Risoluzione sulla c.d. Legge Cirielli.

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Parere_Cirielli

Risoluzione approvata in data 23
febbraio 2005 a maggioranza dal plenum sulla c.d. "Cirielli".

 

La proposta di legge n. 2055/A approvata dalla Camera dei
deputati il 16 dicembre 2004 ad oggetto «modifiche al codice penale e alla
legge 26 luglio 1975 n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di
giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi», contiene
modifiche alle vigenti disposizioni di rito, ma anche una radicale revisione del
sistema di calcolo della prescrizione dei reati che è destinata ad incidere
profondamente sul sistema penale nel suo complesso e che avrà considerevoli ed
immediate ricadute sui procedimenti in corso. Il numero elevato dei procedimenti
che sarebbero interessati dalla modifica e le prevedibili modifiche al corso dei
procedimenti stessi comporterebbero, in caso di approvazione della proposta di
legge, ricadute organizzative di grande portata sulla vita degli uffici
giudiziari.

La disciplina prevista dalla proposta di legge sul punto è
la seguente:
"...
Articolo 3-ter
«1. L'articolo 157 del codice penale è sostituito dal
seguente
:
"Articolo 157. (Prescrizione. Tempo necessario a
prescrivere). La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente
al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non
inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di
contravvenzione.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha
riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza
tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per
le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti ad effetto speciale, nel
qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'
aggravante.
Nel caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto
speciale e di circostanze attenuanti si applicano le disposizioni dell'articolo
69.
Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o
alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il
tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da
quella detentiva e da quella pecuniaria si applica il termine di tre anni.
La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile
dall'imputato."
2. All'articolo 158 del codice penale, primo comma, le
parole: "o continuato" e le parole "o la continuazione"sono
soppresse.

3. L'articolo 159 del codice penale è sostituito dal
seguente:

"Articolo 159. (Sospensione del corso della
prescrizione). - Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui
la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia
cautelare èimposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi
di:
a) autorizzazione a procedere;
b) deferimento della questione ad altro giudizio;
c) sospensione del procedimento o del processo penale per
ragioni di
impedimento delle parti e dei difensori e per il tempo
dell'impedimento.
Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del
corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero
presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui
l' autorità competente accoglie la richiesta.
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è
cessata la causa della sospensione.
I termini stabiliti dall'articolo 157 non possono essere
prolungati oltre i termini di cui all'articolo 161, secondo comma, salvo che la
sospensione del procedimento non dipenda da autorità diversa da quella
nazionale.

4. All'articolo 160, terzo comma, del codice penale le
parole
: "ma in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono
essere prolungati oltre la metà" sono sostituite dalle seguenti: "ma
in nessun caso i termini stabiliti nell'articolo 157 possono essere prolungati
oltre i termini di cui all'articolo 161, comma 2".

5. All'art. 161 del codice penale il secondo comma è
sostituito dal seguente:
"Salvo che la sospensione del procedimento non
dipenda da autorità diversa da quella nazionale, in nessun caso la sospensione
e l'interruzione della prescrizione, anche congiuntamente computate, possono
comportare l' aumento di pi di un quarto del tempo necessario a prescrivere,
della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel
caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli
articoli 102, 103, 105, e all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura
penale"».

