"Ora tocca alla magistratura"
Subito dopo
l’approvazione da parte del Senato del testo di riforma della
Costituzione, il Presidente del Consiglio e il Ministro della
Giustizia, nel vantare il risultato positivo per la maggioranza di
governo, hanno soggiunto: «ora tocca alla magistratura».
Difficile ritenere che, con questa dichiarazione, essi abbiano inteso
far riferimento solo ad una sequenza temporale tra il progetto di
mutare la Costituzione e quello di modificare lo statuto dei
magistrati, alludere esclusivamente ad un “prima” e ad
un “dopo” nello sviluppo dei lavori parlamentari. Nelle
loro parole c’è molto di più. Vi si coglie
l’indicazione di un legame istituzionale e politico, di un
nesso logico e giuridico tra la riforma della Costituzione e la
radicale modifica dell’ordinamento giudiziario. Certo, le
materie sono differenti, le procedure e gli organi investiti dalle
due riforme sono assai diversi. Ma l’ispirazione, la logica di
fondo, le parole chiave sono profondamente omogenee.
Nell’ambito
dell’organizzazione dello Stato la riforma costituzionale
introduce una forte concentrazione di poteri nell’esecutivo e,
all'interno dell’esecutivo, nella figura del primo ministro.
Depotenzia il ruolo del parlamento esponendolo al forte e continuo
condizionamento del premier. Si dimostra incurante degli
equilibri e dei contrappesi che garantiscono armonia e misura
nell’esercizio dei poteri dei titolari dell’indirizzo
politico. Su questa strada il legislatore costituzionale disegna uno
Stato che si ritrae da una serie di ambiti decisivi della vita
sociale, quali la tutela della salute e l’istruzione
(lasciandoli pressoché integralmente alle competenze regionali
anche a costo di dar vita a disuguaglianze giuridiche ed a
discriminazioni) e, contemporaneamente, riduce al suo interno le
sfere di autonomia, di collegialità, di rappresentatività,
a tutto vantaggio del potere e della forza del premier.
A sua volta, nel
rimodellare l’assetto della magistratura, il progetto di
riforma dell’ordinamento giudiziario segue un’analoga
direzione di marcia. Svuota delle sue prerogative l’organo
collegiale di governo autonomo della magistratura; promuove la
rinascita di meccanismi di carriera e di gerarchia personale;
sottopone tutti i magistrati a un regime disciplinare lesivo di
fondamentali diritti di libertà del cittadino magistrato;
rifiuta tanto l’esperienza della formazione sin qui svolta dal
Csm quanto la prospettiva di serie e rigorose verifiche di
professionalità proposta dall'Associazione nazionale
magistrati a favore dei congegni di controllo e di conformazione
costituiti dai “concorsi” e dei test psicoattitudinali.
Come a dire che. attraverso la legge “ordinaria” di
riforma dell’ordinamento giudiziario, ci si propone di
realizzare, nel campo della giustizia, quegli stessi obiettivi di
accentramento, di gerarchizzazione, di sterilizzazione delle
autonomie e dei poteri diffusi che, in altri ambiti istituzionali,
si vogliono ottenere grazie alla riforma della Costituzione.
Il risultato,
davvero paradossale, è quello di un progetto di ordinamento
giudiziario che contrasta in più punti con la Costituzione in
vigore proprio perché è culturalmente omogeneo con la
“nuova” costituzione voluta dalla maggioranza politica.
Quest’ultima, comunque, non manca di aggiungere un ulteriore
tocco al quadro complessivo con una modifica costituzionale solo
apparentemente modesta: l'attribuzione del potere di nomina del
vicepresidente del Csm (oggi eletto dal plenum del Consiglio)
al Capo dello Stato. Si intende così sottrarre al Consiglio
superiore un potere che spetta a “tutti” gli organi
collegiali: quello di scegliere dal proprio seno il vicepresidente ,
cioè il soggetto che nella vita quotidiana dell’istituzione
consiliare ha il compito di organizzare e dirigere l’attività
dell’organo collegiale. Già svuotato dal basso delle sue
prerogative costituzionali in tema di nomine a favore di una miriade
di commissioni di concorso, il Consiglio subirebbe una ulteriore
grave deminutio, divenendo un collegio eterodiretto.
In ragione di
questi intrecci tra modifiche dell’ordinamento giudiziario e
processo di revisione costituzionale la posta in gioco nella partita
in corso sullo “statuto” della magistratura è
dunque altissima e va ben al di là della pur giusta
considerazione che una legge sull'ordinamento giudiziario ha “sempre”
una oggettiva rilevanza costituzionale. Riscrivere in senso
autoritario e illiberale l'ordinamento della magistratura è
infatti parte integrante del progetto di trasformare in senso
autoritario la forma di governo e l’assetto dei poteri nello
Stato repubblicano. C’è da sperare che di questo siano
fino in fondo consapevoli tutti coloro che, nel parlamento e nel
paese, oggi contrastano il disegno di por mano alla Costituzione
repubblicana.