Intervento di Linda D'Ancona

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IL FUTURO DI MD

 

La gravità del momento, per Magistratura democratica e per tutta la magistratura, impone una capacità di confrontarsi e di riflettere senza alcuna opzione precostituita, ma con la voglia di ascoltare gli altri e di dialogare per trovare insieme una rinnovata capacità di agire nella società e nel nostro tempo.

 

Parto dalla constatazione – che sta a monte del mio intervento – sul senso esistenziale con cui si affronta, oggi, il lavoro di magistrato: c’è un grande senso di frustrazione, una sofferenza abbastanza chiara ed avvertita un po’ in tutta Italia ed in tutti i settori, una incapacità di credere che il nostro sia un lavoro fruttuoso e che produca risultati concreti, un’insoddisfazione di fondo, che nessuno di noi riesce a cancellare, neanche quando scrive il migliore dei suoi provvedimenti.

 

Perché questa insoddisfazione?

Che cosa ci fa stare così male al nostro tempo?

Perché avvertiamo un senso di inutilità del nostro lavoro?

 

Non abbiamo davanti soltanto una giurisdizione sovraffaticata, una macchina giudiziaria ingolfata dalla eccessiva mole di procedimenti, non abbiamo soltanto di fronte carichi di lavoro sovrumani, soprattutto negli uffici giudiziari meridionali; ci troviamo di fronte ad un senso di frustrazione esistenziale, una incapacità di sentire il lavoro del giudice come produttivo di un qualche risultato; nel settore penale il senso di frustrazione è altissimo perché i livelli di criminalità e la quantità di notizie di delitti anche gravissimi ci arriva in tutti i modi con tutti i canali possibili; ed anche nel settore civile percepiamo di non determinare alcun mutamento sociale, di non riuscire a difendere i valori costituzionalmente rilevanti. Ciò dà un senso di inutilità del lavoro, non ci consente di ritenere che vi sia effettività dei diritti e tutela dei deboli, ci fa percepire una società profondamente sperequata che noi non possiamo assolutamente cambiare attraverso il nostro affannoso lavoro quotidiano. Mentre negli anni 70 la giurisdizione si nutriva anche dei risultati che riusciva a conseguire – attraverso orientamenti giurisprudenziali che hanno fatto la storia del nostro Paese – adesso noi sentiamo di non realizzare alcun risultato concreto, e di non essere tenuti in considerazione, se non per una riforma dell’Ordinamento Giudiziario che, nella sua attuale proposta, contiene ancora molte ombre.

 

Il senso di frustrazione determina, insieme ad altri fattori quali il sovraccarico di lavoro e la paurosa carenza di risorse e di personale, una disaffezione che si è già in parte diffusa e che determina una sempre maggiore tendenza alla burocratizzazione del lavoro giudiziario. Se oggi, tanto per fare un esempio banale, abbiamo Pubblici Ministeri disposti a rischiare la vita per indagini contro la mafia e la camorra, chi li sostituirà fra venti o trenta anni?? chi farà il lavoro di giudice con quella passione che ci porta oggi, a non guardare né l’orologio né lo statino paga quando lavoriamo? La giurisdizione si è nutrita da sempre della profonda compenetrazione al ruolo da parte dei magistrati, del grado di passione e di interesse, tanto che in uno studio di qualche anno fa i magistrati sono stati considerati i lavoratori con il più alto grado di attaccamento al lavoro.

 

Ed allora che cosa fare?

 

Occorre motivare, ridare motivazione alla magistratura. Motivare è una attività che presuppone la capacità di comprendere i bisogni delle persone, farli propri e riuscire poi ad incidere nelle diverse situazioni in vista del conseguimento di risultati condivisi dal gruppo e che possono modificare anche profondamente lo stato di cose.

