Magistrati o burocrati?
La magistratura italiana lentamente ma con continuità scivola da alcuni anni lungo il piano inclinato di una progressiva burocratizzazione delle sue attività e della mentalità dei suoi componenti.
E’ un fenomeno che tuttora resta spesso sullo sfondo, lontano dai riflettori dell’opinione pubblica, grazie alle punte di professionalità e di efficienza che tuttora tante realtà professionali riescono ad esprimere in civile come in penale imponendosi all’attenzione degli operatori (si pensi a tanta recente giurisprudenza civile in settori quali la bioetica o il diritto societario, o a realtà organizzative quali la Procura di Bolzano), grazie alle attività degli Osservatori, grazie a tante inchieste di grande rilievo pubblico sui pubblici e privati poteri che tuttora le Procure tra difficoltà sempre maggiori riescono ad impiantare (si pensi ad es. a quelle su Bankitalia, sui vari “furbetti” dei tanti “quartierini” nazionali, sul rapimento a Milano di Abu Omar), e che rischia per effetto di restare fuori anche dalle riflessioni dell’associazionismo giudiziario.
E’ un fenomeno che si manifesta in tanti modi, alcuni “tradizionali” altri “nuovi”.
Che si manifesta nel diffondersi delle neghittosità di sempre ma anche nell’atteggiamento, sempre più facile da rinvenire, di chi si “chiude” nel presunto privato della propria scrivania e dei propri fascicoli, a realizzare il ricorrente sogno di tanta parte del mondo politico del magistrato che non parla, non pensa, non discute, non si associa, non partecipa, non lavora con gli altri, non si occupa di altro che del suo lavoro quotidiano in forma individuale e “separata”.
Che si manifesta nell’atteggiamento impiegatizio di rapportarsi al proprio ufficio ed ai suoi problemi con l’approccio di chi tende a scaricare lavoro, di chi si limita a fare il “compitino” minimo inderogabile della propria funzione, quel tanto sufficiente a non cadere nel disciplinarmente rilevante, nel più totale disinteresse per la partecipazione alla vita ed ai problemi del proprio ufficio ; che si ferma all’idea che quello del magistrato sia un lavoro con una obbligazione di mezzi, e non di risultati.
Che si manifesta nella corsa ai numeri statistici, alla produzione quantitativa, che porta ad occuparsi non dei casi più rilevanti o più meritevoli di sollecita trattazione, ma di quelli di più spedita trattazione, corsa troppo spesso non solo non avversata ma promossa ed incoraggiata, in questi anni, con l’urlo “svuotate gli armadi”, da troppi Dirigenti, anche tra i migliori. Che si manifesta, anche in tanti magistrati tra i più preparati, nel rifiuto di aggiornarsi, e di partecipare alle attività di formazione (fosse anche solo seguire un uditore).
Che si manifesta, ancora, nel rifiuto, spesso apertamente rivendicato, della vita associativa, “letta” come sentina di ogni male e come ambito da cui tenersi lontani, salvo poi lamentarsi di non essere ascoltati e ben rappresentati.
La stessa ormai drammatica carenza di strutture personali e materiali in cui versano gli uffici fa da volano a questa progressiva burocratizzazione: costretto a confrontarsi ogni giorno con tanti piccoli problemi logistici e materiali, il magistrato anche per questa via si sente sempre più non il titolare di un potere costituzionale diffuso ma un travet con i problemi di un Fantozzi : trovare la carta e chi gli aggiusta la stampante per fare un lavoro che inizia a credere non interessi davvero nessuno.
Infine, è poi il lavoro che in tante situazioni professionali é andato progressivamente burocratizzandosi. La vita del singolo giudice è andata complicandosi: già chiamato a gestire un carico di lavoro giurisdizionale di cui chi ha oggi più di venti anni di servizio non ha memoria, nel suo quotidiano lavorativo alle attività giurisdizionali se ne sono aggiunte via via tante altre di minute, con gravi effetti sulla qualità del lavoro giurisdizionale, sulle motivazioni dei singoli, sulla consapevolezza che i magistrati hanno di sé.
