QG 2/2009
Il XVII congresso di Magistratura democratica: ancora «quale giustizia?»
Mentre questo fascicolo va in stampa - i nostri tempi non sono quelli dei quotidiani... - si chiude il XVII congresso di Magistratura democratica (nella cui vicenda, pur nella reciproca autonomia, ci collochiamo).
La relazione cha ha aperto il congresso è pubblicata nelle pagine che seguono e alcuni passaggi congressuali troveranno spazio nei prossimi fascicoli. Ma qualche spunto di riflessione è fin da ora opportuno.
Il tema del congresso («Domande di giustizia e qualità della giurisdizione ») non era rituale ed evocava la domanda che, ormai da oltre 40 anni, ha costituito il proprium, l'elemento distintivo di Magistratura democratica e che ha dato il titolo alla sua prima gloriosa rivista (che ha preceduto, dal 1971 al 1979, questa testata): «quale giustizia?». Domanda inusuale per una associazione professionale, che ne sovverte la ragione sociale, ponendo al primo posto i contenuti e la qualità del servizio reso (e tutelando lo status dei propri aderenti solo in quanto funzionale a garantire tale qualità). Impostazione eretica, dunque, anche rispetto a esperienze parallele di sindacalismo alto, che ha fatto irrompere sulla scena degli apparati giudiziari «da un lato, il rifiuto del conformismo, come gerarchia, come logica di carriera, come giurisprudenza imposta dall'alto, in una parola come passività culturale; dall'altro, il sentirsi dalla parte dei soggetti sottoprotetti, e sentirsi "da questa parte" come giuristi, con le risorse e gli strumenti propri dei giuristi» [G. Borrè, Le scelte di Magistratura democratica, in N. Rossi (a cura di), Giudici e democrazia. La magistratura progressista nel mutamento istituzionale, FrancoAngeli, Milano, 1994, p. 41]. Ebbene, questa impostazione è oggi discussa e c'è chi si chiede se la crisi in atto, l'egemonia di una destra talora apertamente reazionaria e la mancanza di una diffusa cultura dei diritti e della uguaglianza non impongano a quelli che un tempo sono stati definiti gli iconoclasti [così S. Pappalardo, Gli iconoclasti (Magistratura democratica nel quadro della Associazione nazionale magistrati), FrancoAngeli, Milano, 1987] nuove priorità e nuove sfide, finalizzate a un ricompattamento della corporazione.
La questione è stata posta con chiarezza nella relazione introduttiva che ha ribadito come, anche oggi, «i pericoli di deflagrazione e le insufficienze che toccano l'ordine giudiziario non vengono solo dall'esterno, ma si annidano anche al suo interno», citando ad esempio recenti vicende giudiziarie: «lo scontro tra le Procure di Salerno e Catanzaro (esempio clamoroso di uso incrociato dello strumento giudiziario come affermazione di un potere indifferente al rispetto delle regole e della continenza) e l'esito dei dibattimenti di primo grado nei processi per le violenze di polizia nei confronti di manifestanti e di arrestati avvenute nel luglio 2001 a Genova in occasione della riunione del G8 (esempio altrettanto clamoroso di oggettiva incapacità della giurisdizione di dare una risposta appagante a fatti che hanno turbato le coscienze di tutti i democratici)».
La mozione finale del congresso - approvata alla unanimità -ha fornito, sul punto, una risposta univoca: «il compito dei magistrati che costituiscono Magistratura democratica (...) è quello di continuare a tutelare le libertà e i diritti civili, i diritti dei più deboli, al fine di garantire l'uguaglianza di tutti davanti alla legge. Si deve reagire alla profonda trasformazione del sentire sociale del Paese, e al senso di inevitabilità della perdita dei diritti che a volte sembra paralizzare ogni resistenza, ogni opposizione: Magistratura democratica deve essere uno dei motori di questa reazione, riproponendo il proprio ruolo e la propria idea di giurisdizione, che con l'efficienza del servizio vuole coniugare il contenuto di una giurisprudenza che affermi garanzie anche quando esistano maggioranze che richiedono la sanzione esemplare e diritti e tutele contro l'illusione, rivelatasi tragicamente fallace, che possa essere il libero mercato a trovare gli equilibri e a garantire lo sviluppo, oppure contro lo Stato che voglia prepotentemente sostituirsi alle scelte dell'individuo, rivendicando a sé il primato etico sulla libertà della persona».
È, nella attuale fase di confusione, un segnale di ontinuità importante.
C'è una prospettiva chiara per Magistratura democratica e - aggiungiamo - per questa Rivista.