Editoriale
Il dibattito che
ha accompagnato l'organizzazione a Roma, l'8 luglio, del Gay Pride ha avuto
talora - come prevedibile - toni aspri o addirittura da crociata. Ma a spingersi
oltre la prevedibilità è stato il Presidente del Consiglio, on.
Amato, che, rispondendo ad una interpellanza parlamentare, ha definito "inopportuna"
la manifestazione e si è rammaricato di non poterla vietare perché
"purtroppo dobbiamo adattarci ad una situazione nella quale vi è
una Costituzione che ci impone vincoli e costituisce diritti". Lo stupore,
come ha scritto Magistratura democratica, cede il posto all'indignazione. »
umiliante dover ricordare al premier di un Governo (anche) di sinistra che la
Costituzione non è un impaccio ma la regola fondamentale della convivenza
e che i diritti di riunione e di libera manifestazione del pensiero valgono
per tutti. Ma l'incidente non è casuale: è il frutto di un'opera
di delegittimazione della Carta fondamentale che viene da lontano e che ha avuto
nella Commissione bicamerale per le riforme istituzionale la sua celebrazione.
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» stata depositata
nei giorni scorsi la motivazione della sentenza con cui il Tribunale di Palermo
ha assolto il sen. Andreotti dall'accusa di partecipazione ad associazione mafiosa.
Secondo i giudici di Palermo "tra il sen. Andreotti ed i cugini Salvo (profondamente
inseriti in Cosa Nostra) si svilupparono diretti rapporti personali" e
"l'asserzione dell'imputato di non avere intrattenuto con loro alcun rapporto
è risultata inequivocabilmente contraddetta dalle risultanze probatorie";
è provata l'esistenza di un "rapporto fiduciario" tra il sen.
Andreotti e l'on. Salvo Lima (la cui "stabile collaborazione con Cosa nostra"
e la cui amicizia "con un esponente mafioso di spicco come Tommaso Buscetta"
erano noti ad Andreotti, sia perché Lima non ne faceva mistero, sia per
la specifica segnalazione del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa pervenutagli nell'aprile
1982); è risultato che "l'ex sindaco di Palermo Ciancimino, in un
periodo in cui era stato raggiunto da pesanti accuse in sede politica ed in
cui era ampiamente nota la sua vicinanza con ambienti mafiosi, instaurÚ
rapporti di collaborazione con la corrente andreottiana, sfociati poi in un
formale inserimento in tale gruppo politico, e che i medesimi rapporti ricevettero,
su richiesta dello stesso Ciancimino, l'assenso del sen. Andreotti nel corso
di un incontro appositamente organizzato a questo scopo"; è provato
che il sen. Andreotti mostrÚ "un continuativo interessamento in
favore di Michele Sindona (notoriamente legato alla mafia italoamericana), proprio
in un periodo in cui ricopriva importantissime cariche governative", "realizzando
anche alcuni specifici comportamenti che apparivano concretamente idonei ex
ante ad avvantaggiare il Sindona nel suo disegno di sottrarsi alle conseguenze
delle proprie condotte, ed inequivocabilmente rivolti a questo fine"; è
certo che, nell'agosto 1985, il sen. Andreotti ebbe un "colloquio riservato,
svoltosi all'Hotel Hopps di Mazara del Vallo, con Andrea Manciaracina"
(boss emergente di Cosa nostra e uomo di fiducia di TotÚ Riina). Nessuno
di questi elementi peraltro - sempre secondo i giudici di Palermo - ha, singolarmente
considerato, i requisiti di univocità necessari per dimostrare l'adesione
del sen. Andreotti a Cosa Nostra o suoi comportamenti consapevolmente idonei
a favorire lo sviluppo o gli interessi dell'organizzazione. Si riapre, in diritto,
il dibattito sui criteri di valutazione della prova e, prima ancora, sulla necessità
di una considerazione unitaria dei singoli messaggi probatori o della loro scomposizione
in segmenti distinti. A tale dibattito la Rivista non farà mancare il
proprio contributo...
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Si parla insistentemente
di amnistia e indulto. Lo scriviamo da anni, per lo più isolati nella
magistratura: si tratta di interventi opportuni (rectius, indispensabili) nell'attuale
situazione carceraria e giudiziaria. Ma a due condizioni. Primo: che non si
tratti dello strumento furbesco per ripristinare il doppio registro del "codice
dei galantuomini" e di quello "dei briganti" (in altre parole,
l'indulto - non estensibile alle pene accessorie e/o condizionato - va concesso
a tutti; l'amnistia, strumento tradizionale per fatti minori o per delitti socialmente
superati, non può applicarsi a reati di grande spessore sociale e penale,
come la corruzione e il falso in bilancio). Secondo: gli interventi emergenziali
(e l'amnistia e l'indulto tra questi) servono per attenuare momentaneamente
le tensioni; in prospettiva hanno senso e utilità solo se si accompagnano
a interventi riformatori sui delitti e sulle pene...
giugno 2000
(l.p.)