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Consiglio nazionale del 30 settembre 2006

Consiglio nazionale del 30 settembre 2006 Introduzione del Segretario 1. Una doverosa premessa Vorrei preliminarmente chiarire che alle elezioni si partecipa per vincere e per far eleggere i propri candidati: abbiamo partecipato e abbiamo perso molti voti. E’ una sconfitta perché in democrazia si chiede consenso e, quando non lo si trova, il problema è di chi l’ha cercato, non di chi non lo ha dato. Il nostro risultato è particolarmente grave e doloroso perché, nel privarci di un Consigliere, esclude dal CSM Marisa Acagnino che aveva svolto un’ottima campagna elettorale sul territorio in quel Sud che costituisce certamente l’area di maggior sofferenza della giustizia e che oggi è privo di un nostra rappresentante. Comprendo ma non condivido le ragioni di chi ha giustificato il risultato pensando che Md non avrebbe potuto crescere all’infinito e avrebbe prima o poi avuto un risultato negativo. Certamente in politica -come in economia- non esiste uno sviluppo senza fine e prima o poi si incontra una fase di recessione. Oggi però non siamo di fronte a un calo di voti, in qualche modo prevedibile visto il mutato clima politico e associativo e con la certezza che gli altri gruppi mai avrebbero commesso gli stessi errori di quattro anni fa. Perdere centinaia di consensi in un colpo solo non è un campanello di allarme ma, appunto, una sconfitta, cui occorre rispondere bene e rapidamente, senza però ragionare come se fossimo alla canna del gas, perché abbiamo tutte le risorse e le possibilità di riprenderci, rilanciando la nostra iniziativa. Nello stendere queste note ho tenuto conto del dibattito sulle liste e degli interventi all’Esecutivo del 15 luglio e alla riunione coi Consiglieri del 7 settembre. Ringrazio tutti per l’apporto che hanno voluto dare. 2. Il risultato complessivo delle elezioni Il sistema elettorale e lo spoglio delle schede, senza distinzione di collegi territoriali, non consentono analisi dettagliate del voto ma solo interpretazioni generali sulle tendenze che emergono; è possibile però fare qualche ulteriore congettura anche sulla base di testimonianze e sensazioni ricavate dalla campagna elettorale e dal successivo dibattito. Anzitutto dobbiamo registrare un dato complessivo negativo e preoccupante. Sono diminuiti i votanti e molte sono state le schede bianche e nulle. I voti validi sono passati da 7242 a 6677, quindi assai meno che nel 2002 (oltre 500 voti ) pur essendo aumentato il numero assoluto degli aventi diritto. Il fatto che si sia votato a luglio non dovrebbe avere influito più di tanto, perché da tempo ormai votiamo poco prima delle vacanze estive. Si tratta perciò di colleghe e colleghi che hanno volontariamente disertato le urne. Dopo quattro anni di dura lotta contro la riforma Castelli sembrano quindi emergere tendenze generali di disillusione e disimpegno e l’immagine stessa dell’autogoverno sembra uscire indebolita. Si tratta di una tendenza che deve preoccupare tutti. All’interno di questo dato, di per sé allarmante, Unicost tiene sui dati del 2002, MI si rafforza nel numero dei consiglieri ma non raccoglie un numero di voti significativamente superiore a quello del Cdc del 2003, il Movimento va bene ma non benissimo, Articolo 3 riesce a ottenere solo 270 voti, non molti tenuto conto dell’assenza di candidati nella categoria giudici del distretto di Napoli, ma abbastanza per pesare negativamente sul nostro risultato. Md cala vistosamente in tutte le categorie, cassazione, PM e giudici di merito. Non possiamo escludere che buona parte di coloro che non ci hanno dato il loro voto sia da cercare tra le astensioni e la molte schede bianche. Non sembri allora un paradosso il notare che in numeri assoluti mentre noi perdiamo nessun gruppo pare vincere nettamente. Una tendenza che sembra emergere è quella del voto disgiunto. Diversi risultati tra le varie categorie dei candidati indicati dai diversi Gruppi associativi sembra avvalorare questa sensazione; si è premiato il singolo, la sua immagine, la sua ritenuta capacità di meglio rappresentare non tanto il gruppo associativo organizzato quanto una determinata area, geografica o professionale. Da questo punto di vista alcuni primi atteggiamenti in Consiglio da parte di Unicost e MI fanno pensare alla avvenuta elezione di molti consiglieri regionali o di micro-categoria, un dato su cui riflettere. Sembra quindi che