Vi è però oggi un crinale nuovo su cui scorre rapida la progressione della burocratizzazione della Magistratura, ed è quello che interpella l’autogoverno.
L’autogoverno, nel progetto della Carta Costituzionale, e nella storia degli ultimi decenni, è stato l’ambito nel quale i magistrati hanno preso gradatamente sempre maggiore coscienza di essere Istituzione e non corpo burocratico, magistrati e non funzionari.
Oggi, un numero sempre crescente di magistrati ha perso ogni fiducia nel circuito dell’autogoverno, nella sua capacità di dirigere l’ordinamento giudiziario in attuazione dei valori costituzionali della giurisdizione, dando risposte in termini di efficienza ed al contempo secondo regole, dando tutela alle posizioni soggettive dei singoli magistrati secondo diritto e non secondo regole clientelari.
All’autogoverno (inteso come Dirigenti-Consigli Giudiziari e non solo CSM) una gran parte dei magistrati –probabilmente la parte maggioritaria dei magistrati– molto semplicemente non crede più. Non ci crede quando si tratta di nominare un Dirigente od un semidirigente bravo capace ed indipendente, non ci crede quando si tratta di nominare adeguati consiglieri di Cassazione o validi componenti del Massimario o della Segreteria CSM o di procedere alla nomina dell’ultimo relatore dell’ultimo incontro di formazione. Non ci crede ormai più neanche se si tratta di pratiche ordinarie come un trasferimento, o se si tratta di reagire ad una variazione tabellare che danneggia e che viola una Circolare.
Fondata o meno che sia su dati oggettivi, la percezione diffusa è che nell’autogoverno non basti avere ragione, o diritto ad una determinata cosa. Come burocrati, appunto, molti pensano ormai che non sia possibile ottenere tutela dal Dirigente che abbia compiuto atti inopportuni od illegittimi, od ottenere un incarico, una sede, un ufficio o anche solo un computer nuovo per il solo fatto che così stabiliscono le regole. Pensano che sia meglio entrare nelle grazie del Dirigente, od ottenere tutela per vie traverse.
Che questa sia la situazione, è drammatico, se l’obiettivo è quello di avere, per i cittadini, una magistratura consapevole del suo ruolo costituzionale, una magistratura inscritta nella “promessa costituzionale” di progressivo allargamento dei diritti e della legalità, una magistratura democratica.
Che questa sia la situazione, è drammatico anche per Magistratura Democratica.
M.D. è doveroso che continui ad occuparsi dell’ampliamento dei diritti, dei Grandi Temi del dibattito culturale giuridico e quindi politico, che continui ad aprirsi all’esterno, a rompere la corporazione anche contaminandosi con tutte le forze sociali che non hanno rinunciato all’attuazione dei valori della Costituzione nella società civile e nel mondo del lavoro. E che si occupi di ciò che accade nella giurisdizione anche facendo al contempo tutto questo. E’ una delle sue ragion d’essere. E’ nel suo DNA, sinora ha sempre cercato, ed in passato molto spesso trovato questa sintesi, anche perché evidentemente la giurisdizione non opera nell’iperspazio. Lo ha fatto anche quest’anno, e bene, partecipando alla battaglia referendaria con cui si è salvata la Costituzione del 1948.
In questa fase, però, occuparsi di questa crisi dell’autogoverno, di questa crisi della legittimazione dell’autogoverno dinanzi ai magistrati, della progressiva burocratizzazione della Magistratura, non può che essere la sua prima cura. La sua unica cura, se le energie per occuparsi d’altro non dovessero essere allo stato sufficienti.
E’ un fatto di priorità.
Non ci si può occupare d’altro, se prima non si è riusciti ad occuparsi di come funzionano gli uffici, di come si svolga oggi il lavoro giurisdizionale e della sua qualità, di come nasca il prodotto giurisprudenziale, di come si scelgono i Dirigenti e di come questi (dis)organizzano gli Uffici, di come si tutela l’indipendenza interna dei singoli pm o dei singoli giudici dai Capi e dalle loro prassi e decisioni deregolate quando non illegittime, se non si affrontano le radici del clientelismo nell’autogoverno (anche quelle che ci chiamano in causa in prima persona), se non si è riusciti ad occuparsi di tutto ciò che fa sentire il singolo magistrato non un magistrato della Repubblica, ma l’impiegato di un ufficio in cui ogni giorno, come ha efficacemente scritto Bruno Tinti, “entra un camion di carta ed esce un camion di carta”.