1. Il nuovo regime dei termini ordinari di prescrizione.
Dalla modifica che si intende introdurre risulta che la
prescrizione è legata alla pena edittale massima stabilita per ciascun reato,
con un limite minimo di sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni.
Mentre per le contravvenzioni il trattamento previsto dalla
proposta di legge risulterà meno favorevole di quello vigente e perciò
applicabile solo ai fatti commessi dopo l'entrata in vigore della legge, senza
comportare alcuna conseguenza sui procedimenti in corso, per i delitti la nuova
disciplina risulterà sempre pi favorevole all'imputato e troverà immediata
applicazione.
Per un delitto punito nel massimo con pena non superiore a
sei anni di reclusione la durata della prescrizione, nell'ipotesi che sussistano
ipotesi interruttive, sarà drasticamente ridotta dagli attuali quindici anni a
soli sette anni e mezzo, mentre nel caso di delitto con pena non inferiore nel
massimo a otto anni la prescrizione non può superare comunque i dieci anni.
Tale modifica assumerà maggiore incidenza solo che si
consideri, come si vedrà, che il termine massimo di prescrizione non conoscerà
pi i periodi di sospensione attualmente applicabili.
L'importanza delle conseguenze che la nuova disciplina
avrebbe sul sistema nel suo complesso può essere meglio apprezzata guardando
alla tipologia delle fattispecie criminose interessate dalla modifica dei
termini prescrizionali.
Tra i reati puniti con pena base non superiore nel massimo a
sei anni di reclusione figurano, tra gli altri, delitti di grande diffusione sul
territorio e di significativo impatto sociale, quali la corruzione per atto
contrario ai doveri di ufficio (art. 319 c.p.), la violenza o minaccia a
pubblico ufficiale (art. 336 c.p.), la resistenza a pubblico ufficiale (art. 337
c.p.), il millantato credito (art. 346 c.p.), e ancora la calunnia (art. 368 c.p.),
la truffa in danno dello Stato o di enti pubblici (art. 640, cpv., c.p.),
numerose ipotesi di falso e la ricettazione nel caso di particolare tenuità
(art. 648, cpv., c.p.). E non solo, perch sono da ricomprendervi anche delitti
che in molti casi presentano legami con fenomeni di criminalità organizzata,
quali la frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), il favoreggiamento
reale (art. 379 c.p.), la truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche
(art. 640-bis c.p.) e l' usura (art. 644 c.p.), nonch l'ipotesi di bancarotta
prevista dal co.3 dell'art.216 Legge Fallimentare e la frode fiscale (art.2 e
ss. D.Lgs. n.74 del 10 marzo 2000). Senza dimenticare, infine, l'esigenza di
valutare delitti contro la sicurezza dello Stato, quali la rivelazione di
segreti di Stato (art. 261 c.p.), l'infedeltà in affari di Stato (art. 264 c.p.),
l'attentato contro i diritti politici del cittadino (art. 294 c.p.) e
l'attentato alla sicurezza dei trasporti (art. 432 c.p), nonch l'attentato per
finalità terroristiche o di eversione (art. 280 c.p.).
In termini generali va osservato che il sistema previsto,
lungi dall' ancorare a parametri predeterminati la discrezionalità del giudice
nella applicazione della norma al caso concreto, si limita ad introdurre
automatismi che impediscono quella necessaria valutazione della gravità del
fatto e della personalità dell'imputato cui fa riferimento la costante
giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Considerazioni del tutto simili devono farsi per la
compressione degli spazi di valutazione del magistrato di sorveglianza derivante
dalla sostanziale equiparazione (articoli da 7 a 9 della proposta di legge di
legge) tra situazioni profondamente diverse nell'ambito della generica
qualificazione di "recidiva", così da eludere qualsiasi riferimento
specifico alla sussistenza dei presupposti per l'applicazione di uno dei
benefici che la legge ha previsto in sede di esecuzione della pena in attuazione
degli artt.3 e 27 della Costituzione, neppure distinguendo tra recidiva
antecedente o successiva l'esecuzione di una pena detentiva o la fruizione di
una misura alternativa alla detenzione.
Se si tiene conto della durata media di un processo di
merito, si può ragionevolmente concludere che quasi tutti i processi per reati
puniti con la pena della reclusione compresa nel massimo tra i cinque e i sei
anni e la grande maggioranza di quelli per reati puniti con la pena della
reclusione massima di otto anni sono destinati a sicura prescrizione.
Un'analisi compiuta presso la Corte di appello di Bologna ha
stimato che per tale fascia di delitti sul totale dei processi iniziati davanti
al giudice la quota destinata a prescriversi dall'attuale livello del 9,60%
passerebbe a circa il 47%, il che, in termini assoluti, equivarrebbe ad una
grandezza dell'ordine di 4.500 processi.
Non solo, ma una ricognizione effettuata recentemente dalla
Corte di cassazione ha permesso di accertare che si situa attorno ai nove anni
il tempo medio di durata dei processi per reati puniti con pena compresa fra
cinque e otto anni che giungono al vaglio della stessa Corte: per la massima
della sentenza definitiva, ma dopo la decisione di appello, e cioè in un
contesto che comporta per il sistema giustizia il massimo spreco di energie.
E' evidente, dunque, che l'applicazione del nuovo regime ai
processi in corso comporterà la vanificazione di gran parte del lavoro svolto
dall'intero sistema giudiziario nel corso di alcuni anni.

