Parere_intercettazioni
Parere sul disegno di legge recante: "Disposizioni in materia di intercettazioni
telefoniche ed ambientali e di pubblicità degli atti del
fascicolo del pubblico ministero e del difensore".
Con nota del 17 settembre
2005 il Ministro della giustizia ha trasmesso al Consiglio superiore
della magistratura per il parere copia del disegno di legge,
approvato dal Consiglio dei ministri il 9 settembre 2005, concernente
"Disposizioni in materia di intercettazioni telefoniche e
ambientali e di pubblicità degli atti del fascicolo del
pubblico ministero e del difensore".
Il disegno di legge si
compone di 14 articoli ed incide con significative innovazioni su
plurimi aspetti della disciplina connessa alle intercettazioni
telefoniche ed ambientali che danno vita ad una proposta di modifica
che incide in profondità non soltanto sugli aspetti
propriamente processuali, ma anche su questioni di natura
ordinamentale e organizzativa. Tali innovazioni, poi, ove entrassero
in vigore, avrebbero come conseguenza una rilevante trasformazione
dei metodi di investigazione e dei rapporti tra i soggetti che a
vario titolo sono attori delle investigazioni e del procedimento o ne
sono a qualsiasi titolo interessati.
In considerazione di ciò
il Consiglio, visto il contributo dell'Ufficio Studi, propone
le considerazioni che seguono.
1. Le principali
innovazioni contenute nel testo normativo.
Le innovazioni al regime
complessivo delle intercettazioni sono numerose e assai articolate,
per cui può essere utile riassumerle sinteticamente secondo il
loro oggetto principale:
A) L'introduzione
di limiti all'inizio ed alla prosecuzione delle attività
di intercettazione.
a.1 - Il primo limite
consiste nella riduzione del novero dei soggetti che possono essere
destinatari diretti di attività di intercettazione (art.4,
comma 3). In particolare, per la quasi totalità dei delitti è
possibile sottoporre ad indagine esclusivamente le utenze delle
persone indagate. Tale limite viene meno solo nei procedimenti per
"reati gravi e gravissimi" e per quelli commessi
comunemente per mezzo del telefono (minacce telefoniche, etc.), che
ancora consentirebbero l'intercettazione delle utenze di
persone non indagate.
a.2 - Il secondo
limite viene introdotto grazie alla riduzione dei presupposti in
fatto che consentono il ricorso allo strumento della intercettazione.
Ciò avviene sia mediante la previsione (art.4, comma 2) che
non è possibile "estendere" le intercettazioni a
nuove utenze se non sono state previamente esperite attività
di indagine che consentano di acquisire elementi probatori di
provenienza diversa dalle sole conversazioni intercettate, sia grazie
alla limitazione (art.3) delle c.d. intercettazioni ambientali
mediante l'estensione anche al di fuori dei luoghi di privata
dimora del requisito della flagranza, nel senso che occorre che sia
motivabile la fondata convinzione che nei luoghi ove si intende
procedere all'ascolto si stia svolgendo l'attività
criminosa. Anche nel caso di quest'ultima limitazione, fanno
eccezione i reati considerati di particolare gravità (dal
terrorismo ai fatti di criminalità organizzata ai reati
indicati nella lettera "a" del comma 2 dell'art.407
c.p.p.), per i quali le intercettazioni delle conversazioni tra
presenti sono possibili anche là dove manchi il requisito
della flagranza.
a.3 - A proposito della
differenziazione della disciplina a seconda delle tipologie di reato,
va ricordato che l'art.4, comma 3 prevede una disciplina
generale in ordine alla consistenza degli indizi che debbono
sussistere al momento del decreto di autorizzazione: essa richiama il
comma 1-bis dell'art.267 c.p.p., che recita: "nella
valutazione dei gravi indizi di reato si applica l'art.203".
Diversamente, il successivo comma 6 introduce un nuovo comma
dell'art.267 c.p.p., il comma 3-bis, che prevede che in caso di
procedimenti per reati in materia di terrorismo, criminalità
organizzata e minacce a mezzo telefono le intercettazioni possono
essere autorizzate senza la presenza di indizi gravi, e cioè
"in base alla sussistenza di sufficienti indizi, valutati ai
sensi dell'art.273".
a.4 - Un terzo limite è
rappresentato da un rafforzamento dell'obbligo di motivazione
da parte del magistrato. Sebbene tale disposizione sia contenuta
nell'art.4, comma 2, che modifica la disciplina fissata dal
comma 1 dell'art.267 c.p.p. con riferimento alle
intercettazioni telefoniche, la relazione incomprensibilmente sembra
riferirsi ai casi di intercettazioni tra presenti disciplinati dal
precedente art.3, dove invece non è contenuta alcuna nuova
disposizione specifica in tema di motivazione. Inoltre, merita
osservare che il medesimo passo della relazione si caratterizza per
un passaggio particolarmente forte là dove aggiunge "(in
tal modo) costringendo il pubblico ministero e il giudice a dare
un'ampia spiegazione ...".
a.5 - Un ulteriore limite
è costituito dalla introduzione di termini massimi di durata
delle intercettazioni assai contenuti (art.4, comma 5). Modificando
il comma 3 dell'art.267 c.p.p., si prevede che in via generale
le intercettazioni abbiano durata di giorni non superiore a 15
giorni, prorogabili in pari misura pi volte, ma con il tetto
massimo di tre mesi. Anche in questo caso viene prevista una
eccezione alla norma generale: i limiti non operano per i reati
indicati nel successivo comma 3-bis; in tal caso, infatti, la durata
delle attività è prevista nella misura di 40 giorni,
prorogabili per giorni 20 anche pi volte e senza tetti
massimi.
B) L'introduzione
di nuovi limiti di utilizzabilità.
Con le modifiche
apportate dagli articoli 9 e 10 all'art.270 e all'art.271
c.p.p. vengono ampliate le ipotesi di non utilizzabilità dei
risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi, anche in
questo caso con significative eccezioni, e, forse in modo ancora pi
significativo, si prevede che il divieto operi anche nella ipotesi in
cui il giudice dia al fatto di reato una qualificazione diversa e che
non avrebbe consentito le attività di intercettazione.
C) L'introduzione
di pi rigorose formalità e l'introduzione di
garanzie per i terzi.
Plurime sono le
disposizioni che introducono formalità pi rigorose e
rigide. Il riferimento è alla tenuta dei registri (art.4,
comma 8), alle forme di gestione, deposito e custodia dei verbali e
delle stesse registrazioni (art.5), nonch alla introduzione
di una udienza in cui vengono selezionate le sole risultanze
rilevanti (art.5, commi 8-10). Va poi ricordata la prima parte
dell'art.8, che per i verbali e i supporti delle
intercettazioni prevede la custodia in un apposito archivio riservato
e il divieto di allegazione dei medesimi al fascicolo processuale.
L'art.6, a sua
volta, introduce nel codice di rito l'art.268-bis, che, con
l'eccezione dei procedimenti riguardanti alcuni reati, prevede
che il pubblico ministero avvisi delle avvenute intercettazioni le
persone non indagate, così messe in grado di interloquire e di
richieder la distruzione delle conversazioni "manifestamente
irrilevanti". La medesima logica è seguita dall'art.11
per l'ipotesi che il pubblico ministero proceda a richiesta di
archiviazione in un procedimento nel corso del quale non ha dato
avviso delle avvenute intercettazioni alle persone diverse dagli
indagati.
D) L'ampliamento
dei divieti di pubblicazione e l'inasprimento delle forme
dirette o indirette di sanzione.