Primum vivere, deinde philosophare. Senza giudizi negativi per la philosophia. Solo una questione di priorità, della tragica attualità della quale il dibattito sulle ml e nei Consigli Nazionali successivi alla sconfitta elettorale di luglio 2006 ha dimostrato esservi per fortuna larga e diffusa percezione.
Magistratura Democratica, e soprattutto la magistratura democratica, non hanno futuro se il processo di burocratizzazione si completerà.
E’ allora urgente che MD si muova, negli uffici, nell’ANM, nell’autogoverno. E che il nostro Congresso di questo febbraio 2007 segni una svolta in questo senso.
Negli uffici, è necessario rinasca l’autogoverno dal basso, e che iscritti e non iscritti di MD e tutti coloro che hanno a cuore le sorti di una magistratura democratica riscoprano l’impegno e la partecipazione, tragicamente e diffusamente mancata negli ultimi anni. Significa partecipare in modo attivo a riunioni di ufficio, organizzative come di dibattito giurisprudenziale, fornendo il nostro informato e critico contributo (MD non parte da zero su quasi nulla , almeno questo lo possiamo rivendicare). Significa leggere le tabelle e le variazioni tabellari, promuoverne la discussione negli Uffici, presentare osservazioni ai Consigli Giudiziari. Significa farsi carico per quanto possibile dei problemi collettivi dei colleghi. Significa proporsi per fare i collaboratori e gli affidatari di uditori, svolgere fino in fondo in modo non notarile tali funzioni, magari anche valutare negativamente un uditore, se necessario. Significa ad es. far sì che non ricapiti che in una Regione con 80 iscritti nessuno faccia domanda per fare il Referente per la Formazione Decentrata, ed alla fine l’incarico vada al Cosimo Ferri di turno. Significa vigilare che i più giovani non restino vittima del nonnismo giudiziario, significa non fare i nonni.
In A.N.M., significa avere a cuore l’unità associativa, tanto più necessaria in epoca di riscrittura dell’ordinamento e di battaglie anche sindacali. Ma senza che questa tensione ci faccia perdere di vista la necessità di contrastare le ancora ricorrenti difese di Dirigenti o magistrati impresentabili o professionalmente indifendibili per singoli episodi.
Nell’autogoverno, il compito più difficile.
Non tutti i fattori di sua degenerazione, e che ingenerano la sua delegittimazione, l’inefficienza degli uffici, la burocratizzazione del servizio e dei magistrati, sono autoemendabili.
Come sempre, ci sono cose che pertengono alla legge ordinaria e riguardo alle quali l’azione culturale, il dialogo con il mondo politico sono l’unica azione possibile.
In più, siamo tra il vecchio ed il nuovo. La carriera fondata sulla legislazione degli Anni Sessanta e Settanta allo stato non c’è più, la nuova è sospesa, è aperto il cantiere di riscrittura di un nuovo ordinamento, e l’azione del Consiglio, e dei Consigli Giudiziari –anch’essi alla vigilia di una nuova era– si trova in mezzo a un guado che rischia di portare all’inazione.
E allora. La difficoltà oggettiva, in questa fase, per l’autogoverno, di muoversi sul terreno delle riforme –normative, e delle prassi– riguardanti i settori direttamente investiti dalla riforma ordinamentale (valutazioni di professionalità, formazione, regole relative alla nomina dei Direttivi e dei Semidirettivi) può finire per essere in questa fase una ragione di più per occuparsi di quei segmenti dell’ordinamento, apparentemente lontani dai suoi “rami alti”, che possono consentire al Consiglio Superiore, e politicamente ad M.D., di recuperare terreno nel rapporto, per ragioni diverse complicatosi, con i magistrati italiani, giovani e meno giovani. Il tutto, con realismo rispetto alle forze disponibili, e avendo chiaro che il meglio è nemico del bene.