questa legge elettorale, ben sterilizzata nel 2002 dall’alleanza, abbia questa volta raggiunto il suo scopo originario che era quello di depotenziare un associazionismo giudiziario fatto di gruppi organizzati dando spazio a rappresentanze per aree geografiche e per interessi individuali e di micro-gruppi. L’imprevista bocciatura di Fucci nel collegio dei PM è stata forse il frutto di un dissenso interno a UpC, che puntava decisamente a eleggere un secondo candidato e si ritrova invece col candidato inatteso al posto di quello alla vigilia ritenuto più forte. Ma forse il successo imprevisto di Viola è da interpretare come un’indicazione politica, volta a ridimensionare un dirigente associativo che molto si era esposto, e in senso chiaramente unitario, nelle Giunte Bruti e in quella Riviezzo. In tal caso si tratterebbe di un segnale al nuovo CSM da parte di chi aveva condiviso la linea consiliare di UpC nella scorsa consiliatura e non vede di buon occhio un atteggiamento diverso da parte di chi aveva invece con lealtà condiviso, con Md e il Movimento, tanta strada in Anm. La sconfitta personale di Fucci priva inoltre il distretto di Napoli di un suo eletto, il che costituisce un dato del tutto inedito. La campagna elettorale di tutti i Gruppi sembra essersi caratterizzata per un forte, a volte ostentato, minimalismo. MI pare aver molto cavalcato la questione economica (che col CSM non c’entra nulla), UpC ha propugnato una semplificazione del sistema tabellare al limite della sua abolizione, in genere sono prevalsi toni difensivi mentre poco o nulla si è detto delle disfunzioni della giustizia che dipendono (anche) da un sistema di autogoverno che non funziona o funziona male dalla periferia al centro e viceversa. Autodifesa, ricerca di protezione da parte del singolo consigliere e del gruppo, nessuno senso della giustizia intesa come servizio (non per i magistrati ma) per i cittadini: estremizzo un po’, ma credo che il segno complessivo sia stato questo. La tendenza complessiva, dopo anni di battaglie strenue e difficili che non sarebbero state neppure ipotizzabili senza la salda presenza di Md al CSM, nell’Anm e nelle Giunte locali, sembra sia stata quella per una rappresentazione di esigenze locali o di gruppo professionale o generazionale. Ha poi certamente contato (specie sul numero baso di voti validi) il fatto che la riforma Castelli sia andata via via attuandosi coi decreti delegati, mentre la prospettiva di una sua abrogazione si mostrava sempre più chimerica dopo il voto alle elezioni politiche di aprile. Di fronte ai rischi imprevedibili della riforma dell'OG un atteggiamento di ripiegamento e delusione, una sorta di riduzione individuale del danno, sembra aver prevalso sulla nostra (pur incompleta e certamente poco chiara) proposta che, con tutti i suoi limiti, comunque chiamava alla responsabilità, alla partecipazione, alla disponibilità al cambiamento. 3. Le ragioni della nostra sconfitta Trovo del tutto normale che fra le cause del nostro risultato molti abbiano indicato la questione candidature, in particolare la scelta del “4 + 1”, e che altri abbiano osservato come il fattore di genere avrebbe impropriamente connotato la nostra proposta politica tentando di mascherarne lo scarso appeal, con risultati addirittura controproducenti. Non intendo sottrarmi alla discussione sul punto: è chiaro che si sono commessi errori di valutazione e di proposta, altrimenti si sarebbe, se non vinto, almeno limitato il danno. Ma la questione della scarsa presenza di colleghe negli organismi associativi e istituzionali, la loro modestissima presenza alla direzione di uffici che non siano minorili o comunque di nicchia, la loro stessa scarsa partecipazione alla vita associativa, nostra e della Anm, non ce la siamo inventata tra il maggio 2005 e il luglio 2006. Si tratta di un tema sul quale Md ha molto discusso, trovando infine una soluzione interna, con le modifiche statutarie di Palermo, e una esterna, con la nostra azione concreta per le pari opportunità in Anm e al CSM. Non credo allora che sia tanto semplice liquidare così la questione, dicendo semplicemente che è stato un errore. Sempre sulle candidature si sono usati altri argomenti, in astratto perfettamente plausibili, quali quello delle grandi sedi e quello della relativa poca notorietà delle candidate: ma certo non di Livio, che però ha avuto molti meno voti del previsto. Ipotizziamo allora per un attimo di aver fatto scelte diverse; avremmo