L’Europa dei Diritti: da Nizza alla Convenzione

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  1. Questo seminario costituisce l’occasione, a qualche mese dalla scadenza del mandato conferito dal documento di Leaken e a ridosso del congresso di Md, per riflettere sull’andamento del processo di costituzionalizzazione dell’Unione ed esaminare i lavori della Convenzione. Vogliamo offrire al congresso di Md un contributo di analisi sulla prospettiva europea, che assume ormai un ruolo assolutamente centrale per la tematica dei diritti, come è ben evidenziato dalle tesi che Claudio Castelli propone all’assemblea congressuale.
    Md-Europa è un gruppo di studio costituito dal Consiglio Nazionale del 13 gennaio 2001, in attuazione della mozione approvata al congresso di Venezia, per seguire i lavori della Convenzione, operare in stretto contatto con i giuristi, i centri di studi e ricerca, i sindacati, le organizzazioni umanitarie e non governative, promuovendo iniziative al fine di consentire un’ampia diffusione dei temi in discussione, con l’obiettivo da un lato di concorrere al forum della Convenzione e, dall’altro, di allargare il dibattito ed esprimere posizioni comuni sui temi dell’effettività e della giustiziabilità dei diritti in Europa.
    Come gruppo di giudici, è naturale che il tema dell’effettività e della giustiziabilità dei diritti costituisca l’interesse principale della nostra riflessione, ma ovviamente prestiamo la massima attenzione anche alle soluzioni prospettate alla questione istituzionale: non possiamo rimanere indifferenti a materie che, seppure non intervengono direttamente sulla dimensione del rispetto dei diritti fondamentali, coinvolgono comunque il prioritario diritto politico dei cittadini europei di contare effettivamente nei processi decisionali dell’Unione; ma soprattutto, perch dalla soluzione che sarà data alla questione istituzionale (Presidenza, Commissione, Parlamento, Consiglio) dipenderà il progresso della prospettiva federalista o l’arretramento verso un ristabilito predominio dei governi nazionali “signori dei trattati”.
    Si tratta di aspetti essenziali della “democratizzazione” dell’Unione: il ruolo del Parlamento, la creazione di un vero governo europeo, la riconduzione del secondo e terzo pilastro nell’architettura comunitaria, la protezione/valorizzazione delle autonomie regionali e statali, il ruolo dei parlamenti nazionali, il futuro delle costituzioni nazionali, il rilancio dell’Europa sociale, del dialogo tra le parti sociali e della contrattazione collettiva a livello continentale, etc..
    In questi mesi abbiamo lavorato mantenendo contatti con vari soggetti collettivi, soprattutto con la Fondazione Lelio e Lesli Basso, con il CRS, con i Giuristi democratici.
    Nel panorama italiano, caratterizzato da scarsa attenzione, quando non da indifferenza, ai lavori della Convenzione europea da parte di istituzioni e di partiti politici, va riconosciuto a Elena Paciotti il merito di aver costantemente sollecitato contributi e impegni, attraverso l’Osservatorio, fatto vivere come strumento di informazione e occasione di dibattito e di riflessione civile e democratica.
    Non è certo un caso che si deve alla stessa Elena Paciotti il pi serio contributo di un delegato italiano ai lavori della Convenzione, con la presentazione di un progetto di Costituzione europea, costruito ed elaborato sulla scorta delle risoluzioni via via adottate dal Parlamento europeo.
    Non si può, invece, tacere sulla modestia del contributo che gli altri esponenti italiani hanno dato ai lavori della Convenzione, per non dire dell’assenza di un progetto, di una proposta, di un’idea forte sull’Europa.
    Per parte nostra, accanto alla partecipazione all’Osservatorio e alla collaborazione a tale progetto di Costituzione, abbiamo elaborato e trasmesso al forum della Convenzione un documento sul Procuratore europeo, in cui abbiamo espresso talune idee guida per la costruzione di un’istituzione giudiziaria comunitaria.

  2. In apertura del seminario, prima ancora di delineare i temi della nostra riflessione, vogliamo ribadire la nostra valutazione positiva, espressa già nella mozione approvata a Venezia, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha segnato una tappa fondamentale, anche di discontinuità, una vera svolta nella storia della costruzione dell’Europa dei diritti.
    In primo luogo, la Carta ha mutato l’asse su cui, fino al momento della sua proclamazione, era stata delineata la costruzione europea: alla logica economica si affianca quella dei diritti, all’attenzione esclusiva per le imprese si sostituisce quella per cittadini e per le persone in quanto tali, a prescindere dalla stessa cittadinanza.