Mentre l'art.1
introduce nuove ipotesi di astensione per il giudice (art.36, comma 1
c.p.p.) e il pubblico ministero (art.53 c.p.p.) titolari del
procedimento o del processo che abbiano rilasciato dichiarazioni
riferite allo stesso o risultino indagati per il reato previsto
dall'art.326 c.p., l'art.2 amplia i casi in cui è
vietata la pubblicazione di atti di indagine, ancorch non pi
coperti da segreto, e prevede la trasmissione al titolare dell'azione
disciplinare di tutte le violazioni in ipotesi ascrivibili ad un
magistrato.
Inoltre, l'art.12
prevede un inasprimento del trattamento sanzionatorio riferito alle
violazioni previste dagli articoli 326 o 684 c.p. e l'art.14, a
sua volta, introduce una specifica forma di "responsabilità
degli enti".
2. Gli altri disegni
di legge depositati in Parlamento
In Parlamento sono
presenti numerosi disegni e proposte di legge che hanno per oggetto
interventi di modifica della normativa in materia di intercettazioni
e traffico telefonici.
Soltanto una parte di
essi, tuttavia, si occupa degli aspetti affrontati dal disegno di
legge governativo. Alcuni, infatti, hanno come oggetto principale le
modifiche della disciplina delle intercettazioni destinate alla
ricerca dei latitanti (si tratta del breve disegno di legge n.3397,
presentato al Senato il 20 aprile 2005 e della proposta di legge
C/6024 "Modifiche all'art. 295 del codice di procedura
penale, in materia di intercettazioni per la ricerca del latitante, e
all'art. 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in
materia di acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico",
presentata alla Camera il 5-5-2005) oppure della armonizzazione della
disciplina delle intercettazioni con la legge costituzionale 29
ottobre 1993, n.3 e la conseguente modifica dell'art.68 della
Costituzione in tema di garanzie dei membri del parlamento (disegno
di legge n. 489, presentato al Senato il 17 luglio 2001). ). Sul
punto merita segnalare che le citate proposte di legge sembrano nei
fatti superate a seguito dell'entrata in vigore della legge
n.140 del 30 giugno 2003, ed in particolare dalla disciplina
contenuta nell'art.6.
Altri ancora hanno ad
oggetto la previsione di forme periodiche di comunicazione al
Parlamento circa l'impiego su base nazionale dello strumento
delle intercettazioni (il riferimento è alle proposte di legge
n. 1447, presentata al Senato il 29-5-2002, e n. 2856, presentata
alla Camera dei Deputati il 12-6-2002, nonch alla proposta di
legge n. 3145 "Norme in materia di informazione sulle
intercettazioni di comunicazioni", presentata alla Camera
dei Deputati l'11-9-2002
A sua volta, la proposta
di legge n. 3077, presentata il 25-7-2002 alla Camera dei Deputati si
propone di istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta
sulle intercettazioni telefoniche.
Merita altresì
segnalare che alcune delle proposte di modifica complessivamente
presente in Parlamento appaiano superate in alcune loro parti, in
specie per quanto riguarda la raccolta delle informazioni sul
traffico telefonico e la conservazione dei dati e dei supporti, dalla
normativa introdotta dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n.196 in
tema di protezione dei dati personali, così come modificato
recentemente dal decreto legge 27 luglio 2005, n.144, convertito con
legge 31 luglio 2005, n.155 (normativa sulla quale il Consiglio ha
espresso un proprio parere con deliberazione in data 30 luglio 2005).
Passando adesso ad un
sintetico esame dei disegni e delle proposte di legge che hanno come
oggetto gli aspetti affrontati dal disegno di legge governativo
n.3612, possiamo evidenziare che, quanto ai presupposti delle
intercettazioni, soltanto la proposta di legge n. 569 "Modifiche
in materia di intercettazioni telefoniche, di segreto e di
pubblicazione di atti del procedimento penale", presentata
al Senato il l agosto 2001, interviene sul catalogo dei reati
che consentono tale attività d'indagine, anche se con
esclusioni assai meno significative rispetto al disegno di legge
governativo. Gli altri disegni e proposte di legge, sempre con
riferimento ai presupposti ed alle modalità delle
intercettazioni, o rafforzano il concetto di "gravi indizi"
(la citata proposta n.569) oppure contengono limitazioni al numero e
alla durata delle proroghe (iniziative n.489 e 569, citate), anche se
talvolta solo con riferimento alle intercettazioni ambientali (come
nel disegno di legge S/3389 "Modifiche alla disciplina delle
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni",
comunicato alla presidenza del Senato il 14-4-2005).
Venendo agli aspetti
concernenti in modo diretto la tutela della privacy
delle persone soggette ad indagine e, pi in particolare,
dei soggetti estranei alla vicenda processuale, tre sembrano essere
gli elementi di novità principali: la previsione di un
archivio riservato in cui custodire i c.d. "brogliacci",
i supporti ed i risultati delle intercettazioni (il riferimento è
alle iniziative n.489, 569 e 3389, citate, nonch alla
proposta di legge n. 6079 "Modifiche alla disciplina delle
intercettazioni di conversazioni e comunicazioni",
presentata alla Camera dei Deputati il 15-9-2005); la introduzione di
una specifica udienza camerale volta alla esclusione dagli atti di
tutte le conversazioni non rilevanti (iniziative n.489 e 3389), con
la precisazione che, secondo il disegno di legge S/3389, il pubblico
ministero è tenuto a selezionare il materiale rilevante e a
non utilizzare gli elementi che sono privi di interesse per le
indagini e per gli atti da compiere; infine, l'introduzione di
nuova fattispecie criminosa che sanziona i comportamenti di
diffusione non legittima delle intercettazioni e dei loro risultati
(iniziative n. 3389, 6079 e 489, quest'ultima distinguendo due
ipotesi: una di pericolo e una di danno, la seconda delle quali a
carico dei responsabili degli organi di informazione).
3. La ratio del
disegno di legge n. 3612.
Secondo quanto emerge
dalla parte iniziale della relazione di accompagnamento, lo scopo del
provvedimento è in via generale individuato nel "rafforzamento
delle garanzie di imparzialità e trasparenza",
nonch nella attuazione dei principi del giusto processo ai
sensi dell'art.111 della Costituzione "anche in questa
fase di ricerca della prova penale". In particolare, poi, si
segnalano le finalità di "tutela della riservatezza
dei cittadini" e di inasprimento del regime sanzionatorio
per l'utilizzo improprio dei dati raccolti.
La lettura del prosieguo
della relazione e, in specie, la selezione che ivi viene fatta degli
articoli del testo pi rilevanti, consente di individuare gli
obiettivi che sembrano assumere priorità per il Governo.
Secondo l'ordine seguito dalla relazione, è dunque
possibile individuare: la riduzione del novero delle persone le cui
utenze possono essere oggetto di intercettazione (art.4, comma 3); il
rafforzamento dei presupposti indiziari che giustificano il ricorso
alle attività di intercettazione (art.4, comma 2); la
limitazione delle intercettazioni delle conversazioni tra presenti, e
cioè ambientali (art.3); l'anticipazione e il
rafforzamento del contraddittorio con i soggetti interessati dalle
operazioni (articoli 5, 6 e 11); l'ampliamento dei limiti alla
pubblicazione dei risultati (art.2); l'inasprimento del
complessivo regime sanzionatorio (art.8) e l'introduzione di
nuove forme di obbligo del magistrato di astenersi dalle indagini o
dal processo (art.1).
Già sulla base di
questa prima ricognizione è possibile affermare che il
legislatore ha inteso intervenire su due direttrici fondamentali: la
prima è costituita dalla riduzione dei casi e delle forme in
cui le intercettazioni possono essere praticate e dal restringimento
delle modalità di utilizzo dei risultati; la seconda può
rinvenirsi nell'incremento delle forme di garanzia soggettiva
per le persone interessate dalle attività di intercettazione,
con inasprimento dei divieti e delle limitazioni alla pubblicità
e con inasprimento delle forme di sanzione per le ipotesi di utilizzo
non corretto dei risultati.