forse salvato il quinto seggio (risultato tutt’altro che disprezzabile, intendiamoci bene) ma da un lato avremmo mascherato un’altra volta i problemi emersi dal 2002 (e da prima) nel nostro interno e nel rapporto con Movimento; dall’altro avremmo dato l’idea di un gruppo tutto sulla difensiva, tutto arroccato sull’esistente e sul già noto. Siamo davvero certi che questa soluzione sarebbe stata del tutto soddisfacente ? Lascio la questione alla vostra valutazione. Non mi trincero dietro all’argomento, formalmente valido ma politicamente assai debole, della decisione presa dal CN. Mi limito a dire che si è trattata di una scelta molto da emmedi, sulla quale abbiamo puntato con qualche enfasi di troppo ma dietro alla quale stava e sta un problema concreto e reale. Un errore nel formulare la proposta di metodo, e poi quella di merito, sulle candidature è stato certamente commesso: quello di non capire che, al di là delle diverse opinioni, stava emergendo una richiesta in parte inedita espressa con istanze di tipo locale, e non abbiamo visto in tempo che questa odiosa legge elettorale aveva fatto scattare anche in Md il riflesso della richiesta di rappresentanza per interessi territoriali, che peraltro continuo a credere che non debba essere in alcun modo incoraggiata, ma semmai contrastata. Nel 2002 ottenemmo un risultato eccezionale, favorito da alcune circostanze particolari, alcune irripetibili quali l’incredibile incapacità di MI e UpC di interpretare la nuova legge elettorale. Inoltre le elezioni si svolsero in un clima di forte contrapposizione con il Governo, mentre un nostro autorevole esponente era saldamente alla guida dell’Anm. La nostra forte visibilità, in associazione e non solo, venne premiata anche alle elezioni. Oggi, con le condizioni politiche profondamente mutate, quelle ragioni si sono in gran parte consumate e hanno ripreso forza quelle correnti che meglio rappresentano interessi particolari e più difensivi. Quattro anni fa è iniziata una consiliatura che ha visto inusitati attacchi all’indipendenza della magistratura e allo stesso autogoverno; quello della nostra rappresentanza è stato un lavoro difficile, a volte poco visibile, che si è si dovuto scontrare quotidianamente con problemi vecchi e nuovi, dalle solite maggioranze a una componente laica di maggioranza pregiudizialmente aggressiva, sempre pronta al ricatto della mancanza del numero legale e pregiudizialmente contraria, se non apertamente ostile, a qualunque nostra proposta. Ciononostante la nostra componente ha tenuto sul piano della difesa dell’indipendenza e su molti temi e questioni di autogoverno. In Consiglio ci siamo assunti spesso il peso di una responsabilità, quella di far funzionare l’istituzione in condizioni di guerra dichiarata e il nostro margine di manovra non è stato mai molto. Nel 2002 un'alleanza ardita e tempestiva è stata vissuta dall'elettorato come una novità politica e come una promessa di cambiamento ed è questo che ci ha portato a vincere le elezioni con quasi la metà dei consensi. Ma le ragioni della successiva insoddisfazione, prima serpeggiante, poi sempre più palese, iniziarono a maturare all'indomani di quel voto perché non siamo stati capaci di comprenderne il significato e di partire da lì per trasformare l'alleanza elettorale in una alleanza politica. Abbiamo in qualche modo delegato la rappresentanza di quelle istanze e l’interpretazione di quel risultato alle dinamiche consiliari considerando però, sin dall’inizio, gli eletti come cinque di Md più tre del Movimento senza dare alcun seguito, in termini di analisi e discussione fra i magistrati, a quella felicissima intuizione. In altre parole, non siamo stati capaci di corrispondere alla richiesta di cambiamento, non siamo stati capaci di mantenere quella promessa. Ed una delle ragioni della nostra sconfitta è in questa nostra omissione politica complessiva. Abbiamo constatato durante la campagna elettorale -e anche prima- che nel nostro elettorato quella appena chiusa è stata considerata una consiliatura deludente. Sarebbe profondamente sbagliato però addossare la colpa di ciò ai nostri cinque eletti. Sin dall’inizio sono emersi rapporti non facili col Movimento, in Consiglio e non solo e non dimentichiamo che la stessa sofferenza ha attraversato il Movimento, come noi sempre in bilico tra alleanza e identità. Ma è tutta Md che da troppo tempo non ragiona sull’autogoverno e non propone un suo modello complessivo, coerente