    La Carta ha poi rappresentato il vero punto di partenza del processo di costituzionalizzazione dell’Unione, la “visibile apertura d’un processo costituente” . Possiamo dire, dopo aver conosciuto le conclusioni dei gruppi di lavoro della Convenzione, che la Carta si avvia a diventare “il nucleo di una futura, e compiuta, costituzione europea” , secondo l’auspicio formulato da Stefano Rodotà a nome della delegazione italiana alla Prima Convenzione europea che la Carta ha elaborato.
    Pur con tutti i limiti da pi parti evidenziati, la Carta costituisce, per usare le parole di Papi Bronzini “il pi organico, completo e persuasivo elenco di prerogative fondamentali oggi a disposizione in un contesto non nazionale” .
    Avendo ben presente la carenza di vincolatività giuridica diretta della Carta, crediamo che abbia avuto ragione chi ha lavorato come se la Carta fosse un testo giuridico ; abbiamo avuto ragione noi, nel contrastare gli scettici e nel prevedere che l’incorporazione della Carta per via giurisprudenziale apriva grandi spazi di manovra ai giudici ordinari dei 15 paesi, alle varie Corti nazionali e alla stessa Corte europea nel riscrivere il tessuto normativo continentale in modo da realizzarne una coerenza con il rispetto dei diritti fondamentali.
    La Carta è stata assunta come parametro di interpretazione e richiamata non solo dalla C.G.E., ma anche da Corti costituzionali nazionali, tra cui quella italiana.
    Certo rimangono irrisolte le questioni di gerarchia tra le fonti comunitarie, ma occorre ribadire che molto può dipendere dall’interpretazione dei giudici europei.
    La giurisprudenza può costituire una decisiva spinta (nei confronti della stessa attuale Convenzione) per una egemonia effettiva, anche in Europa, del linguaggio dei diritti su quello del mercato.
    Ovviamente il risultato da perseguire rimane quello dell’incorporazione della Carta nel nuovo Trattato, obiettivo che, appena un anno fa, era tutt’altro che scontato e comunque molto problematico, e che oggi costituisce la raccomandazione e l’auspicio rivolti dalle relazioni conclusive licenziate dai gruppi al plenum della Convenzione.

  3. Avviammo il percorso di Md-Europa con la piena consapevolezza (imposta da quanto sta avvenendo in Italia, in Europa e nel mondo) che nulla è irreversibile nella storia e nella politica, ma anche con la ferma convinzione che il processo di costituzionalizzazione ha subito una oggettiva accelerazione con la proclamazione della carta di Nizza e con la conferenza intergovernativa di Laeken, nonostante le timidezze, limiti e le ambiguità del documento finale.
    Da qui la decisione di operare per l’obiettivo immediato di dare un senso e un significato effettivo alla Carta dei diritti, in funzione della preparazione di una vera Costituzione europea: un’azione essenziale affinch l’obiettivo finale (la Costituzione) sia assunto come prioritario da una sempre pi vasta opinione pubblica, che riconosca un insieme di valori come il cemento comune di una nuova sfera politica trans-nazionale.
    Non sono mancate le critiche e le obiezioni in taluni settori (anche giuridici) di sinistra: si è negata la stessa possibilità di elaborare e approvare una Costituzione europea, sottolineando il nesso inscindibile tra Costituzione-Stato-Popolo.
    Noi, insieme a Luigi Ferrajoli, siamo orientati dalla convinzione che le Costituzioni costituiscono stipulazioni laiche su valori fondativi e su regole fondamentali per consentire la convivenza tra diversi, senza necessità di preventive coesioni etniche o di organiche maggioranze espressive di “volontà generali”.
    Non pochi, anche tra i giuristi, stentano ad accettare tutte le implicazioni di un’impostazione fondata su una visione laica del diritto, prodotto artificiale della razionalità e della storia umana. Una di tali implicazioni è quella di disancorare la Costituzione da ogni elemento etnico e da ogni organicismo comunitario.
    E tuttavia, per vincere le obiezioni di chi nega la praticabilità della costituzione europea, occorre assumersi la sfida politica e culturale di rimuovere ciò che viene presentato ancora come la difficoltà principale per darsi una Costituzione, la mancanza di un “popolo europeo”.
    Senza cedere ad alcuna tentazione etnica, i giuristi, come intellettuali prima ancora che come tecnici, devono operare per accrescere e potenziare il rilievo della cultura come fattore di integrazione, a cominciare dalla cultura costituzionale.