4. Le osservazioni del
Consiglio.
Osserva preliminarmente
il Consiglio che in via generale appare senz'altro
condivisibile la sottolineatura delle esigenze di un utilizzo
equilibrato di strumenti invasivi di investigazione quali sono le
intercettazioni telefoniche e "ambientali". Tali esigenze
costituiscono motivo di riflessione sia attorno alle ragioni del
costante aumento del numero di utenze che vengono intercettate per
disposizione della magistratura sia delle soluzioni pi
opportune per ridurre al massimo le forme di utilizzo improprio o
illecito dei risultati delle intercettazioni. Proprio partendo dalla
constatazione dell'esistenza di esigenze condivisibili, occorre
adesso affrontare in modo non superficiale le prospettazioni poste
alla base dell'intervento normativo, quale premessa delle
soluzioni poi in concreto adottate dall'articolato.
4.a - In primo
luogo vengono le ragioni che portano al restringimento dei casi in
cui il magistrato può ricorrere allo strumento delle
intercettazioni.
Il numero delle
intercettazioni telefoniche è certamente assai elevato, anche
se paragonato a quello rilevabile nelle altre democrazie avanzate
(con le specificazioni che innanzi si vedranno).
Va però chiarito
che assai spesso le indagini richiedono nel corso del tempo
l'intercettazione di plurime utenze riferibili alla medesima
persona o allo stesso gruppo di persone, anche per contrastare le
cautele poste in essere soprattutto nella criminalità
organizzata, ad esempio attraverso il cambio vorticoso delle schede
di telefonia mobile. Così come altrettanto spesso si dà
corso ad intercettazioni di utenze che si rivelano presto di scarso
impiego e vengono abbandonate.
Presupposto di una
riforma ben bilanciata dovrebbe poi essere l'individuazione
delle ragioni che hanno portato al crescente ricorso a tale strumento
di investigazione. A questo proposito sembra al Consiglio che due
caratteristiche del nostro paese vengano a sommarsi: i livelli delle
forme associative e comunque organizzate dei fenomeni criminali e le
caratteristiche del rito processuale.
Non sembra necessario
spendere molte parole per richiamare non solo la diffusione e la
gravità dei fenomeni legati alla criminalità mafiosa e
la diffusione di altre forme di illegalità organizzata (quali
le frodi economiche e correlati fenomeni corruttivi), con le
inevitabili difficoltà di svolgere investigazioni utili e di
raccogliere dichiarazioni genuine di testimoni e persone coinvolte
nei fatti. Tale situazione è sconosciuta agli altri Paesi di
democrazia avanzata e ha portato il legislatore a individuare
specifiche ipotesi di reato (ad esempio il delitto previsto dall'art.
416 bis c.p.) e specifici strumenti di indagine, non a caso divenuti
modello dell'intervento contro la criminalità
organizzata a livello mondiale.
Per quanto riguarda il
secondo aspetto, è opportuno il riferimento alla disciplina
dell'utilizzo della prova dichiarativa, quale si è
venuto modellando nel tempo a seguito dei vari interventi
riformatori. La transizione del processo penale italiano dal modello
inquisitorio a quello (tendenzialmente) accusatorio non può
certo dirsi conclusa, n appare risolta dall'introduzione
del principio del "giusto processo" in Costituzione. Il
modello accusatorio, infatti, non si fonda soltanto sulla regola (pur
essenziale) del pieno contraddittorio, con conseguente limite
all'utilizzo probatorio degli atti di indagine, ma si basa su
un complesso sistema di regole e di equilibri che mirano a rendere
efficace lo strumento processuale, bilanciando le limitazioni
introdotte dalle regole formali di ammissibilità e
utilizzabilità. In particolare, i sistemi accusatori
tradizionali a fronte del principio della formazione della prova in
dibattimento prevedono forme di efficacia del processo che impongono
obblighi di lealtà verso la giustizia da parte dei difensori e
delle persone private (a partire dall'obbligo di verità
per l'imputato che decide di rispondere), nonch
strumenti di impulso e di conservazione della prova dichiarativa.
Tali strumenti non sono patrimonio del rito penale italiano, così
che i principi di prova acquisiti nella fase delle indagini non
offrono alcuna garanzia di effettività in sede processuale.
Ecco, dunque, che il
sommarsi della debolezza degli strumenti processuali alla forza delle
associazioni criminali e alla complessità dei fenomeni
criminosi costituiscono le premesse per un ampio ricorso da parte
della magistratura allo strumento delle intercettazioni. E, si noti,
ben maggiori di quelle autorizzate dai magistrati sono le richieste
di ricorso a tale strumento di indagine e di prova da parte delle
diverse forze di polizia, che assai spesso ritengono di non possedere
risorse umane e dotazioni tradizionali sufficienti per fronteggiare
il numero e la complessità dei possibili reati su cui
dovrebbero investigare.
Ciò detto, appare
evidente al Consiglio superiore che occorrerebbe procedere con molta
attenzione ad analisi comparative su scala internazionale circa la
rilevanza del ricorso alle intercettazioni. Se è vero, infatti
che pochissimi paesi europei devono fronteggiare una criminalità
organizzata endemica e diffusa come quella italiana, ben si comprende
che un mero confronto circa il numero di utenze intercettate appare
fuorviante. Lo stesso dicasi con riferimento ad altre forme
criminose, come la corruzione, che assumono nel nostro paese
connotati non episodici e che presentano dimensioni e diffusione
certo non invidiabili.
Ma vi è un altro
elemento che deve essere considerato e che pone la situazione
italiana in posizione non facilmente comparabile con altri paesi. A
differenza di quanto avviene altrove, infatti, nessuna autorità
pubblica, neppure i servizi di sicurezza, sono autorizzati dalla
legge italiana ad effettuare a propria discrezione attività di
intercettazione delle comunicazioni telefoniche o tra presenti. Il
che significa che tutte le attività di intercettazione debbono
passare al vaglio della magistratura, anche le attività aventi
finalità di prevenzione e di sicurezza, non svolte nell'ambito
di una investigazione penale e non utilizzabili in sede processuale.
Non è così in altri paesi di democrazia avanzata, come
la Francia, il Regno Unito o gli Stati Uniti, i quali prevedono
secondo diverse modalità la possibilità per gli
apparati di sicurezza di procedere alle attività di
intercettazione e di ascolto senza che sia necessaria
un'autorizzazione giurisdizionale nei termini da noi
conosciuta, e ciò anche nell'evenienza che i risultati
delle attività di ascolto possano essere a certe condizioni
veicolati anche in sede processuale. Tali osservazioni servono a dire
che una parte delle utenze intercettate su autorizzazione della
magistratura italiana non rispondono a scopi processuali e che tale
differenza, unita ai diversi regimi processuali, impone di valutare
con prudenza le analisi comparative fondate su dati esclusivamente
quantitativi.
Nel complesso, dunque,
l'esigenza di limitare mediante nuove disposizioni di legge il
ricorso allo strumento delle intercettazioni non può esser
fatta derivare da una sua supposta dimensione patologica.
Merita poi attenta
considerazione il fatto che le limitazioni introdotte dal disegno di
legge sulla base di tali argomenti non operano per alcune tipologie
di reati, considerate dal legislatore particolarmente gravi. Seguendo
la logica delle scelte operate in altri recenti provvedimenti
normativi, anche in questo caso si tratta dei reati connotati da
particolare violenza (cui si aggiungono quelli commessi tipicamente a
mezzo del telefono), mentre restano soggette alle nuove limitazioni,
che pertanto escludono la possibilità di intercettazione,
fattispecie criminose che pure sono comunemente considerate di
particolare allarme sociale o risultano potenzialmente strumentali
alle forme di criminalità organizzata. In un certo senso,
dunque, anche il disegno di legge in esame sembra porsi nel solco
della politica del "doppio binario" processuale che il
Consiglio ha già avuto modo di valutare criticamente in
rapporto ai valori costituzionali.