I problemi sono tanti, tanti i punti di possibile “attacco” alla attuale situazione.
Nell’individuazione delle priorità, è necessario dare la prevalenza ai punti di tensione che riguardano la condizione professionale dei magistrati.
Verrà poi presto il momento di occuparsi di valutazioni di professionalità, di progressione di carriera, di progressione economica, di criteri per la nomina dei Direttivi.
E’ ad esempio un problema attualmente quotidianamente sentito da centinaia se non da migliaia di magistrati quello dei tempi dei trasferimenti, che si tratti di trasferimenti da un ufficio all’altro e/o da una sede all’altra, o dei trasferimenti interni ai singoli uffici. Dare certezza alle regole relative a cosa si deve pubblicare per i concorsi ordinari, a quando si deve pubblicare, all’ordine con cui inderogabilmente si deve procedere alle deliberazioni sulle sedi o le posizioni tabellari pubblicate, ed ai tempi entro i quali tali delibere vanno altrettanto inderogabilmente prese significa non solo dare certezze agli uffici sugli arrivi e le partenze e consentire loro di meglio pianificare le attività giurisdizionali, significa non solo dare certezze ai magistrati ed alle loro famiglie sui tempi dei possibili trasferimenti, ma togliere di mezzo l’attuale anarchia in materia, uno dei maggiori fattori di percezione, nei magistrati, della possibilità, in Consiglio, di manovre a proprio danno, uno dei maggiori fattori di delegittimazione del Consiglio stesso, uno dei maggiori fattori della burocratica ricerca di “protezione” non nelle regole ma in ambiti clientelari.
Identico discorso, sui tempi, vale per gli incarichi direttivi e semidirettivi, al netto di tutte le altre questioni della materia. Ambito, quello degli incarichi, nel quale allo stesso modo la sostanziale attuale deregulation sui tempi di pubblicazione dei concorsi, sull’ordine delle deliberazioni, sui tempi delle stesse è uno dei principali fattori di delegittimazione dell’autogoverno in uno dei suoi più rilevanti settori di intervento.
Altro problema attualmente quotidianamente sentito da migliaia di magistrati è la assoluta difficoltà di difendersi dalle decisioni illegittime od inopportune o comunque ritenute dannose prese dai Dirigenti. Che si tratti di una variazione tabellare riguardante i criteri di assegnazione degli affari, che si tratti di una variazione tabellare riguardante una diversa composizione dell’ufficio o di una Sezione, che si tratti della decisione su un concorso interno per l’assegnazione di un posto resosi vacante, che si tratti di una decisione organizzativa, oggi la situazione è tale per cui se l’interessato segue la via maestra dei mezzi offertigli dall’autogoverno ed “impugna” la decisione che lo danneggia (magari illegittimamente resa dal capo provvisoriamente esecutiva) il Consiglio Giudiziario da’ il suo parere in poche settimane, ma il CSM prende la sua decisione magari un anno e mezzo dopo, quando la decisione impugnata ha maturato effetti in genere irreversibili, tra cui la convinzione nei magistrati dell’ufficio interessato di non avere alcuna effettiva tutela e che l’unica via per evitare danni sia quella “preventiva” di conformarsi a direttive e regole imposte da chi dirige.
Ecco allora che creare uno strumento agile che consenta al CSM di dire una parola definitiva in 2-3 mesi al massimo, e che preveda un parallelo mezzo anche provvisorio e cautelare, un “700” ordinamentale, con cui chiedere ed ottenere dal Consiglio Giudiziario rapida tutela dalla decisione dirigenziale illegittima con la sospensione della sua efficacia in vista del suo annullamento, sarebbe una fondamentale via di attuazione delle Circolari consiliari ma soprattutto di tutela dell’indipendenza interna del magistrato, del suo status, della consapevolezza che lo stesso ha o deve avere di sé stesso e del suo ruolo, e quindi di contrasto della mentalità burocratica. Oltre che uno strumento per avere ed immagazzinare, decisione dopo decisione, dati oggettivi di valutazione dei Dirigenti che si vedessero annullare le delibere, da utilizzare nei concorsi per gli incarichi direttivi o in sede di decisione sui rinnovi degli incarichi stessi.