    A tal fine anche l’approccio verso la “Carta” può essere importante per far nascere e diffondere un patriottismo costituzionale, per allargare e consolidare quella “sfera pubblica europea” entro cui deve crescere il processo di costituzionalizzazione verso una res publica europea, caratterizzata dalla promozione e tutela dei diritti fondamentali e dalle “tradizioni costituzionali comuni agli stati europei” (eguaglianza, solidarietà, diritti sociali, rifiuto della pena di morte e di trattamenti detentivi disumani, riconoscimento del ruolo dei sindacati e delle associazioni come corpi intermedi, ecc.), elementi costitutivi e base di un modello sociale europeo, alternativo a quello americano, individualista e competitivo che assume come indiscutibili le libere dinamiche di mercato.
    Con la Carta e attorno ad essa è possibile compiere un lavoro, in connessione con la rete attiva dell’associazionismo sindacale e culturale e dei nuovi movimenti democratici, per forgiare un demos europeo liberato da ogni gretta dimensione identitaria, aperto al confronto con gli altri, come soggetto collettivo che mira ad una regolazione consapevole e razionale, sorretta da principi di giustizia e equità sociale della società.
    Sappiamo bene che non è opera facile. N alla costruzione di tale risultato basta la cultura giuridica. Quando scendono in campo fondamentalismi antichi e nuovi, che rilanciano le matrici ideologiche medievali dell’Europa cristiana, baluardo della civiltà contro i saraceni, non possiamo illuderci che basti il diritto e la cultura giuridica. Occorrono forze pi numerose e pi direttamente incidenti sulle culture e sugli orientamenti politici.
    E tuttavia a noi compete la nostra parte.

  4. Il documento di Laeken muove dalla necessità di rifondare una legittimazione dell’Unione dal basso, dall’esigenza di recupero di fiducia dei cittadini. Ciò implica non soltanto la costruzione e lo sviluppo di modalità e spazi nei quali possa essere ripristinata la partecipazione politica democratica (quello che tradizionalmente va sotto il nome di deficit democratico), ma anche la predisposizione di una rete di protezione dei diritti fondamentali, come tali giustiziabili e rivendicabili nei confronti degli organi dell’Unione.
    E’ essenziale la proclamazione dei diritti e la loro costituzionalizzazione, ma affinch essi siano effettivi occorre disegnare e realizzare, a livello europeo, una giurisdizione vera, indipendente e credibile, idonea allo scopo, efficiente.
    Si tratta di un tema in cui devono cimentarsi pi direttamente i giuristi e i magistrati, anche per “esportare” nelle istituzioni europee il meglio delle elaborazioni e costruzioni nazionali e, al tempo stesso, trovare nella dimensione europea un efficace argine alla pericolosa deriva che, sotto la spinta di concezioni populistiche o giacobine, rischia di compromettere nel nostro paese i presupposti stessi di uno stato costituzionale di diritto, fondato su vincoli e limiti indisponibili da parte delle maggioranze politiche e sulla divisione dei poteri.
    Sul piano dei diritti e dell’incorporazione della Carta nella futura Costituzione, c’è da rallegrarsi per il dibattito che si è svolto in nove dei dieci gruppi di lavoro della Convenzione e per le relazioni conclusive, anche se non tutte si presentano di pari livello, per approfondimento e spessore, e le valutazioni positive non possono essere digiunte da riserve e da critiche.
    Rinviando alle relazioni specifiche per un maggiore approfondimento, è opportiuno qui segnalare: la proposta innovativa (formulata dai Gruppi I e IV) che associa per la prima volta i parlamenti nazionali al processo legislativo europeo; l’ampio consenso realizzatosi nel gruppo III sul riconoscimento di personalità giuridica all’Unione, unica e sostitutiva di quelle esistenti e la conseguente proposta di fusione dei trattati in un testo costituzionale unico, costituito da due parti, la prima delle quali di propriamente costituzionale, con soppressione della struttura “a pilastri”; soprattutto la relazione del gruppo II.
    Se nettamente positivo è il giudizio sulle conclusioni raggiunte nel Gruppo II in tema incorporazione della Carta nel trattato costituzionale, va contrastata la proposta di costituzionalizzare la distinzione tra principi e diritti. E’ possibile che la proposta di emendamento all’art. 52 della Carta abbia ragioni tutte politiche di compromesso tra diverse tradizioni ordinamentali (continentali e anglosassoni) e non abbia quelle implicazioni dirompenti che taluno paventa, evocando la vecchia distinzione tra norme precettive e norme programmatiche, che costituì ad un tempo effetto e causa del congelamento costituzionale italiano degli anni ’50.
    Molto dipenderà dalle operazioni interpretative dei giuristi, i quali, come ha scritto Stefano Rodotà, anzich “farsi avanguardie di letture riduttive” devono “impugnare i diritti, e le loro interpretazioni progressive”, operando “in modo da rendere possibile, a un tempo, la valorizzazione massima del testo attuale e la sottolineatura permanente della necessità del suo miglioramento”.