e condiviso, limitandosi a decidere di volta in volta su singole questioni. Alcune vicende –specie in relazione a nomine di dirigenti- vissute con sofferenza hanno segnato momenti emblematici non di un rapporto dialettico tra gruppo consiliare e corrente, ma piuttosto di una scarsa chiarezza sul modello di autogoverno che proponiamo e su quello che riusciamo a praticare. Abbiamo fallito in un obiettivo sul quale avevamo molto puntato nella campagna elettorale del 2002 creando molte, forse troppe aspettative: quello per un CSM trasparente ed efficiente. Qualcuno ha scritto che capisce come si possa pensare (o far intendere) che gli altri hanno voti perchè promettono di più o sono più disposti a compromessi mentre noi saremmo l'archetipo della serietà, della coerenza e della purezza, e che occorre prendere coscienza del fatto che di serietà, coerenza e purezza -oggi come ieri- ce ne sono poche, che nessuno ne detiene  il monopolio e che sentirsi tali per posizione è solo un atto di presunzione. Credo che dobbiamo rispondere che non ne siamo affatto sicuri. Non ci basta dire i nostri sono persone per bene, estranee a politiche clientelari ed a scelte fondate solo su logiche di appartenenza; dovremo (ri)parlare di contenuti, chiarendoci prima di tutto noi le idee sulle scelte da fare in materia di valutazione di professionalità, progressione in carriera, incarichi direttivi e semidirettivi, decentramento dell'autogoverno, partecipazione degli avvocati ai consigli giudiziari ecc., ed elaborare una linea politica chiara. Su questi punti Md deve ripartire con una riflessione collettiva, non ristretta ai nostri consiglieri e ai dirigenti ma aperta a tutti i magistrati perché ci sono certamente colleghi che ci avrebbero votato ma che non lo hanno fatto perchè la nostra linea ultimamente non è stata ben definita su questioni specifiche dell'autogoverno. L’unico seminario su questi temi negli ultimi anni è stato quello di Firenze sui dirigenti (nel lontano aprile del 2004), che vide una buona partecipazione e una interessante discussione ma nessuna sintesi utilizzabile nel lavoro consiliare e dei CG. Un tema più volte tornato negli interventi è quello della nostra presenza negli uffici; a esso si intreccia una osservazione, secondo la quale siamo (o appariamo) troppo elitari, intenti ad occuparci di questioni generali, importanti ma astratte. Mi sembra –se interpreto bene- che l’impegno culturale e politico di Md (il referendum per la Costituzione, la scelta per un’Europa federale, il progetto per il processo civile, l’avvio di discussione sul diritto penale) non vengano messi seriamente in discussione da nessuno. Ciò che si critica è la mancanza di una particolare attenzione alle dinamiche tutte interne alla magistratura, il non esserci occupati anche del quotidiano dei magistrati e dei loro problemi professionali, logistici, ordinamentali. In particolare acutamente si è chiesto: in quante sedi abbiamo fatto lavoro politico continuo su questi temi ? in quante sedi MD ed i suoi rappresentanti nei C.G. lavorano in modo raccordato ? quanti dei nostri aderenti che potrebbero farlo hanno provato ad affrontarli come dirigenti facendo domanda per certi direttivi ? dobbiamo continuare a occuparci dei grandi temi, dobbiamo occuparci però anche dei magistrati, e di fare il lavoro sporco negli uffici, quello che non ti dà la patina del grande intellettuale, ma che crea non solo consenso ma partecipazione. Credo che questo, al di là delle contingenti scelte elettorali, sia un punto cruciale e ineludibile, sul quale dobbiamo fare chiarezza al nostro interno. Intanto stabilendo chi e come deve fare questo lavoro. Stare negli uffici vuol dire fare attività al loro interno, in coordinamento con il CG e, quando è necessario, con il CSM. Questa attività non è surrogabile da parte di (nessuna) dirigenza nazionale, che certo può e deve favorirla coordinandosi con le Sezioni e coi nostri eletti al Consiglio ma non può seguire situazioni locali o parlare coi colleghi nei corridoi. Invece su alcune vicende, anche recenti, abbiamo misurato drammaticamente la nostra incapacità ad assumere una qualunque iniziativa condivisa e incisiva su temi quali quelli ricordati. Molte sezioni sono da tempo senza Segretario, con colleghi che hanno rassegnato le loro dimissioni e non vengono sostituti. Altre vivono alla giornata ed è persino difficile organizzare la distribuzione di documenti e di pubblicazioni. Siamo poi del tutto