4.b - I
riflessi sulla disciplina processuale di possibili abusi
nell'utilizzo e nella diffusione delle intercettazioni
telefoniche.
Premesso che appare non
corretto affrontare questo aspetto come se costituisse una ulteriore,
seppure indiretta, ragione di limitazione delle possibilità
stessa di procedere alle attività di intercettazione, il
Consiglio ritiene necessario osservare, in via preliminare, che in
nessun caso il timore di una possibile impropria diffusione dei
risultati delle intercettazioni può giustificare l'adozione
di regole che ostacolano o limitano il pieno e necessario utilizzo
processuale di quei risultati. Ne consegue che dovrebbe essere
valutato con grande prudenza ogni provvedimento volto ad espungere
dagli atti una parte delle conversazioni oppure a limitare in via
generale il loro impiego nel corpo di richieste del pubblico
ministero e dei provvedimenti del giudice. Ciò, ovviamente,
non significa che il legislatore non possa fornire indicazioni o
stabilire regole volte ad escludere ogni forma impropria di utilizzo
degli atti del procedimento o del processo, così che sono
certamente ammissibili interventi preventivi, quali la cancellazione
delle conversazioni non rilevanti, soprattutto se coinvolgono fatti o
persone estranei alla vicenda processuale.
Sotto questo profilo
potrebbero valutarsi diverse ipotesi, tra cui una pi rigorosa
disciplina del contraddittorio per la valutazione della rilevanza
delle conversazioni intercettate, anche con riferimento alle fasi del
procedimento, che tenda a rivalutare l'impianto originario del
codice procedurale, che ne prevedeva l'effettuazione nella fase
delle indagini.
Lo stesso dicasi per
forme dissuasive, quali l'inasprimento delle sanzioni per chi
viola tali regole.
Nell'ambito di tali
osservazioni, il Consiglio ritiene infine opportuno segnalare come le
soluzioni adottate dal disegno di legge appaiano talvolta
eccessivamente rigide e irragionevolmente sbilanciate sul versante
della tutela dei diritti di riservatezza. Tali caratteristiche delle
regole procedimentali possono comportare non ragionevoli ostacoli
all'efficacia stessa delle intercettazioni, aspetto questo che
sarà in seguito affrontato in modo pi specifico. Non
può essere, infine, omessa una considerazione sulla
circostanza che l'introduzione di nuove e pesanti formalità
attuative comporta per i magistrati e per l'intero ufficio
oneri scarsamente compatibili con la limitatezza delle risorse e con
la possibilità di una efficace gestione del procedimento e
dell'ufficio nel suo complesso. La tradizionale tendenza del
nostro legislatore a non farsi carico delle ricadute sulla
operatività del servizio provocate dalle regole di nuova
introduzione trova oggi un limite nella lettura moderna dell'art.97
e nel disposto dell'art.111 della Costituzione, disposizione
quest'ultima che mira ad un corretto bilanciamento fra le
esigenze del "giusto processo" e quella di "ragionevole
durata" del processo, secondo una impostazione che il
Presidente della Repubblica ha fatto propria nella nota del 20
gennaio 2006 con cui ha inviato alle Camere il testo di legge in tema
di modifiche del regime delle impugnazioni.
Fornito così il
quadro complessivo delle principali innovazioni, ritiene il Consiglio
di dover procedere ad un esame degli aspetti di maggiore complessità
o criticità della normativa contenuta nel disegno di legge,
anche in questo caso articolando l'analisi secondo argomenti
omogenei nei termini seguenti.
5. I presupposti e le
caratteristiche delle attività di intercettazione (artt.3 e 4)
5.1 - L'art. 3
del disegno di legge modifica il secondo comma dell'art.
266 c.p.p. Va evidenziato subito che, a seguito della mancata
modifica del primo comma, per le intercettazioni rimane
sostanzialmente immutato l'ambito applicativo; esse restano
così generalmente consentite nei procedimenti relativi ai
delitti non colposi per i quali è prevista la pena
dell' ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque
anni, nei delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è
prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque
anni, nei delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope, in
quelli concernenti le armi e le sostanze esplosive, in quelli di
contrabbando, nei reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva
attività finanziaria, molestia o disturbo alle persone col
mezzo del telefono, nei delitti riguardanti la pedopornografia.
Diversamente, a seguito della riscrittura del secondo comma si
determina un sensibile mutamento dei limiti di ammissibilità
delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti.
Ed infatti, viene
modificata la norma attualmente vigente che consente sempre
l'intercettazione di comunicazioni tra presenti in tutti i
procedimenti riguardanti i reati summenzionati, subordinandola alla
sussistenza del fondato motivo di ritenere che si stia svolgendo
l'attività criminosa solo allorquando la ricerca della prova
debba avvenire nei luoghi di privata dimora o assimilati indicati
dall'art. 614 c.p.. Il richiamo ai luoghi indicati dall'art.614
verrebbe ora eliminato, così che il fondato motivo di sospetto
di flagranza viene richiesto in modo ampio e generalizzato per tutti
i casi tipizzati dal primo comma. Questo nuovo regime limitativo, di
ordine generale, non si applica in tutte le ipotesi relative ai
procedimenti per reati di criminalità organizzata o
terrorismo, di pedopornografia e di iniziative turistiche volte allo
sfruttamento della prostituzione minorile; per tali reati viene così
prevista la possibilità indiscriminata di intercettazione
ambientale anche nei luoghi privati indicati dall'art.614,
senza cioè richiedere il fondato motivo di ritenere che in
quei luoghi si stia svolgendo l'attività criminosa.
Per effetto della
modifica sembra prendere corpo, pertanto, un regime normativo "a
doppio binario" relativo ai limiti di ammissibilità
delle intercettazioni ambientali, di talchè, per alcune
tipologie di reati si restringe il campo applicativo del mezzo di
ricerca della prova ai casi di effettivo e concreto sospetto della
flagranza, e per altre si allarga a dismisura la praticabilità
dell'intercettazione, sganciandola sia dal concetto di
flagranza che dalla natura dei luoghi in cui essa possa eseguirsi.
Ciò posto, è
da osservare che, se la scelta in questione comporta una maggiore
incisività dello strumento di ricerca della prova per i reati
che la stessa opinione pubblica internazionale giudica di particolare
gravità, risulta per contro ristretta in modo sensibile
l'efficacia dello strumento medesimo in relazione alle figure
criminose contemplate nell'art. 266, primo comma, c.p.p., che
certamente contemplano anche ipotesi di grande rilievo.
A tale proposito appare
necessario sottolineare la inevitabile molteplicità degli
elementi che debbono essere presi in considerazione dal legislatore
per valutare il punto di bilanciamento fra la tutela del diritto
della persona alla riservatezza e la necessità di ricorrere a
strumenti d'indagine e di prova invasivi. Accanto ai livelli di
pena e di violenza delle condotte, che certo connotano le ipotesi pi
gravi richiamate dall'art.3 in esame, il legislatore dovrebbe
tenere in debita considerazione altri elementi, quali l'offensività
dei fatti rispetto agli interessi collettivi, il rilievo della
ricaduta dei reati sul tessuto sociale e sulle istituzioni, le
difficoltà di acquisizione degli elementi probatori. Sotto
questo profilo appare, dunque, opportuno un ripensamento delle
soluzioni adottate dal disegno di legge che escludono in via generale
il ricorso alle attività di intercettazione nei procedimenti
per fattispecie criminose di grande rilievo sociale che l'esperienza
dimostra essere accertabili in molti casi soltanto ricorrendo a
quelle attività. Sotto questo profilo può dirsi
smentito lo stesso assunto della relazione introduttiva che fa leva,
pure a fronte del mutato quadro, sulla "inalterata funzionalità
dello strumento", cosa che, alla luce di quanto osservato, non
pare invece garantita.