E ancora. La mobilità interna, con particolare riferimento ai grandi uffici. Mobilità interna, che dopo l’unificazione degli uffici di primo grado è gran parte della “mobilità possibile”, della mobilità orizzontale a disposizione dei magistrati.
Si tratta anche qui di migliorare le regole consiliari su un punto che ha a che fare con le aspirazioni professionali e le prospettive di qualificazione e specializzazione dei singoli. La situazione attuale crea ambiti di arbitrio per i Dirigenti, e l’arbitrio è il fertile terreno su cui nascono i favori al posto dei diritti, oltre che le inefficienze, se il Dirigente non è all’altezza.
Attualmente, per i concorsi interni, per effetto delle attuali regole della Circolare:
1) il Dirigente è di fatto libero di scegliere se pubblicare o no un posto resosi vacante e che ha già deciso di non sopprimere (avendo così di fatto il potere di frustrare le aspirazioni di chi avrebbe ora i titoli per aspirarvi, o di assecondarle, o di favorire terzi);
2) la legittimazione interna a partecipare ai concorsi scatta di regola con i due anni nel posto attualmente coperto a domanda, ma il Dirigente può stabilire eccezioni per “comprovate esigenze di servizio”, esigenze allo stato non parametrate e che sarà quindi lui ad enucleare prima di applicarle;
3) come per la mobilità generale gestita dal Consiglio, non ci sono tempi certi, epoche predeterminate per gli interpelli, la Circolare indicando dati mesi solo come “preferibili”, così ancora una volta lasciando al Dirigente il potere di decidere quando lanciare i concorsi e di decidere così – in relazione ai termini di legittimazione – chi può parteciparvi e chi no, e spesso il potere di decidere chi li deve vincere ;
4) se più interpelli sono contemporanei, non vi sono regole circa l’ordine con cui le delibere vanno prese, il che in caso di più domande da parte del singolo lascia il Dirigente di fatto arbitro anche per questa via dell’esito dei diversi specifici concorsi ;
5) tra più aspiranti ad un posto con meno di sei anni di differenza in anzianità di ruolo, decidono le attitudini, ma la valutazione di queste non è parametrata, e tutto è in mano alla “adeguata motivazione” del Dirigente, che può addirittura assegnare “punteggi” con riferimento ai singoli criteri, con il peso specifico che riterrà più opportuno.
Una situazione di grave “sofferenza”, sentita dai magistrati come una condizione di minorità rispetto ad un vero e proprio superiore gerarchico. Appunto, come in una vera struttura burocratica.
Proseguendo. E’ necessario, soprattutto a tutela degli uditori arrivati alla prima sede, ma non solo, mettere nero su bianco con chiarezza, con sanzioni di carriera per il Dirigente che non vi si attenga, che l’anzianità di ruolo o peggio ancora nell’ufficio non può essere fonte di iniqua distribuzione dei carichi di lavoro, di iniqua organizzazione dei turni esterni nelle Procure o negli uffici GIP—GUP, di iniqua e squilibrata organizzazione delle Tabelle feriali. Che l’anzianità, molto semplicemente, non rilevi al di fuori dei casi specificamente ed espressamente individuati dalla normativa ordinaria e secondaria.
E’ necessario impegnarsi, anche dopo le recenti modifiche alla Circolare interessata, per proseguire nella strada della maggiore valorizzazione, per determinati incarichi, del lavoro giurisdizionale rispetto a quello lontano dalle aule di giustizia, così come nella valorizzazione ad altri effetti, di determinate esperienze professionali o “da fuori ruolo”. Tra i magistrati gli ultimi dieci anni hanno diffuso la purtroppo fondata convinzione che per avere gli incarichi più qualificati tutto convenga di fare tranne che il bravo giudice o l’impegnato pm, che sia preferibile lavorare al CSM, nei Ministeri, al Massimario, comunque lontano dai posti che ti impediscono di studiare cose diverse dal fascicolo o di scrivere monografie e pubblicazioni varie, o di fare il relatore in cento convegni, o di frequentare nelle ore di lavoro le vere o presunte stanze dei bottoni della Magistratura. Serve una svolta. Non deve più accadere che si possa andare a massimare o a cassare sentenze avendo alle spalle in tutta la carriera pochi anni di giurisdizione.
