Editoriale
Questo fascicolo si apre con uno scritto di Sandro Margara
dedicato al carcere inutile e alla sua riforma tentata su
impulso di Mario Gozzini. "La macchina detentiva - scrive Margara - ha
la sua logica reale, che è quella del contenere le persone senza
stabilire relazioni con esse, con le loro esistenze e i loro destini.
La esecuzione della pena detentiva è la consumazione di un tempo
stabilito: al suo termine c'è un tempo irrevocabilmente usato:
per nulla che non sia il suo passare". » qui, in questa logica,
che nascono le ricorrenti violenze nei confronti di detenuti. La sorpresa
che viene da Sassari non sta nei pestaggi (incerti solo nell'entità)
ma, piuttosto, nella tempestiva presa di distanza dei vertici del Dap
e nel rigore dei magistrati, che hanno consentito alla rabbia e alla umiliazione
di trasformarsi - a differenza che in passato - in parola e denuncia.
"Il nesso tra carcere e violenza - come segnala Magistratura democratica
nel documento pubblicato in questo fascicolo a p. 602 - è fisiologico
e lo si spezza solo con meno carcere, in termini sia di quantità
che di qualità. Esattamente l'opposto di quanto sta accadendo nel
nostro paese, dove il 29 febbraio scorso il numero dei detenuti ha toccato
la cifra record di 52.784: uno ogni mille abitanti, compresi vecchi e
bambini. Sassari è un macigno, non un campanello d'allarme.
Inutile prospettare illusioni consolatorie o, peggio, minimizzare: se
continuerà a prevalere la logica della istituzione chiusa, se il
verbo della sicurezza sarà veicolo di pura repressione e
rimozione Sassari diventerà la regola (ancorché,
di nuovo, silenziosa e rimossa)". Non è tempo, trent"anni dopo,
di tornare a riflettere, almeno a livello teorico, su condizioni e modalità
per "liberarsi della necessità del carcere"?
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†Le questioni ordinamentali sono - possono essere
- un'importante cartina di tornasole della qualità della
magistratura e del suo rapporto con la società. Autogoverno rappresentativo
dei magistrati, abolizione della carriera e parificazione delle funzioni,
precostituzione del giudice e controllabilità delle assegnazioni
sono state tappe di un percorso di emancipazione della magistratura che
ha ridefinito il ruolo della giurisdizione. Oggi il cuore della questione
ordinamentale sembra essersi spostato sui temi del reclutamento e della
formazione (in generale e per specifiche funzioni, a cominciare da quelle
dirigenziali). Dopo essersi ripetutamente occupata di quest"ultima - e
delle strutture ad essa necessarie, a partire dalla istituenda "scuola
della magistratura" - Questione giustizia si apre ora, con uno
scritto di G. Salmè e C. Verardi, al tema del reclutamento, rilanciato
da un recente disegno di legge governativo (con previsione di un accesso
parallello riservato ad avvocati) che ha suscitato non poche polemiche.
Il progetto predisposto dal guardasigilli è improvvisato e non
privo di logiche emergenziali (si che anche l'accoglienza dell'avvocatura,
a cominciare dal Consiglio nazionale forense, è stata assai tiepida),
ma l'iniziale atteggiamento di pregiudiziale ostilità della magistratura
associata - opportunamente corretto con il passar del tempo - è
stato miope e inadeguato. Sul punto occorre essere chiari. Eventuali accessi
paralleli non rispondono ad esigenze di maggior legittimazione
ché - per usare le parole di G. Borrè in sede di commento
all'art. 98, 3? comma, Cost. (Commentario Branca, p. 464) - "il
fatto che la magistratura sia estratta per concorso non è difetto
di legittimazione ad un compito segnato da valenze politiche sia pure
peculiari, ma piuttosto la condizione per svolgerlo con le caratteristiche
che la Costituzione richiede". Il punto è altro, almeno in parte:
l'esperienza pregressa è - può essere - fattore di arricchimento
per il magistrato, come lo è, nel corso della "carriera", lo svolgimento
successivo di più funzioni (a cominciare da quelle di giudice e
di pubblico ministero). Su questi principi e su queste prospettive
occorre attivare confronto e ricerca.
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† †Nel fascicolo n. 6/1999 abbiamo pubblicato un ampio
forum dedicato a "Presente e futuro dell'avvocatura", anticipando
l'intenzione di aprire, sul punto, un dibattito continuativo, anche nella
prospettiva di rendere sempre più Questione giustizia una
rivista di e per giuristi e non di soli magistrati. Il progetto
comincia a concretizzarsi: compare in questo fascicolo un contributo di
Roberto Lamacchia (presidente dell'Associazione giuristi democratici del
Piemonte) ed è programmato per il numero successivo uno scritto
di Palma Balsamo (direttore della Rassegna degli avvocati italiani).
» un appuntamento importante, soprattutto nel momento in cui prende
corpo, anche nell'avvocatura, un tessuto associativo più frastagliato
e interessante di quello, apparentemente monolitico, delle grandi organizzazioni.
Il fenomeno va valutato positivamente: non certo per l'indebolimento delle
associazioni di maggior peso numerico, ma perché - nell'avvocatura
come nella magistratura - la logica delle contrapposizioni di categoria
si rivela sempre più datata e perdente (segnale della perdita della
dimensione politica o, più esattamente, di una politicità
a senso unico).
†
maggio 2000
(l.p.)