Parimenti, anche se sotto
profilo diverso, avrebbe meritato maggiore attenzione nella relazione
di accompagnamento la scelta di allargare l'utilizzo delle
intercettazioni ambientali per i delitti di maggiore gravità.
Pur comprendendosi le ragioni di tale intervento, pi
opportunamente il legislatore avrebbe dovuto farsi carico di una pi
approfondita motivazione dell'adeguatezza costituzionale del
punto di equilibrio individuato in concreto tra le tutele accordate
dall'art.15 ai diritti individuali e l'ampiezza delle
possibilità di ricorso agli strumenti di intercettazione.
Sembra, nel contempo, che
l'intervento legislativo abbia anche smarrito un'occasione
utile per una compiuta definizione del concetto di luogo di privata
dimora mutuato, per relationem, dall'art. 614 c.p. Gli
orientamenti spesso ondivaghi della giurisprudenza avevano
evidenziato a tale proposito l'esigenza di porre dei punti di
arresto interpretativo (si pensi, in proposito, ad esempio, agli
orientamenti in tema di bagno di un locale pubblico, su cui, v. Cass.
pen., sez. VI, 23 gennaio 2003; di abitacolo di una autovettura, su
cui, tra le altre, v. Sez. VI, 18 febbraio 2003 e Sez. VI, 22 gennaio
2001).
5.2 - L'art. 4
del disegno di legge modifica variamente l'art. 267
c.p.p.. Nel primo comma, oltre a prevedersi, come fa la norma oggi in
vigore, che l'autorizzazione a disporre le operazioni di
intercettazione è data con decreto motivato quando vi sono
gravi indizi di reato e l'intercettazione è
assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle
indagini, si precisa che detta indispensabilità deve evincersi
non soltanto dal contenuto dell'intercettazione ma anche da
altri elementi che il provvedimento autorizzatorio deve
"espressamente ed analiticamente" indicare. E'
altresì richiesto che l'autorizzazione rivesta i
caratteri della contestualità, non ammettendo la possibilità
di successivi interventi modificativi o sostitutivi. Gli stessi
caratteri sono richiesti al decreto motivato di urgenza emesso dal
pubblico ministero ai sensi dell'art. 267, comma 2, c.p.p..
Viene quindi introdotto,
attraverso il nuovo comma 1-ter, il limite soggettivo della
sottoponibilità ad intercettazione del solo indagato, fatta
eccezione per alcuni reati di enorme allarme sociale previsti dagli
artt. 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p., 407, comma 2,
lett. a) c.p.p., 600 ter c.p. e 600 quinquies c.p.,
oltre che per i reati di ingiuria, minaccia, molestia a mezzo
telefono, per i quali, invece, l'intercettazione resta
possibile anche per i non indagati.
Orbene, è del
tutto evidente che dette restrizioni alle possibilità
operative delle intercettazioni, per quanto possano essere funzionali
rispetto all'obbiettivo della maggiore tutela della privacy
soprattutto dei non indagati, si pongono come totalmente
disfunzionali rispetto al raggiungimento dell'obbiettivo
dell'incisività delle indagini, essendo stati aperti
varchi di assoluta inefficienza dell'intero strumento di
ricerca della prova. Va evidenziata a tale proposito la non
ragionevolezza di alcuni limiti per come vengono introdotti, quali
l'assoluta esclusione dell'ascolto su utenze di persone
non indagate; tale regola non solo premia la fittizia intestazione a
terzi delle utenze fisse e mobili di pertinenza di un indagato, ma
agevola da parte dell'indagato stesso l'elusione delle
possibili intercettazioni mediante l'utilizzo di utenze
effettivamente riferibili a persone fisiche o giuridiche diverse. E
non sfugge che non mancavano nel sistema processualpenale
accorgimenti, già pi che sufficienti, volti a tutelare
le persone che, pur non essendo indagate, venivano coinvolte dalle
intercettazioni, sicch al loro inconsapevole interessamento
soccorrevano rimedi già operativi, quali ad esempio quello
previsto all'art. 270 c.p.p..
Ne consegue che la scelta
legislativa in esame, volendo rafforzare la tutela di interessi
comunque tutelati in altra e, a giudizio del Consiglio, non meno
efficace maniera, finisce con l'indebolire oltremodo lo
strumento processuale dell'intercettazione, con la conseguenza
di orientarlo troppo verso la difesa della riservatezza e troppo poco
verso il raggiungimento dei suoi obbiettivi primari e naturali,
quello cioè di dare concreta attuazione al principio fissato
nell'art.112 della Costituzione e quello dell'effettività
della ricerca della prova al fine di reprimere dei reati e di
prevenirne altri. Al riguardo, se è vero che le modalità
di bilanciamento degli interessi in gioco sono rimesse al
legislatore, non può evitarsi di rilevare che si è in
presenza di uno sbilanciamento, che potrebbe non apparire
ragionevole, anche sulla base dell'orientamento pi
volte manifestato dalla Corte costituzionale in tale materia.
Nel medesimo senso
sembra, inoltre, dirigersi la introduzione di un limite massimo della
durata dei periodi di intercettazione. Per il vigente comma 3
dell'art. 267 c.p.p. la durata delle attività non può
superare i quindici giorni, esse possono essere prorogate dal giudice
con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni,
sempre che ne permangano i presupposti. Diversamente, per effetto
della modifica legislativa la durata massima derivante dalle proroghe
non può superare i tre mesi. Si tratta di un periodo di tempo
che non trova specifica giustificazione e che non appare rispettoso
delle specifiche esigenze di indagine, risultando così
irragionevolmente uniforme rispetto alla varietà dei reati e
irragionevolmente rigido.
Parimenti appare
eccessivamente limitativa e non giustificabile in maniera convincente
l'introduzione dei caratteri della non modificabilità e
della non sostituibilità in via successiva del decreto
motivato di autorizzazione, visto che essa finisce con l'avere
un'indubbia ricaduta in negativo sui poteri del tribunale del
riesame, al quale la stessa Cassazione ha finora riservato la
possibilità di emendare, in sede di giudizio di riesame
dell'ordinanza coercitiva, il vizio di motivazione del decreto
di autorizzazione dell'intercettazione, salvi, naturalmente, i
casi in cui quest'ultimo sia totalmente sfornito di motivazione
o ne abbia una meramente apparente o di stile (in tal senso vedasi,
tra le altre, Sez. VI, 11 maggio 2005, n. 232041, Longoni,; Sez. V, 5
luglio 2004, n.230021, Inastasi; Sez. III, 8 novembre 2002, n.223197,
Bosch,; Sez. V, 7 dicembre 1999, n.215528, Molinari,). Tale
restrizione degli ordinari poteri di intervento del tribunale del
riesame appare in contrasto con le finalità e le
caratteristiche di tale giudice, per giunta privato anche di
qualsiasi possibilità di un intervento rescindente.
5.3 - Il comma 8
dell'art. 4 del disegno di legge, inoltre, abroga
formalmente l'art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152,
convertito con modificazioni nella l. 203 del 1991, per i reati di
criminalità organizzata o di minaccia con il mezzo del
telefono.