 

Motivare implica un lavoro enorme, nel ricercare le esigenze ed i bisogni del gruppo ma poi anche – e soprattutto – nel fornire ragioni convincenti per lavorare ad obbiettivi condivisi. Per fare tutto ciò occorre un gruppo dirigente che sappia capire i reali bisogni della magistratura in questo momento storico, in quest’epoca; in caso contrario qualsiasi tentativo sarà vano e sarà percepito come scollato dalla realtà, perché non si partirà dai problemi e dalle questioni che agitano la magistratura – che è composta in grande maggioranza da magistrati degli uffici di I grado.

 

Se non faremo questo, non solo Magistratura democratica sarà destinata a scomparire, ma scomparirà il modello di magistrato in cui tutti noi crediamo, per lasciare spazio al burocrate privo di anima. Non possiamo più nutrirci di rituali congressuali, di documenti razionali ed apparentemente adattissimi ai vari casi, non possiamo rifugiarci dietro formule come quella della campagna elettorale per il CSM, non possiamo più sopportare i rituali della politica associativa e della politica di Md se sono privi di anima. Altrimenti tutti se ne accorgeranno, l’intelligenza emotiva è una realtà scientifica, e la mancanza di capacità di condividere ed emozionare continuerà ad allontanare da noi progressivamente tutti i magistrati, giovani e meno giovani.

 

Pertanto nulla è più importante per un gruppo trainante come Md, quanto la capacità di motivare. Dobbiamo tornare a fornire motivazioni in vista del raggiungimento di obbiettivi – l’uguaglianza sostanziale e l’affermazione dei diritti e della pace sociale – condivisi e spiegati con parole semplici e ferme, ponendo al centro dell’attenzione i valori per i quali ancora lavoriamo, senza snobismi senza atteggiamenti che un tempo si definivano radical chic”. La magistratura è un corpo complesso, sempre di più, e non dobbiamo avere atteggiamenti di chiusura elitaria, che secondo me esistono fra noi.

 

C’è un altro aspetto che vorrei trattare.

Come ha scritto Ralph Waldo Emerson quando si pattina sul ghiaccio sottile, la salvezza sta nella velocità”.

 

Ed allora, quando si deve lavorare all’interno di una giurisdizione delegittimata e priva di una convinzione sociale che la sostenga, l’unica salvezza starebbe nella velocità dei processi.

Ma non può e non deve essere così.

 

La relazione tra la giurisdizione e la collettività deve essere di reciproco riconoscimento e fiducia: se avremo una società che crede in noi, noi potremo svolgere quel ruolo di garanti e promotori dei diritti individuali, civili e sociali che ci è affidato dalla Costituzione e che abbiamo sempre rivendicato, naturalmente anche con un’attenzione ai tempi processuali ed alla tempestività delle risposte.

 

é inutile concentrarsi soltanto sulla efficienza del processo, perchè non è questo il modo per riacquistare legittimazione come potere autonomo ed indipendente.

Per ottenere nuovamente la fiducia sociale, occorre rivendicare con forza, nei confronti della politica e le altre istituzioni, il nostro ruolo di riequilibrio sociale, di affermazione dei diritti e di autonomia rispetto a qualsiasi potere. Non una magistratura schiacciata dalle altre forze dello Stato e dai fenomeni di un mercato globale, ma una giurisdizione al centro della società, di cui non si può fare a meno.

 

Proprio in questa sala, quattro anni fa in occasione di un altro Congresso di Md, l’attuale Ministro dell’Interno Giuliano Amato evidenziava che è la concezione lockiana della divisione dei poteri quella all’interno della quale i poteri sono davvero plurali, l’uno non dipende dall’altro e c’è una legge superiore”. Secondo la concezione lockiana il giudice affianca il parlamento e non gli è sottoposto come nella concezione russoviana (dove il giudice è bocca della legge e vale l’interpretazione autentica); ed è tipico della concezione lockiana vedere il garante dei diritti nelle corti di giustizia e non nel parlamento. Sono andata a rispolverare” il discorso di Giuliano Amato perché non ce lo dobbiamo dimenticare mai il principio lockiano di divisione dei poteri, tanto più in questa occasione; la fine del governo Berlusconi e l’avvio di una nuova legislatura deve portare da parte nostra, come risultato del cambiamento, a pretendere la piena attuazione del principio di equiparazione e riconoscimento delle corti di giustizia come potere affiancato e non sottoposto al parlamento ed al governo, e questo principio va continuamente ricordato, anche e soprattutto in occasione della riforma dell’Ordinamento Giudiziario.