assenti da molte realtà professionali. Nel mio lungo giro per l’Italia ho potuto verificare come in moltissime sedi siamo pressoché inesistenti nel civile, ormai anche nelle sezioni lavoro di primo grado, spesso anche nelle Corti di appello. Si tratta di una situazione che ci taglia fuori del tutto dai problemi e dalla vita professionale di migliaia di magistrati, che non raggiungiamo né conosciamo. Tutto ciò deve essere corretto con una attenzione capillare che solo le Sezioni possono garantire; si tratta di un lavoro di lungo periodo che non possiamo però permetterci di trascurare. Dai dati dei nostri iscritti risulta che siamo in molti (oltre 800) ma anche che siamo molto invecchiati, con una prevalenza preoccupante di FDS e Cassazione su appello e tribunale, per non parlare della quasi totale assenza di uditori. Se continua così, per effetto dei pensionamenti fra qualche anno semplicemente non esisteremo più. Occorre prendere atto che non si tratta (solo) di chiedere uno sforzo di tipo volontaristico, né di promuovere campagne di tesseramento che oggi avrebbero forse poche prospettive, quanto piuttosto di rendere visibile una nostra attività quotidiana che non sia la mera proiezione di quella che svolgiamo, in sede nazionale come in quelle distrettuali, per la Anm. Anche molte Sezioni dovrebbero perciò interrogarsi con franchezza sull’attività svolta, ad esempio domandandosi se alcune volte non si sia ceduto, magari inconsapevolmente, a equilibri interni o nella Giunta distrettuale della Anm; se l’azione dei nostri nei CG si sia sempre connotata per la dovuta attenzione ai casi critici o non abbia accondisceso a logiche di quieto vivere locale. Mi sia concessa ancora un’osservazione su un punto che solo da ultimo è emerso nel dibattito. Md e l’Anm. Il Congresso di febbraio a Roma, senza il lavoro preparatorio di Md, semplicemente non ci sarebbe stato, nel senso che non avrebbe prodotto nulla. Così come in molti distretti senza i presidenti e i componenti di Md le Giunte sezionali non esisterebbero. Una volta approvata la legge Castelli e, soprattutto, entrati in vigore i decreti delegati, forse abbiamo dato l’impressione di essere rimasti a difendere un bidone di benzina vuoto, mentre altri iniziavano a riposizionarsi e a lanciare ai magistrati un messaggio di disponibilità al compromesso politico, con ciò rassicurandoli. Certo è che da anni Md per l’Anm si è spesso –letteralmente- svenata, mentre altri hanno lucrato risultati utilizzando posizioni utilitaristiche, anche se travestite bene e sotto una posizione necessariamente unitaria. Non voglio riproporre antistoriche e sciocche questioni sullo stare o sul non stare attivamente in Anm; se ci disimpegniamo noi l’Anm semplicemente va in crisi. La questione è un’altra; cosa dobbiamo sacrificare e sino a che punto possiamo farlo al bene comune e quanto invece dobbiamo fare in prima persona, senza troppe riserve e diplomazie ? Nel futuro prossimo dovremo forse anche registrare meglio questa nostra posizione in associazione. 4. L’Alleanza, dalla delusione alla rifondazione su basi rinnovate Uno dei temi più ricorrenti nel dibattito post-elettorale è stato quello della Alleanza, della sua eclissi e della mancata risposta alle promesse fatte nel 2002. Mi permetto di ricordare che nei due CN di settembre e dicembre 2005 la prospettiva dell’Alleanza venne ampiamente discussa e prevalsero voci dubbiose, a volte contrarie. Nonostante quel dibattito (inevitabilmente) interno, occorre prendere decisamente atto che, con tutti gli errori (di tutti) e le difficoltà, la prospettiva dell'alleanza con i Movimenti e con Articolo 3 rimane il quadro di riferimento necessario per il futuro e per l'immediato nell’impegno nel CSM. Aggiungo: non solo nel CSM, ma come prospettiva generale per un serio discorso sull’autogoverno. Ho già fornito sopra qualche valutazione che qui rapidamente riassumo aggiungendo qualche ulteriore elemento:

Md ha pagato il prezzo più alto, ma molte voci autorevoli del Movimento hanno colto questi elementi di una crisi più profonda, che riguarda anche loro. Siamo però davvero sicuri che l’Alleanza funzioni sempre e comunque, anche senza una più generale riflessione da mettere, realmente, in comune ? Alle elezioni di Roma per l’Anm, ad esempio, non mi pare che il risultato sia stato esaltante, così come a Napoli, dove la Lista 1 marzo ha conseguito nel 2005 un risultato buono, ma inferiore a quello del 2001. E’ vero che fra i colleghi matura sempre più la volontà di lavorare politicamente insieme ai colleghi del Movimento e di Articolo 3 in modo strategico e non solo elettorale e che sempre più si fa strada a livello locale la necessità di operare confrontandosi con un'area di riferimento, più che secondo logiche spiccatamente di gruppo. Però questa unità dal basso avrebbe dovuto essere rafforzata (e in molte sedi costruita) dal 2002, e non poteva essere trasposta meccanicamente alle elezioni del 2006 senza un preventivo lavoro capillare. Per quattro lunghi anni non lo abbiamo fatto, né noi né i nostri alleati. Una nuova intesa, veramente condivisa e con contenuti innovativi, dovrà a mio avviso essere il primo obbiettivo politico, da subito, per Md, nell’autogoverno. Da questo CN deve uscire una prima proposta, da rendere pubblica in tempi rapidi, diretta ai colleghi che si riconoscono nel Movimento e in Articolo 3, ma soprattutto a quelli che non hanno una appartenenza precisa ma si riferiscono ad un’area anti-corporativa, per un lavoro da fare in comune, durante tutta la consiliatura, per la definizione di un programma per l’autogoverno e un progetto per far uscire la giustizia dalla secche in cui oggi si è venuta a trovare. Dobbiamo farlo ora perché fra quattro anni, quando si tratterà di scegliere (con quale legge elettorale oggi non sappiamo) i nostri candidati, saremmo ancora una volta in ritardo. Perché il nuovo Consiglio, appena insediato, dovrà affrontare le enormi difficoltà di una controriforma che, in tutto o in parte, entrerà in vigore, e i magistrati si attendono risposte nel segno della difesa dell’indipendenza e di novità di metodo e contenuti. Infine, perché presto saremo chiamati al rinnovo dei CG e dovremo presentarci uniti, con candidature forti e un programma di alto profilo e possibilmente comune in tutti i distretti. Nel 2002 al successo elettorale non è seguito un impegno diretto per superare gli inevitabili ostacoli e spesso abbiamo dato l’impressione di navigare a vista: oggi dobbiamo invertire quella tendenza perché le colleghe e i colleghi ci chiedono di essere coinvolti in un progetto comune e non si accontentano più dei rapporti tra i Gruppi consiliari, né delle relazioni tra i dirigenti delle nostre correnti in sede associativa ma chiedono di elaborare insieme un progetto comune, ampiamente condiviso. Per queste ragioni dobbiamo avviare da subito un programma di iniziative e incontri, in sede nazionale e locale, per discutere dei temi più delicati oggi sul tappeto in materia di autogoverno e di efficacia della giustizia; ne propongo qualcuno e attendo le Vostre indicazioni:

Questi incontri dovrebbero coinvolgere il maggior numero possibile di colleghi, anche non iscritti, mantenere una forma aperta al contributo di tutti, massimamente dei componenti dei CG. Non rapporti diplomatici tra dirigenti dei Gruppi, dunque, né discorsi avviati e conclusi nelle stanze di Palazzo dei Marescialli, ma magistrati al lavoro per la difesa della loro indipendenza in concreto e per il servizio giustizia; alcuni appassionati interventi in tal senso non possono rimanere senza una risposta concreta e rapida. 5. Convocare il Congresso per rilanciare Md Dobbiamo convocare il Congresso nazionale in anticipo sulla scadenza statutaria (maggio 2007). Md ha necessità di avere in tempi rapidi, anche in vista del rinnovo del CDC della Anm e dei CG, un segretario, un presidente e un esecutivo nella pienezza dei loro poteri. Oggi ci troviamo senza presidente e con quattro componenti dell’Esecutivo dimissionari e una loro sostituzione da parte del CN senza un voto congressuale non avrebbe molto senso. Sulle date possibili sono emerse due differenti opinioni, entrambe fondate su argomenti plausibili: secondo alcuni dovremmo darci appuntamento entro il 2006; secondo altri sarebbe invece meglio attendere ancora qualche settimana, andando quindi alla fine di gennaio o inizio febbraio 2007; a favore di una data a dicembre sta l'evidente eccessiva leggerezza del gruppo dirigente e nella necessità di dare immediato seguito ad un dibattito già avviato dopo le elezioni con un rilancio immediato di Md nell'autogoverno e non solo; per gennaio/febbraio milita la necessità di attendere i primi segnali dal nuovo CSM (dando così al nostro gruppo consiliare la possibilità di valutare meglio alcune tendenze in atto) e quella di preparare al meglio l'appuntamento, con riunioni nelle sezioni e nei gruppi di lavoro non schiacciate dalla