In sostanza, la modifica
si limita a richiamare le regole fondamentali previste da detta
norma, che era nata in veste espressamente derogatrice rispetto
all'art. 267 c.p.p., riportandole nell'alveo di
quest'ultimo articolo. Con scelta che appare condivisibile, si
ribadisce che per detti reati, cui si aggiungono quelli di
terrorismo, l'intercettazione può protrarsi per 40
giorni ed essere prorogata per periodi successivi di 20 giorni, senza
la fissazione di alcun tetto massimo diverso dalla conclusione delle
indagini. La deroga alla norma codicistica continua, così, ad
estrinsecarsi nel fatto che le intercettazioni possono essere
autorizzate in presenza di sufficienti indizi di colpevolezza e
possono essere disposte quando siano necessarie e non solo allorch
siano assolutamente indispensabili. Per le intercettazioni ambientali
la norma prevede che esse possono essere autorizzate a prescindere
dal fondato motivo di ritenere che nei luoghi previsti dall'art.
614 c.p. si stia svolgendo l'attività criminosa. Inoltre
l'esecuzione delle operazioni può essere compiuta non
necessariamente da ufficiali di p.g. ma anche da agenti. Tale ultima
disposizione appare al Consiglio condivisibile e opportuna, ma questa
valutazione impone di segnalare come la diversa regola introdotta in
via generale non solo appare non necessaria e poco convincente sul
piano dei principi, ma comporterà per gli uffici e per le
forze di polizia rilevanti problemi organizzativi e serie difficoltà
operative, come può dedursi dalla non compatibilità fra
le dotazioni di personale a disposizione delle sezioni di polizia
giudiziaria, e pi in generale messo a disposizione dai
servizi territoriali, e la previsione normativa che impegna in modo
assai pi significativo il personale con qualifica di
ufficiale di polizia giudiziaria.
6. Le forme e le
modalità delle attività di intercettazione (artt.5, 6,
8.comma 1 e 13)
6.1 - L'art. 5
apporta significative modifiche alla disciplina dettata
dall'art. 268 c.p.p., con riguardo alle modalità
esecutive delle operazioni di intercettazione ed agli adempimenti
successivi all' espletamento delle stesse operazioni, posti a
carico della polizia giudiziaria e del pubblico ministero; viene
altresì ridisegnata la procedura di acquisizione al fascicolo
processuale degli esiti delle operazioni di captazione, con la
previsione di uno specifico procedimento camerale aperto al
contraddittorio delle parti.
Tanto premesso, appare
opportuno procedere separatamente all'analisi delle modifiche
apportate alle diverse disposizioni contenute nell'art. 268
c.p.p..
a) Resta
immodificato l'obbligo di redazione dei verbali relativi
alle operazioni di intercettazione, mentre viene introdotta una
specifica previsione relativa alle modalità di custodia dei
verbali e dei supporti relativi alle registrazioni; infatti, i
verbali ed i supporti contenenti le registrazioni devono ora essere
custoditi nell'archivio riservato di cui al novellato
art. 269 c.p.p.; l'art. 8 del disegno di legge n. 3612,
interpolando l'art. 269, comma 1, c.p.p., prevede infatti
l'istituzione di un archivio riservato tenuto presso
l'ufficio del pubblico ministero che ha disposto
l'intercettazione, "con divieto di allegazione anche
solo parziale al fascicolo". Tale ultima disposizione
sembra orientata a ridurre i rischi di diffusione di notizie e di
contenuti delle attività di intercettazione, ma appare
eccessivamente condizionata dall'attualità. Il divieto
generale di allegazione anche al fascicolo del pubblico ministero
costituirà certamente fonte di gravi difficoltà
operative per il magistrato e di incertezze interpretative con
riferimento, ad esempio, agli atti urgenti ed ai provvedimenti
interlocutori che presuppongono l'esame e l'utilizzo dei
risultati delle intercettazioni e che possono richiedere l'inoltro
di questi al giudice delle indagini preliminari ed ai successivi
giudici di controllo. A tale proposito il Consiglio ritiene
opportuno dare atto della circostanza che è ormai patrimonio
largamente diffuso dei magistrati inquirenti la consapevolezza della
opportunità di non includere nelle richieste di provvedimenti
cautelari i risultati delle intercettazioni che non siano pertinenti
e quelli che senza alcuna rilevanza probatoria chiamino in causa
terze persone, così come dimostrano anche i documenti presenti
agli atti della pratica consiliare e provenienti da esponenti della
giurisdizione (cfr. nota del Procuratore generale presso la Corte di
appello di Roma in data 9 giugno 2004 e 3 agosto 2005).
b) Le disposizioni
relative alla redazione dei verbali, che nell'impianto
originario del codice di rito penale erano contenute nell'art.
89, comma 1, disp. att. c.p.p., sono state inserite nel secondo comma
dell'art. 268 c.p.p.. Oltre alle indicazioni già
previste, il legislatore richiede oggi che nel verbale siano altresì
"annotati cronologicamente, per ogni comunicazione
intercettata, i riferimenti temporali della comunicazione e quelli
relativi all'ascolto".
La voce relativa alla
annotazione del giorno e dell'ora di inizio e di cessazione
dell'intercettazione si arricchisce di contenuto: viene ora
richiesto l'inserimento nel verbale di dati che appaiono
certamente utili per la migliore contestualizzazione delle
comunicazioni intercettate e, quindi, per la valutazione del
materiale probatorio così ottenuto. E' rimasta la
previsione della trascrizione sommaria del contenuto delle
comunicazioni intercettate (il c.d. brogliaccio d'ascolto);
si tratta di materiale di consultazione intrinsecamente provvisorio
ed interlocutorio, oggetto della complessa procedura giurisdizionale
di acquisizione e stralcio prevista dai commi 8 e 9 dell'art.
268 c.p.p. (infra, § h), i).
c) Il novellato comma
3 accorpa le disposizioni originariamente ripartite nei commi 3 e
3 bis. Con riguardo all'utilizzazione di impianti di pubblico
servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria viene ora
espressamente previsto che l'insufficienza o l'inidoneità
degli impianti installati nella procura della Repubblica sia
attestata dal funzionario responsabile del servizio di
intercettazione. Sul punto, deve rilevarsi che la giurisprudenza di
legittimità aveva ripetutamente affermato che l'accertamento
della carenza o inidoneità degli impianti installati presso
gli uffici della procura della Repubblica è di competenza del
PM; e che la mancata allegazione di una certificazione in merito non
costituisce motivo di inutilizzabilità del decreto di
intercettazione emesso dall'organo inquirente, ex art. 268,
comma 3 c.p.p., ove la ragione delle carenze degli impianti risulti
indicata nella parte motiva del decreto medesimo (vedi Cass. Sez.
Un., 26 novembre 2003 n. 919, Gatto; Cass. sez. VI, 16 giugno 2005 n.
28521, Ciaramitaro).
d) La disciplina
relativa alla trasmissione dei verbali al PM ed al successivo
deposito in segreteria resta sostanzialmente invariata; viene,
peraltro, prevista espressamente la possibilità che
l'eventuale proroga del tempo di deposito sia disposta dal
giudice "su istanza delle parti, tenuto conto del loro
numero, nonch del numero e della complessità delle
intercettazioni". L'espresso riferimento alla
"istanza delle parti" rappresenta evidentemente una
anticipazione dell'apertura del contraddittorio, che connota la
seguente fase giurisdizionale di acquisizione e stralcio delle
conversazioni.
e) Non vengono
apportate modifiche alla disciplina di autorizzazione
al ritardato deposito, se non per quanto concerne il dies
ad quem: il giudice autorizza il pubblico ministero a ritardare
il deposito dei verbali "non oltre la data di emissione di
avviso della conclusione delle indagini preliminari", e non
pi sino alla chiusura delle indagini stesse, come
originariamente previsto.
