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Intervento al Congresso dell'Anm 24-26 febbraio 2006

E' obbligatorio, in un congresso dell'ANM, verificare lo stato di salute dell'associazionismo giudiziario. La quantità non ha mai posto problemi, perch l'ANM ha continuato sempre a raccogliere quasi tutti i magistrati italiani. Fino a qualche anno fa, però, ogni congresso dell'associazione era l'occasione per interrogarsi sulla crisi dell'associazionismo e sul deficit di partecipazione della maggior parte dei magistrati, che per indifferenza o disaffezione sembrava lasciare scelte di linea e dibattito culturale a pochi professionisti della politica. Basta sfogliare vecchi numeri delle nostre riviste per trovare titoli eloquenti (La crisi del modello associativo, Il difficile momento dell'associazionismo giudiziario, Lo stato dell'associazione). Di crisi ormai non si parla pi perch gli ultimi anni hanno registrato una netta inversione di tendenza con la partecipazione attiva, forte e visibile dell'intera magistratura alla politica associativa, anche dei famosi giudici silenziosi abituati a parlare soltanto attraverso le loro sentenze. Come presidente di una giunta sezionale dell'ANM nei quattro anni pi difficili per la magistratura italiana, sono stata testimone di una realtà che ha smentito in pieno la leggenda di un'agitazione di categoria contro la riforma dell'ordinamento voluta dai soli vertici dell'associazione, presentati ad arte all'opinione pubblica come un manipolo di giudici politicizzati. Abbiamo dimostrato invece di non essere mai stati tanto uniti, in un periodo in cui l'unità ha costituito la nostra forza e ci ha consentito di reggere una mobilitazione lunghissima in difesa dell'indipendenza, il nostro unico privilegio, evitando sempre la tentazione di degradarla a fattore di deriva corporativa. Al contrario, la straordinaria unità di tutti i magistrati ha offerto un'opportunità di riflessione, chiarimento interno e azione concreta: tanto che proprio in questi ultimi anni abbiamo studiato ed elaborato proposte alternative praticabili sui criteri di valutazione della nostra professionalità e di scelta dei dirigenti come sulle soluzioni pi utili a recuperare efficienza, approfondendo l'analisi sulle cause reali dei disservizi e sulle varie tappe dell'azione legislativa in materia di giustizia, tutte funzionali a rendere la giurisdizione forte con i deboli e debole con forti, con buona pace del principio d'uguaglianza: sapendo che occorre indebolire la magistratura per ridimensionare i diritti, dei quali è custode e garante secondo la Costituzione. In questo sforzo d'approfondimento e interrogandoci anche su noi stessi, si è individuato il nucleo di valori comuni da affermare e difendere in modo intransigente. Ma si è andata affermando anche la necessità, come dovere del magistrato, di partecipare in prima persona a un autogoverno diffuso e responsabile che parta dalla gestione e dalla resa degli uffici, mentre si è ridotta ed è stata sempre pi emarginata l'area interna di magistrati pigri e demotivati, burocrati, magari perfino disposti a qualsiasi tipo di convivenza pacifica in cambio d'aumenti di stipendio, garanzia di tranquillità e recupero di prestigio sociale.
Inoltre, attraverso un confronto partito dal riconoscimento dell'esistenza di diverse sensibilità politiche e culturali, si è rivitalizzata l'ANM come luogo d'ascolto e di sintesi fra opzioni ideali diverse, percorsi critici ed elaborazioni collettive differenti, per trarre il meglio dalle diverse impostazioni culturali e spingere tutti a superare le divisioni di partenza sui temi fondamentali: indipendenza, autonomia e legalità, certamente, ma anche modello di giudice e di giurisdizione, coscienza del ruolo esercitato, pratica d'imparzialità e coraggio d'indipendenza di giudizio, rapporto con gli utenti della giustizia e con l'intera società.