scelta di una data troppo ravvicinata; senza contare che il segretario a termini di statuto deve far pubblicare la sua relazione almeno 45 giorni prima il che, in caso di scelta per dicembre 2006, metterebbe le sezioni e i Gruppi di lavoro in condizione di discuterne solo pochi giorni, in pratica il solo mese di novembre. Per completezza va detto che con tutta probabilità le elezioni per il CDC della Anm si svolgeranno tra maggio e giugno del 2007, ciò da un lato ci impone, per preparare bene l'appuntamento, di non superare in nessun caso la data limite di fine gennaio/prima settimana di febbraio. Per la sede credo che la migliore sarebbe Roma, che ci consentirebbe di contenere i costi e di avere una ampia partecipazione da tutte le sedi, vista la facilità dei trasporti da e per la capitale. Sono state però da ultimo avanzate altre proposte, che chiedo vengano subito concretizzate perché non abbiamo molto tempo per discuterne; vi chiedo perciò di indicare chiaramente la vostra opzione. Che Congresso dovrà essere ? Un Congresso per discutere di Md e per rilanciare la sua immagine e la sua iniziativa, ma senza dare l’idea di un gruppo chiuso che si consuma in un dibattito sterile su chi siamo e cosa vogliamo ma che al contrario sia capace di dare contenuto a proposta di autoriforma e di cambiamento; quindi meno esterni e un ampio dibattito interno. Molti hanno sollevato il tema della cd democrazia interna e qualcuno ha anche ipotizzato modifiche statutarie volte a superare gli evidenti limiti di un testo scritto in altra epoca e con una ben diversa magistratura. Vi sottopongo a questo punto però la estrema difficoltà di una modifica statutaria da esaminare, discutere e eventualmente approvare in così poco tempo. Occorre oggi anche interrogarsi sul fatto che l’Esecutivo eletto dopo Palermo si è rapidamente dissolto a causa della assunzione di impegni ministeriali da parte del presidente e di due componenti e della elezione al CSM di Cesqui e Maccora; e ancora che le designazioni da parte delle Sezioni dei candidati per il Consiglio hanno riguardato un numero davvero alto di componenti l’Esecutivo (ben cinque su nove), segno questo, a mio avviso preoccupante, del contrarsi del numero dei militanti tra i quali scegliere consiglieri, dirigenti associativi e componenti della direzione di Md. 6. Quale Md dovrà uscire dal Congresso ? Dovrà forse Md abbandonare la prospettiva dell’autoriforma della magistratura e del suo autogoverno ? Se accettassimo questa prospettiva tradiremmo il nostro oggetto sociale. Come è stato scritto, dobbiamo continuare a riproporre la necessità di un progetto capace di coniugare diritti, qualità delle giustizia e responsabilità dell’organizzazione; richiamare l’urgenza di tutela dei più deboli e indifesi; interrogandoci con franchezza sul modo col quale abbiamo cercato di rendere concrete idee e progetti e se siamo stati sempre coerenti rispetto alle enunciazioni generali ed astratte. In altre parole, dobbiamo accettare la sfida del cambiamento del modo e dei contenuti dell’autogoverno, portando la nostra proposta in tutte le sedi, Anm, CSM, CG. Un Gruppo che sappia coniugare le affermazioni di principio e programmatiche sull’autogoverno e sulla gestione degli uffici con le prassi in concreto tenute al CSM, nei CG e coi dirigenti. Tante volte abbiamo dovuto constatare come i magistrati, in primis i nostri iscritti, disertino spesso appuntamenti culturali e di approfondimento, sempre sotto la spinta totalizzante della battaglia contro la riforma dell’OG, del sostegno da dare alla Anm, della politica della magistratura per la magistratura, quasi che il prodotto finale della giustizia (la decisione, col suo contenuto destinato ad incidere sui diritti dei cittadini) avesse perso ogni interesse e non meritasse più di essere discusso. Questo è un atteggiamento corporativo: mettere la categoria professionale al centro del mondo, rinunciare alla critica del diritto dal di dentro, compattare anche fannulloni, cretini e disonesti (che esistono, eccome) in nome della difesa dell’indipendenza della magistratura, senza contenuti e senza valori, diventa una politica fine a se stessa, si svuota. Qualcuno ricorda l’intervento di Flores d’Arcais a Ripetta nel 2004 a una nostra iniziativa sull’OG ? Ci chiese il perché del mancato coinvolgimento di aree più vaste di cittadini nella battaglia contro la riforma Castelli e rispose che ciò accadeva probabilmente per una generale insoddisfazione