La modifica implica che
l'avviso di deposito all'indagato circa l'espletamento
di operazioni di intercettazione non possa tardare oltre il momento
di emissione dell'avviso ex art. 415 bis c.p.p.. Il
legislatore sembra voler dare piena effettività alla discovery
di cui all'art. 415 bis c.p.p.; sono stati, infatti,
contingentati i tempi per il ritardato deposito dell'avviso ex
art. 268, comma 5, c.p.p., al fine evidente di evitare che la
documentazione relativa alle indagini depositata ex art. 415 bis,
comma 2, c.p.p. risultasse incompleta, proprio con riguardo
all'avviso di espletamento delle operazioni di intercettazione.
f) Il comma 6
dell'art. 268 c.p.p. specifica il catalogo delle facoltà
già assegnate ai difensori delle parti, dal primo periodo
del testo previgente; viene, infatti, precisato che i difensori hanno
facoltà di prendere visione "dei verbali e dei
decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato
l'intercettazione". In questa fase, è vietato
il rilascio di copia dei verbali, dei supporti e dei decreti.
g) Viene sancito
il divieto di disporre lo stralcio delle registrazioni e dei
relativi verbali prima del deposito dei verbali delle registrazioni
previsto dal comma 4 dell'art. 268, c.p.p.; la norma tutela il
diritto delle parti a conoscere l'esito delle operazioni di
captazione espletate.
h) I commi 8 e 9,
che qui si analizzano unitariamente, disciplinano la procedura
giurisdizionale di selezione dei colloqui e delle comunicazioni
rilevanti che debbano refluire nel fascicolo per il dibattimento
(art. 431 comma 1, c.p.p.), disposizioni precedentemente contenute
nella seconda parte del comma 6 e nel comma 7. Il legislatore prevede
ora la celebrazione di una specifica udienza camerale, nel rispetto
delle forme di cui all'art. 127 c.p.p..
La modifica appare
rilevante sotto diversi profili. In primo luogo si osserva che il
richiamo espresso alla disciplina dell'udienza in camera di
consiglio ex art. 127 c.p.p. sancisce il diritto delle parti, oltre
che dei loro difensori, di partecipare al procedimento. Oltre a ciò,
la nuova disciplina sembra espressamente finalizzata a privilegiare
una acquisizione del materiale conoscitivo, prodotto della attività
di captazione, anteriormente alla fase processuale e nell'ambito
della specifica udienza camerale sopra richiamata. La riforma
tratteggia, invero, una competenza funzionale del giudice delle
indagini preliminari rispetto alla acquisizione delle conversazioni e
dei flussi di comunicazioni, che porta ad escludere l'esperibilità
della procedura nel corso dell'udienza preliminare.
Come si vede, il
legislatore inserisce nella fase delle indagini preliminari una
ulteriore ipotesi di contraddittorio anticipato sulla prova.
L'evenienza suscita pi di una perplessità: da un
lato, l'apertura del contraddittorio sulla acquisizione delle
conversazioni in una fase del procedimento in cui l'imputazione
è ancora fluida, non sembra in concreto mettere le parti in
condizione di esercitare efficacemente il diritto di difesa; ed il
medesimo ordine di considerazioni porta a ritenere che lo stesso GIP,
chiamato a selezionare le trascrizioni da inserire nel fascicolo per
il dibattimento, ovvero da stralciare, non possa in assenza
dell'intero fascicolo del pubblico ministero possedere
l'adeguato bagaglio conoscitivo; dall'altro, la
previsione di una udienza camerale, a fissazione necessaria, per il
caso in cui siano state autorizzate operazioni di intercettazioni
aggrava sensibilmente, sul piano funzionale, gli incombenti a carico
della cancelleria e dello stesso ufficio del giudice delle indagini
preliminari. Come già accennato, si introducono obblighi e
adempimenti che risultano scarsamente compatibili con le risorse a
disposizione degli uffici giudiziari e che comporteranno un aggravio
di complessità ed un inevitabile allungamento dei tempi del
procedimento. E' questa circostanza che non certo priva di
rilievo e che meriterebbe pi attenta considerazione da parte
del legislatore.
i) L'ultimo
comma dell'art. 268 c.p.p. non contiene modiche sostanziali
rispetto alla disciplina previgente dettata dal comma 8.
6.2 - L'art. 6
disciplina l'avviso a persone non indagate. Tale
disposizione inserisce nel codice di rito penale l'art.
268-bis, rubricato: Avviso a persone non indagate. A mente di
tale disposizione, il pubblico ministero dà avviso con piego
chiuso raccomandato dell'avvenuto deposito di cui all'art.
268 comma 4, c.p.p., nonch di ogni eventuale provvedimento di
stralcio delle registrazioni, "ai soggetti diversi da quelli
nei confronti dei quali si procede, che non risultino indagati in
procedimenti connessi o collegati".
Si tratta di un inedito
strumento processuale volto ad offrire migliore tutela al diritto
alla riservatezza dei cittadini non indagati che abbiano avuto
contatti con soggetti sottoposti ad intercettazione e che, per tale
ragione, risultino indicati nei verbali di esecuzione delle
operazioni e coinvolti nelle registrazioni. La regola soffre una
eccezione, qualora si proceda per i gravi reati richiamati nell'art.
407, comma 2, lett a), c.p.p. nonch per il delitti ex art.
600-ter (pornografia minorile) e 600-quinquies c.p.
(sfruttamento della prostituzione minorile). Il legislatore ha
individuato così un punto di bilanciamento rispetto alle
esigenze di funzionalità dello strumento operativo delle
intercettazioni, con riferimento alla azione di contrasto e
repressione delle pi gravi forme di reato. I soggetti
destinatari dell'avviso possono richiedere l'eventuale
distruzione delle intercettazioni delle comunicazioni telefoniche
stralciate in quanto manifestamente irrilevanti ai fini
investigativi.
6.3 - L'art. 8,
comma 1 introduce modifiche all'art. 269 c.p.p. Come si è
visto analizzando il novellato art. 268 comma 1, c.p.p., i verbali ed
i supporti contenenti le registrazioni devono ora essere custoditi
nell'archivio riservato previsto dall'art. 269,
comma 1 c.p.p., come novellato dall'art. 8 del disegno di legge
in esame. Il nuovo archivio riservato va tenuto presso
l'ufficio del pubblico ministero che ha disposto
l'intercettazione, "con divieto di allegazione anche
solo parziale al fascicolo". Stabilisce ora l'art.
269, comma 2, che le registrazioni, conservate fino al passaggio in
giudicato della sentenza, siano distrutte con le forme già
previste dal comma 3 del medesimo articolo. Il legislatore, al fine
di prevenire divulgazioni indebite del materiale provento di
intercettazione, non solo ha previsto l'istituzione di un
apposito "archivio riservato", ma ha altresì
sancito un generalizzato obbligo di distruzione dei supporti
contenenti le registrazioni, una volta venute meno, con il passaggio
in giudicato della sentenza, immediate esigenze afferenti allo
svolgimento del processo. La disciplina ora richiamata suscita invero
perplessità. Sul piano processuale si osserva il mancato
coordinamento della novella con l'istituto della revisione, che
presuppone la possibilità di una nuova lettura del materiale
probatorio acquisito al fascicolo processuale. La generalizzata
previsione di un obbligo di distruzione delle registrazioni sembra,
invero, ostacolare la valutazione dell'incidenza di eventuali
nuove prove sull'insieme di "quelle già
valutate", secondo quanto previsto dall'art. 630,
comma 1, lett. c), c.p.p.. N va dimenticato che la
distruzione dei supporti ancorata all'esito del singolo
processo non tiene in debito conto la possibilità che le
intercettazioni abbiano rilevanza in procedimento diverso e che tale
rilevanza venga accertata solo in un secondo tempo; tali elementi
assumono oggi un rilievo particolare ove si consideri che attraverso
il ricorso ai riti alternativi il singolo procedimento può
avere tempi di definizione relativamente brevi.
Infine, appare evidente
che le modifiche introdotte all'art. 269 c.p.p. si risolvono in
mere norme di salvaguardia, di natura emergenziale e scarsamente
meditate, rispetto agli obblighi di segretezza già previsti
dal codice di rito.
