei soggetti pi deboli presenti in un numero sempre pi ampio in una società di forti conflitti sociali;

- combattere chi ancora oggi mal tollera l'eguaglianza ed il rispetto delle regole per un corretto funzionamento del mercato;

- difendere strenuamente i valori costituzionali.

Tutto questo appartiene al patrimonio di ieri ed ai compiti futuri di magistratura di democratica.

Tutto questo appartiene a quello che Pino Borrè definiva il compito di guardianaggio duro ed intransigente dei valori fondamentali e di denuncia aperta ed aspra di ciò che li pone in pericolo fino alla resistenza, se la gravità del caso lo richiede.

Tutto questo appartiene a quel patrimonio di idee che faceva esprimere a Carlo Verardi, indimenticabile amico, all'ultimo congresso in cui era accanto a noi, l'orgoglio di stare dentro magistratura democratica.

Ma tutto questo ha un senso se il progetto di magistratura democratica contagia tutta la magistratura.

La vita politica associativa degli ultimi anni, anche grazie all'unità, ha consentito di fronteggiare il progetto di riforma ordinamentale, non attraverso una chiusura corporativa ma da un lato attraverso l'affermazione che una riforma ordinamentale è indispensabile e dall'altro offrendo alla classe politica del nostro paese il progetto della magistratura in tema di valutazione della professionalità, dove sono racchiusi e unanimemente accettati principi che solo alcuni anni fa sarebbero stati inimmaginabili.

Ad esempio l'ampliamento delle fonti di conoscenza consentirà valutazioni di professionalità maggiormente oggettive e fondate su una competenza professionale specifica, ancorando e valorizzando i percorsi di studio, le produzioni scientifiche, le attitudini dimostrate sempre in relazione alla attività giurisdizionale in senso proprio.

Ma il traguardo pi importante si è raggiunto consentendo alla magistratura di uscire dalla cittadella assediata e grazie ad un forte rilancio culturale, l'opposizione al progetto di riforma prima ancora che della magistratura è divenuto patrimonio comune della intera cultura giuridica e di parte della società civile, ed ha portato alla non promulgazione della legge.

Questo risultato sicuramente costituisce una riduzione di distanza tra le elaborazioni culturale e politiche ed i concreti modi di essere della magistratura e della giurisdizione, ed in ciò l'apporto di MD attraverso la cultura che scardina l'autoreferenzialità è stata fattore vincente.

In altri settori ciò non si è realizzato, ma nulla impedisce di continuare ad operare attraverso la predisposizione di un chiaro e ben preciso progetto politico che porti ad una effettiva trasformazione, che dobbiamo essere in grado di realizzare prima di essere costretti a subirla dall'esterno anche a causa della nostra incapacità di trovare sistemi in grado di valutare meriti, capacità e responsabilità dei magistrati, impedendo che nella coscienza di molti, anche magistrati, si annidi il sospetto che tutto risponda alle "logiche di parte" e che gli incarichi siano il risultato di meccanismi di cooptazione scollegati rispetto al concreto funzionamento della giurisdizione ed alle capacità reali del singolo magistrato.

Ho voluto ricordare le parole ed i pensieri di alcuni all'interno di un gruppo pi numeroso di soggetti che con il loro operare hanno reso possibile il progetto di magistratura democratica.

Oggi Marco Ramat, Pino Borrè, Carlo Verardi non ci sono pi, ma rimane il patrimonio di idee e di valori che hanno contribuito a realizzare, che continua ad orientare le nostre scelte, che legittima questo congresso e lo alimenta di nuova linfa, che ci spinge a proseguire verso quella vigilanza e quell'agire democratico che sono state alla base della nascita di magistratura democratica e che consentono di riempire di contenuto l'indipendenza della magistratura nel futuro del paese.

Concludo ritornando ai giovani con cui ho iniziato questa breve riflessione.
Se un giovane collega mi chiedesse di racchiudere in una frase la mia scelta di appartenenza risponderei:

Magistratura Democratica, la passione politica di un gruppo di donne e uomini per un forte condiviso progetto politico, una battaglia da vincere la difesa della Costituzione ed un autogoverno effettivo e credibile.

08 05 2005
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