    Sul versante giurisdizione
    (che è poi quello decisivo della effettività della tutela) il dibattito nei lavori della Convenzione è stato carente e, comunque, molto modesto, con forti ambiguità e segnali di ai arretramento rispetto alle posizioni assunte dal Parlamento europeo e della stessa Commissione (v. il tema del Procuratore europeo e il tentativo di prefigurare Eurojust come il nucleo del futuro PM europeo, su cui rimando alle lucide osservazioni Francesco De Leo e di Vito Monetti).
    Su un’altra questione rilevante dovremo soffermare la nostra attenzione. Affinch una Costituzione europea sia presa sul serio è indispensabile una forte e attiva vitalità di una vera Corte costituzionale europea, ciò che implica potenziamento del ruolo della C.G.E. e un disegno coerente e razionale nel prefigurare sia il corretto rapporto tra C.G.E., Corte di Strasburgo (problema che esiste indipendentemente dall’adesione dell’UE alla CEDU), Corti costituzionali nazionali.
    E’ essenziale il ruolo delle Corti, la cui “sensibilità” europea sarà decisiva per sorreggere e sviluppare ogni passo verso la progressiva costituzionalizzazione dell’Unione, fondata sulla Carta dei diritti.
    Probabilmente l’impostazione che la Corte costituzionale italiana si è data da decenni, nei confronti del diritto comunitario da un lato e dei diritti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo dall’altro, non potrà reggere a lungo: forte appare il rischio di marginalizzazione della giurisprudenza costituzionale italiana, proprio per la scelta di autoesclusione che la Corte italiana ha fatta dall’interlocuzione giuridica europea.
  5. Spetta ai giuristi assumersi il compito di stimolare la sensibilità europea delle istituzioni italiane. A tal proposito, non si può tacere una senso di delusione per l’atteggiamento complessivo tenuto dalla cultura costituzionalistica italiana (con talune eccezioni, tanto pi rilevanti e notevoli in confronto alla scarso impegno di tanti), troppo condizionata da diffuse mitologie sulla sovranità e sulle connotazioni identitarie delle Costituzioni.
    Ancor pi deludente è stata (anche qui con talune rilevanti eccezioni) la distrazione dei magistrati e dei giudici, che pure rappresentano, grazie alla scelta operata dalla C.G.E., il terminale attuativo del diritto cumunitario sul territorio.
    Eppure, il testo della Carta, per la sua natura di “grande narrazione” del complesso patrimonio costituzionale comune europeo, avrebbe dovuto stimolare un ruolo attivo dei giuristi e dei giudici nell’appassionante costruzione di un diritto e di un costituzionalismo che supera gli stati nazionali senza violenza, in nome non pi soltanto dell’economia e del benessere materiale, ma anche dei diritti della persona e del consolidamento di un futuro di pace.
    La scarsa attenzione alle prospettive europea da parte delle magistrature interne e il riemergere di posizioni nazionalistiche antieuropee in taluni paesi impongono di moltiplicare gli sforzi per rendere questo orizzonte non solo patrimonio di Md e di Medel, ma anche dell’Anm e delle altre associazioni nazionali di magistrati esistenti nei paesi europei.
    Un’azione specifica e particolare di stimolo e sollecitazione compete all’associazionismo culturale, sociale, professionale, sindacale, oltre che ai nuovi movimenti democratici.
    Occorre realizzare, sul tema Europa-Carta-Convenzione, iniziative culturali diffuse, rivolte alla scuola e all’università, ma anche ai giuristi e ai giudici, con l’obiettivo di far conoscenza e valorizzazione la Carta di Nizza come patrimonio essenziale del modello sociale europeo, attorno a cui costruire istituzioni democraticamente legittimate ed efficienti: occorre operare come agenzia di informazione e di formazione per allargare e consolidare una sensibile, vigile e impegnata opinione pubblica europea.
    Opera essenziale e decisiva per coltivare e fortificare quell’Europa dei diritti, spazio di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, un’Europa come “futuro di pace fondato su valori comuni” , unica realistica speranza di rappresentare e far vivere credibilmente nel panorama internazionale un altro punto di vista e un altro modello sociale, capace di equilibrare e correggere la concezione statunitense di vita culturale, economica e politica, fondata su una intollerante e intollerabile pretesa di egemonia mondiale, che sacrifica i diritti fondamentali di due terzi degli abitanti del pianeta per il benessere economico di una minoranza e che, in violazione del diritto internazionale, rilegittima la guerra come mezzo di dominio e strumento di risoluzione delle controversie internazionali.

09 01 2003
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