Se Magistratura Democratica crede ancora nella giurisdizione, deve promuovere quanto serve a convincere i magistrati ad impegnarsi nella giurisprudenza e nella attività in toga di tutti i giorni.
In materia tabellare. Le strutture del Consiglio da un lato –intese innanzitutto come ore di lavoro disponibili, come numero di consiglieri, magistrati segretari, amministrativi– la vita degli uffici dall’altro rendono assolutamente anacronistico, e soprattutto inutile, mantenere il sistema attuale per cui ogni due anni si procede alla riproduzione totale della procedura tabellare, con riapprovazione di tutte le Tabelle di tutti gli Uffici. Procedura oltretutto come è noto svolta solo sulla carta, all’ingrosso, per materiale impossibilità di procedervi davvero.
In una situazione in cui le tabelle di ogni ufficio non sono che la risultante di tutte le variazioni tabellari che in quell’ufficio sono via via intervenute, ed in cui Dirigenti, Commissioni Flussi, Consigli Giudiziari ben potranno e dovranno continuare a fornire il materiale per approvarne altre mantenendo alle Tabelle anche la loro funzione di strumento di programmazione, se si vuole che poi si possa arrivare ad una situazione in cui davvero il Consiglio possa fare autogoverno esaminando davvero e non sulla carta le singole variazioni tabellari, dando davvero tutela ai magistrati lesi anche con i provvedimenti urgenti di cui sopra si diceva -e comunque in tempi rapidi-, ed altresì intervenendo sulle inefficienze, allora si deve arrivare ad una ultima generale approvazione delle tabelle così come la si è sempre fatta sinora. Dopo la quale, i mezzi scarsi disponibili nell’autogoverno –mezzi dei magistrati, e dei Consigli Giudiziari, prima ancora che del Consiglio– saranno dispiegati in un effettivo, costante, incisivo e non notarile controllo delle variazioni tabellari ed in generale delle decisioni organizzative che seguiranno, in punto di legittimità e di rispondenza alle esigenze dell’Ufficio. Un controllo in grado di ridurre anche gli effetti di dirigenze non all’altezza. Di fornire materiale oggettivo alle valutazioni di professionalità dei Dirigenti. Di ridare fiducia ai magistrati nella efficacia degli strumenti dell’autogoverno.
E’ ovvio che l’iniziativa politica di MD sulle materie ordinamentali dovrà poi cadere sulla riforma dei criteri di nomina dei Direttivi (con la riduzione del ruolo dell’anzianità a quello di mero criterio di legittimazione, ma senza inseguire improponibili meccanismi di rotazione), e sulla generale riforma delle valutazioni di professionalità (rigorosamente incentrate anche sulla qualità del lavoro giurisdizionale), e che fatalmente in tali materie si dovrà seguire l’agenda politica e quindi la riscrittura dell’ordinamento che –ci si augura– farà definitivamente andare in archivio l’obbrobrioso concorsificio Castelli (anche nell’ambito relativo alla condizione professionale dei magistrati si pongono ulteriori questioni di fondo, quali ad es. quella dell’enucleazione di standard di esigibilità quantitativa del lavoro giudiziario da parte del singolo magistrato, compatibile con un determinato standard qualitativo).
Resto però convinto sia del fatto che una decisa iniziativa politica di MD sui punti esposti, lanciata dal Congresso e sviluppata in tutte le sedi dell’autogoverno ed innanzitutto evidentemente in CSM, darebbe il segno della nostra convinzione circa la assoluta necessità di una rapida rivitalizzazione dell’autogoverno, e sia del fatto, soprattutto, che intervenire sui punti di tensione descritti arresterebbe il processo di progressiva delegittimazione dell’autogoverno stesso dinanzi ai magistrati, delegittimazione che è tra i principali fattori della deriva burocratica che rischia di definitivamente trasformare in peggio la Magistratura, e di mutarne la collocazione istituzionale.
Dopo quarant’anni, l’alternativa è sempre quella : magistrati o funzionari?
Valerio Savio