Nella mia esperienza in sede locale, ho avuto l'impressione che anche nei pi giovani, diffidenti verso i gruppi che compongono l'associazione perch entrati in magistratura già condizionati dalle parole d'ordine contro la sua pretesa politicizzazione, e anche in chi ormai li vedeva com'espressione esclusiva d'apparato e di logiche di schieramento e non pi come portatori d'ideali e progetti, sia cresciuta la consapevolezza che l'unità su un nucleo fondamentale di valori non sia la condizione di base del percorso collettivo, ma il frutto di un confronto serrato, continuo e spesso faticoso fra chi, in tutta onestà e partendo da posizioni differenti, costruisce una piattaforma comune, patrimonio di tutti. Insomma, è stato colto il lato buono della forma dell'ANM come contenitore del pluralismo, capace nei momenti pi difficili di dare il meglio di s e di presentarsi alla società civile recuperando e utilizzando con intelligenza e con passione l'elaborazione culturale sviluppata negli anni dalle correnti associative: e in questo senso rilegittimandole come libere associazioni degne di formare la struttura portante della casa comune. Questa nuova o rinnovata consapevolezza che il lavoro nei gruppi si traduce in un confronto pi produttivo, rendendo pi trasparenti e pi forti le posizioni finali dell'associazione della quale facciamo parte, non può essere perduta perch è il presupposto indispensabile per contrastare la crisi dell'associazionismo che si riaffaccerebbe se e quando un domani, non pi costretti sulle barricate per difendere indipendenza, legalità e dignità della nostra funzione (come tutti ci auguriamo), non fossimo capaci di sostenerla e alimentarla. La comune e prolungata mobilitazione in difesa dell'indipendenza, con la partecipazione massiccia dei magistrati alle assemblee in tutte le sedi, l'adesione corale e convinta a iniziative come le sospensioni contemporanee delle udienze in tutti i tribunali e gli scioperi, gli interventi di tanti colleghi a dibattiti organizzati in ogni occasione all'interno e all'esterno dei palazzi di giustizia, hanno stimolato e liberato risorse ed energie insospettate rivelando entusiasmo, competenze e disponibilità di cui l'ANM non può pi fare a meno, imponendo il nuovo dovere di superare limiti e insufficienze del modello tradizionale del far politica.
Un fattore importante della disaffezione alla politica associativa è sempre stato il disagio provato da tanti magistrati nel costatare che, a livello centrale, si modula da sempre su un tipo d'impegno che impone ritmi difficilmente conciliabili con quello lavorativo e con gli obblighi familiari, soprattutto per chi vive e opera in sedi periferiche e per questo solo fatto banalissimo è tagliato fuori dai luoghi delle decisioni importanti, in cui si elabora e si attua la linea politica dell'associazione e dei gruppi. E' la realtà rivelata dalla nuova voglia di partecipare, però, ad obbligare l'ANM a un approccio nuovo a questo problema antico, sicuramente risolvibile attraverso la programmazione pi razionale delle attività da svolgere a livello centrale, la scelta di lavorare nelle sedi locali a progetti mirati d'interesse generale, a riservare l'incontro diretto a poche occasioni speciali trasferendo la normalità in una rete di contatti pi facili e frequenti, possibili oggi con i mezzi informatici, che consenta uno scambio d'idee pi costante, offrendo a ciascuno la possibilità di dare il suo contributo non necessariamente da specialista dedito a tempo pieno all'attività politica. Sarebbe questo il modo di stimolare alla partecipazione attiva (con la conseguente possibilità di farsi conoscere e apprezzare) anche la metà femminile della magistratura, che continua ad essere gravemente sottorappresentata nel CDC e nel CSM delegando in modo massiccio agli uomini le scelte fondamentali d'indirizzo politico e la gestione dell'autogoverno centrale, pur avendo dimostrato di volere e sapere operare benissimo nelle giunte sezionali dell'ANM e nei consigli giudiziari; ma pi in generale a favorire l'impegno di tutti quelli che non praticano la politica associativa perch la vedono come impegno totalizzante, monopolio dei professionisti. Abbiamo bisogno dell'apporto attivo di tutti, per mantenere vitale l'associazione in una prospettiva lungimirante, che affianchi l'esperienza dei leader sperimentati e assicuri il ricambio generazionale e di genere attraverso una crescita collettiva nutrita non soltanto dalla circolazione d'idee ma anche dall'assunzione di responsabilità.
Ma per giustificare il modello originalissimo della nostra associazione, che attraverso la divisione in correnti funziona da moltiplicatore di attività e stimoli fecondi, occorre soprattutto non cadere nelle logiche deteriori e clientelari delle piccole corporazioni.
Infatti, fra i fattori di diffidenza e disaffezione alla politica attiva, il principale resta quel disagio interno all'associazionismo giudiziario non derivante dalle differenti posizioni culturali e ideali, ma dalle profonde contraddizioni che troppe volte si registrano fra affermazioni di principio e comportamenti concreti. L'impegno personale nella politica associativa con sacrificio di tempo ed energie, per favorire la realizzazione di programmi soltanto proclamati a parole, può allora essere visto, a ragione, come finalizzato alla ricerca di un consenso elettorale effimero e vuoto di contenuti o, nella migliore delle ipotesi, come l'inseguimento vano e scoraggiante di un'illusione.
Un impegno, in entrambi i casi, dal quale tenersi lontani.


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