2. Il regime della interruzione e della sospensione.
Secondo la disciplina che si intende introdurre, il
prolungamento del termine di prescrizione è consentito solo in caso di
interruzione e di sospensione del suo corso, ma non può comunque superare un
quarto della durata massima.
La equiparazione del regime della sospensione a quello
dell'interruzione costituisce, forse, l'aspetto di "sistema" pi
incisivo e pi grave della prospettata riforma. Come è noto i due istituti
sono radicalmente diversi: l'interruzione si lega ad eventi processuali tipici
che segnano il ricorrere di iniziative dell'autorità giudiziaria per perseguire
il reato; al contrario, la sospensione del corso della prescrizione intende
sottrarre dal computo definitivo quegli eventi che rappresentano una
"pausa" non fisiologica del corso processuale. Inoltre, la sospensione
del processo dipende spesso da un evento sottratto alla disponibilità
dell'autorità giudiziaria (come le questioni di illegittimità della norma
rimesse alla Corte costituzionale o la richiesta di autorizzazione a procedere).
Queste differenze ontologiche costituiscono la ragione del
diverso regime e delle diverse conseguenze giuridiche, per cui non appare
coerente parificare oggi i due istituti ai fini del calcolo del limite massimo
di prescrizione.
A dimostrazione di questa osservazione può essere utile
ricordare che la legge 7 novembre 2002 n. 248 (cd. Legge Cirami), sulla
rimessione del processo, si è preoccupata di evitare un ingiustificabile
allungamento dei processi verso una sicura prescrizione dei reati ed ha previsto
a tal fine la sospensione dei termini di prescrizione per il periodo della fase
incidentale, così assicurando tra l'altro la conformità delle norme ai
principi costituzionali. Non v'è dubbio quindi che rimettere, nei casi di
sospensione del processo, la disponibilità dei tempi processuali all'imputato,
oltre ad incentivare ogni manovra dilatoria, finisce per affidare la maturazione
della prescrizione di reati nella disponibilità di chi deve subire il processo.
Sul punto giova ricordare che il principio di ragionevole
durata del processo impegna tutte le articolazioni dello Stato ad adottare
soluzioni positive in favore della contrazione dei tempi, o quanto meno ad
evitare le scelte che nei fatti comportano il protrarsi del procedimento e del
giudizio.
Viene così chiamato in causa il problema di effettività
della giurisdizione, a proposito del quale la Consulta, con la sentenza n. 353
del 1996 in tema di rimessione, ha avuto modo di osservare come il legislatore,
«pienamente libero, nella costruzione delle scansioni processuali, [.] non può
tuttavia scegliere, fra i possibili percorsi, quello che comporti, sia pure in
casi estremi, la paralisi dell'attività processuale, perch impedendo
sistematicamente tale attività, mediante la riproposizione dell'istanza di
rimessione, si finirebbe col negare la nozione stessa del processo e si
contribuirebbe a recare danni evidenti all'amministrazione della giustizia».
Del tutto corrispondenti sono, infine, le espressioni adoperate dalla Corte
costituzionale con riferimento all'istituto della ricusazione (sentenza n. 10
del 1997).

3. Le ricadute sull'organizzazione. L'applicazione del nuovo
regime ai processi in corso avrà certamente ricadute organizzative gravissime
all'interno di un sistema di giustizia penale che già oggi riesce con assoluta
difficoltà a fronteggiare il numero elevatissimo di procedimenti.
Ogni anno presso gli uffici di procura della Repubblica
vengono iscritti poco meno di 1.500.000 procedimenti per nuove notizie di reato
contro indagati noti e oltre 1.700.000 contro ignoti.
A loro volta, i tribunali vengono investiti annualmente di
circa 370.000 richieste di giudizio, ed i processi pendenti alla fine del 2003
ammontavano in primo grado a oltre 350.000, cui devono aggiungersi circa 130.000
pendenti davanti le corti di appello. N va dimenticato che presso le sezioni
gip/gup dei 165 tribunali transitano ogni anno oltre un milione di procedimenti
in fase incidentale o destinati all'udienza preliminare.
Elevatissimo, infine, è anche il numero dei ricorsi
inoltrati alla Corte di cassazione, tanto che la Corte impiega mediamente
tredici mesi per giungere alla fissazione dell'udienza di decisione.

In questo contesto di sovraccarico degli uffici giudiziari
non è possibile trattare in tempi ragionevoli i processi se non ricorrendo ad
una attenta programmazione del lavoro e cercando di contenere il numero dei casi
di rinvio dei processi fissati in udienza. Ogni rinvio, infatti, comporta per
l'ufficio giudiziario plurime conseguenze negative: dalla sottoutilizzazione del
tempo di udienza all'aggravamento dei ruoli delle udienze successive,
dall'incremento di complessità e rigidità nella formazione dei calendari fino
a pesanti vincoli nella formazione dei futuri collegi e alla introduzione di
nuovi, pesanti adempimenti di cancelleria.
La futura applicazione del nuovo regime della prescrizione ai
processi in corso avrà, come è facile comprendere, effetti devastanti sulla
programmazione del lavoro dell'ufficio o della sezione e per di pi - ma qui il
discorso vale anche per i processi futuri - impedirà al giudice di contro llare
lo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale e di gestire i tempi di lavoro. E
infatti, la nuova disciplina incentiverebbe inevitabilmente il ricorso agli
istituti che comportano la sospensione del processo finalizzata essenzialmente
ad ottenere la maturazione del termine di prescrizione.
Rispetto a queste strategie il giudice non potrebbe operare
alcuna forma di controllo e di intervento e dovrebbe limitarsi ad applicare
istituti che comportano rinvii spesso assai lunghi e per tempi comunque non
programmabili. Un simile sistema avrebbe, tra l'altro, la conseguenza di rendere
rilevante per la maturazione del termine di prescrizione anche l' attivazione
del controllo di costituzionalità delle leggi, che costituisce per la
giurisdizione una delle funzioni pi delicate e di massimo rilievo
istituzionale.
Il disegno di legge si muove dunque nella direzione opposta a
quella di contrastare le strategie dilatorie e rischia di determinare un
ulteriore effetto di ritardo nella definizione dei processi, con grave
violazione del principio della ragionevole durata del processo.

24 02 2005
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