 

Non basta affermare che le ostilità tra politica e magistratura sono finite, occorre pretendere dal parlamento e governo la equiparazione della funzione giudiziaria agli altri poteri dello stato e diffondere nella collettività tale principio di equiparazione come valore su cui riposa il nostro Stato di diritto, con convinzione. E Magistratura democratica deve essere presidio di questo valore, chiedendo alla politica, in ogni occasione, di riconoscerlo e farlo proprio.

 

Naturalmente da parte nostra, per riaffermare la piena legittimazione della giurisdizione affiancata agli altri poteri dello Stato, è necessario avere la capacità di guardarci dentro, mettere in atto un’opera di rinnovamento, rompere gli schemi precostituiti, attuare un costante lavoro di critica e di isolamento culturale nei confronti di chi esprime comportamenti parassitari e pretende di mantenere rendite di posizione”, riprendere la critica alla giurisprudenza, soprattutto di I° grado, prendere le distanze da chi rinuncia al proprio ruolo per negare i diritti ed adottare le decisioni meno scomode.

 

Io penso che i gravi ritardi della giustizia siano un problema, come non hanno mancato di sottolineare in molti e come è opinione ormai comune, ma non possiamo pensare che tutto sia legato al numero di sentenze e di provvedimenti che produciamo ogni giorno. La riconquista di un ruolo sociale importante, per la giurisdizione, deve passare innanzitutto attraverso la riaffermazione, nella politica e nella collettività, della sua insopprimibile funzione di garanzia: occorre credere nella funzione giurisdizionale, è necessario che la collettività abbia profonda coscienza del ruolo della giurisdizione tracciato dalla Costituzione; ed anche noi dovremo fare la nostra parte, combattendo – a qualsiasi livello – le inefficienze, il tentativo di mantenere posizioni di privilegio, denunziando in qualsiasi ufficio e situazione tutto ciò che non funziona, soprattutto quando a non farlo funzionare sono proprio i magistrati, con le loro sacche di potere più o meno grandi.

 

Per fare tutto questo, c’è bisogno innanzitutto di fermezza, coerenza di idee, e di un’opera di rinnovamento interna a Magistratura democratica. Occorre uscire dagli stereotipi e capire – senza prese di posizione preconcette – che cosa non va, perché siamo spesso lontani dai colleghi e che cosa possiamo fare, dove intervenire. Lo dico molto chiaramente: quanti anni avevano nel 1964 i fondatori di magistratura democratica? Loro hanno fondato un gruppo che deve sapersi rinnovare in quanto altrimenti, continueremo a lavorare su obbiettivi non più adeguati, con vecchie e vuote parole d’ordine.

 

Concludo con una notazione di speranza.

 

Non possiamo e non dobbiamo pensare che sia finita qui, e che non ci sia altro da dire o da fare. Come ha scritto Bauman, forse non è vero che una volta che è stato detto tutto sulle più importanti questioni della vita umana, rimangono ancora da dire le cose più importanti??” Ed aggiungo: forse non è vero che una volta fatte tutte le cose che pensavamo necessarie, ne rimangono ancora da fare un’infinità per raggiungere i nostri scopiù Ed allora, non dobbiamo perdere tempo, ma iniziare da subito, con un gruppo dirigente rinnovato nelle idee e nelle persone, un percorso verso la rilegittimazione della magistratura e la riaffermazione di una Magistratura democratica fortemente trainante sia all’interno che all’esterno dell’ambito giudiziario.

 

Linda D'Ancona

08 02 2007
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