per il servizio che rendiamo, sia in termini qualitativi che di tempi. E disse che le colpe stavano anche al nostro interno. Ci domandò allora se non fossimo diventati una categoria autoreferenziale, la cui difesa appariva una battaglia per mantenere privilegi di casta e non una battaglia per i diritti di tutti. Quelle domande restano attuali. A Palermo abbiamo cercato, in modo certo imperfetto e incompleto, di invertire una rotta che stava portando Md a essere una delle componenti della Anm o poco più. Era una linea che cercava il recupero di contenuti politici e culturali forti, di un autogoverno non come accordo fra gruppi associativi e microcorporazioni interne, secondo quelle logiche di difesa della categoria (di tutta la categoria) che erano certo giustificate temporaneamente dalla emergenza Ordinamento. Volevano essere linee di valorizzazione delle professionalità, di coinvolgimento dei magistrati a partire dagli uffici, per passare dai CG e finire al CSM. In questo senso ho sempre inteso la formula del recupero di un autogoverno non di pura delega ai consiglieri ma veramente dal basso. Era una linea sbagliata ? E’ stato mal illustrato il nostro impegno di contrasto, anche con puntuali osservazioni di merito ampiamente elaborate e diffuse, della legge delega e dei decreti delegati ? Se guardiamo ai risultati numerici delle elezioni la risposta è: certamente sì. Non abbiamo saputo tradurre quel nostro lavoro in un immediato argomento della campagna elettorale. Ma se si da ragione ai soli risultati elettorali, che pure sono il sale della democrazia e che non voglio certo svalutare, si rischia di confondere il mezzo coi fini. Senza contare che una volta entrata in vigore la riforma Castelli il quadro era cambiato radicalmente e si sarebbe comunque dovuto passare da una politica di difesa a tutti i costi della categoria, tipo linea del Piave, alla capacità di giocare le carte della giurisdizione quale valore costituzionale ineliminabile che non appartiene alla sola magistratura ordinaria, e sul terreno dei valori e degli interessi in gioco. In altre parole, cercando di far valere l’indipendenza non come attributo astratto della categoria, acquisito una volta per tutte da ciascuno per concorso, ma come un fine da perseguire attraverso la capacità di inserire la AGO, le sue decisioni e la sua residua, e non piccola, possibilità di auto-organizzazione e autogoverno sul terreno di scelte, magari impopolari, ma importanti. Da lì è venuta una nostra forte attenzione verso gli Osservatori come luogo di una giustizia ad efficienza possibile e col coinvolgimento di altre categorie di operatori. Altrimenti, continuando a guardare il nostro ombelico, si rischia di perdere la battaglia sul terreno dei diritti e della loro affermazione attraverso la giustizia. Dopo Palermo la prima preoccupazione è stata quella di far recuperare politicità e progettualità a Md. Da lì la battaglia (vinta) per la Costituzione e una maggiore attenzione ai gruppi di lavoro, che abbiamo cercato nei limiti dell’umanamente possibile di seguire con attenzione. Non credo che si sia trattato di obbiettivi sbagliati, anche se certamente avremmo dovuto coniugare quell’impegno con lo specifico della categoria. Occorrerà ora riprendere una forte iniziativa verso i giovani magistrati, che non si metta però sul piano del fare concorrenza a chi fa promesse individuali, che sempre ci sono stati e sempre ci saranno. I giovani colleghi appaiono disorientati e convengo del tutto sul fatto che ce ne siamo occupati poco da anni. Quando però leggo che anche colleghi con dieci e più anni di servizio hanno bisogno di protezione penso a un errore di prospettiva, perché la protezione dobbiamo cercarla partendo dalla organizzazione dei nostri uffici, provando a elaborare un qualche criterio di priorità che non sia solo numerico, tanto per far statistica. Dalla direzione nazionale, chiunque ne sarà investito, potrà venire sostegno e appoggio a ogni iniziativa innovatrice ma non è possibile alcun intervento sussidiario e sostitutivo. Dobbiamo tornare ad essere, anche fra i magistrati, punto di riferimento professionale e associativo, antiburocratico e anticorporativo. Pensare di risalire la china cercando consensi con logiche che non ci appartengono sarebbe un errore imperdonabile e farebbe venir meno lo stesso stare assieme del nostro Gruppo. Roma, 30 settembre 2006 Il Segretario di Md


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