6.4 - L'art. 13
introduce modifiche all'art. 89 disp. att. c.p.p. Con
riferimento alle modifiche apportate dal disegno di legge in esame
all'art. 89 disp. att. c.p.p., si rimanda a quanto sopra
rilevato analizzando il novellato art. 268, comma 2, c.p.p..
7 - Le forme di
pubblicità e i limiti di utilizzazione delle intercettazioni
(artt.8, comma 2, 9, 10 e 11)
7.1 - L'art.
8, secondo comma, del disegno di legge governativo prevede una serie
di modifiche alla legge n. 47 dell'8 febbraio 1948 (cd legge
sulla stampa) volte a marcare pi incisivamente il dovere
di rettifica nei casi previsti dalla legge.
La lettera a) prevede
l'introduzione delle parole "senza commento"
accanto al dovere di pubblicazione delle dichiarazioni e delle
rettifiche di cui al comma 1 dell'art. 8 della legge sulla
stampa. La previsione mira, evidentemente a far sì che le
rettifiche e le dichiarazioni vengano pubblicate dai quotidiani in
modo asettico per conferire ad esse maggior risalto. Tuttavia va
fatto notare che una limitazione di tal genere viola, con tutta
evidenza, l'art. 21 della Costituzione, laddove aggiunge un
condizionamento alla libertà di espressione, e quindi anche di
commento, che non trova spazio nel nostro ordinamento costituzionale.
Peraltro deve aggiungersi che si tratterebbe di una previsione in
gran parte eludibile se solo si pensa alla possibilità di
collocare in modo, anche solo, graficamente distinto dalla rettifica
il commento della redazione.
La lettera b) prevede
solo un adattamento della norma di cui all'art. 8 della legge
sulla stampa, che disciplina appunto le risposte e le rettifiche,
alle trasmissioni radiofoniche e televisive, nonch ai siti
informatici.
La lettera c) invece
prevede la possibilità di far provvedere, su richiesta della
persona offesa, il direttore o l'autore, per la stampa non
periodica, alla pubblicazione a loro cura e spese su non pi
di due quotidiani a tiratura nazionale delle dichiarazioni o delle
rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai
quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi
ritenuti lesivi della loro reputazione o contrari a verità,
purch le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto
di rilievo penale. La pubblicazione in rettifica deve, inoltre,
essere effettuata entro sette giorni dalla richiesta con idonea
collocazione e caratteristica grafica e deve inoltre fare chiaro
riferimento allo scritto che l'ha determinata.
In tale caso sembrano
sovrapporsi vari piani, quello strettamente penalistico con quello
della correzione delle pubblicazioni disciplinato dall'art. 8
della legge sulla stampa. I riferimenti, infatti, alla "persona
offesa" ed alla "reputazione" sembrano presupporre
un accertamento penale conseguente alla commissione di un reato,
mentre il contesto nel quale si iscrive la norma attiene, pi
propriamente, ad un dovere di corretto esercizio della professione
con rilievo pubblicistico. A causa della segnalata sovrapposizione di
piani potrebbe quindi facilmente determinarsi una confusione
applicativa che potrebbe riverberarsi sul terreno giudiziario.
Infine, la lettera e)
prevede che della procedura di rettifica possa avvalersi anche
l'autore dell'offesa, qualora il direttore responsabile
del giornale o del periodico, il responsabile della trasmissione
radiofonica, televisiva o delle trasmissioni informatiche o
telematiche non pubblichino la smentita o la rettifica richiesta.
Inoltre dell'avvenuta violazione dell'obbligo di
pubblicazione l'offeso dà notizia al titolare del potere
disciplinare che, verificata la violazione e sentito il responsabile,
ne ordina la sospensione dall'attività fino a tre mesi.
Anche in questo caso,
impropriamente, si fa riferimento a una "offesa"
dell'autore e altrettanto impropriamente si attribuisce
all'offeso la facoltà di dare notizia al titolare
dell'azione disciplinare della pretesa violazione dell'obbligo
di rettifica.
Deve, peraltro,
evidenziarsi che una violazione dell'obbligo presupporrebbe il
previo accertamento di quest'ultimo che dovrebbe essere
affidato a un giudice.
7.2 - L'art. 9
del disegno di legge governativo modifica l'art. 270 del codice
di procedura penale ed amplia l'area dell'inutilizzabilità
dei risultati di intercettazioni disposte in procedimenti diversi da
quelli nei quali sono stati disposti, mediante una tecnica di
identificazione specifica dei delitti per il cui accertamento
giudiziale l'utilizzabilità sarebbe ancora consentita.
L'indicazione nominativa delle fattispecie di reato per le
quali l'utilizzazione è possibile oltre i confini del
procedimento originario, restringe significativamente l'ambito
dell'utilizzabilità rispetto alla disciplina vigente che
- come è noto - ancora l'utilizzazione alla
circostanza che le intercettazioni siano indispensabili
all'accertamento di un delitto per il quale è
obbligatorio l'arresto in flagranza.
Si tratta, all'evidenza,
di una scelta estremamente rischiosa, perch può
condurre ad escludere irrazionalmente delitti, anche particolarmente
gravi, sfuggiti alla ricognizione, dalla possibilità di
accertamento mediante l'uso di esiti intercettazioni disposte
altrove.
7.3 - L'art. 10
del disegno di legge modifica l'art. 271 c.p.p. nella parte
che disciplina i divieti di utilizzazione delle intercettazioni. Si
prevede, al primo comma, la integrazione delle ipotesi in cui i
risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati
attraverso l'ampliamento anche ai casi in cui non siano state
osservate le disposizioni di cui ai commi 6, 7 e 8 dell'art.
268 c.p.p.
Viene in tal modo estesa
l'inutilizzabilità anche a violazioni minori ed
esclusivamente formali della legge processuale, pi volte
ritenute irrilevanti dalla giurisprudenza, anche a Sezioni Unite,
della Corte di cassazione. L'attuale disciplina prevede,
infatti, l'inutilizzabilità processuale delle
intercettazioni nei casi di violazione dell'articolo 267 c.p.p.
(presupposti e forme del provvedimento) e di mancata osservanza dei
commi 1 e 3 dell'art. 268 c.p.p. che attengono a profili
esecutivi delle intercettazioni, come la redazione del verbale delle
operazioni, oppure alle modalità esecutive delle operazioni
captative che, per la legge, devono di regola svolgersi per mezzo
degli impianti installati presso la Procura della Repubblica.
L'intento di ampliare, oltre il ragionevole, le ipotesi di
inutilizzabilità rischia di determinare forti ricadute
sull'esercizio e l'efficacia dell'azione
giudiziaria e, nel contempo, un aumento delle impugnazioni per pure
violazioni formali della fase successiva all'esecuzione delle
intercettazioni. A ben guardare i commi 6, 7 e 8 dell'art. 268
c.p.p. disciplinano una cadenza di adempimenti formali che riguardano
gli avvisi e le operazioni di trascrizione delle intercettazioni,
nonch l'estrazione di copie delle trascrizioni, tutte
attività, in definitiva, che attengono ad una fase
indipendente e successiva all'acquisizione delle comunicazioni
intercettate e che non interferiscono con la legittimità e
genuinità dei suoi contenuti. Prevedere, quindi, che dalla
inosservanza di un qualunque adempimento formale debba dipendere
l'utilizzabilità del materiale informativo raccolto a
fini di indagine, indipendentemente dalla sussistenza di un vizio
genetico dell'atto, è da valutare con estrema
perplessità, soprattutto nei casi in cui l'irregolarità
non comporta l'elusione del contraddittorio oppure il venir
meno dei presupposti essenziali delle intercettazioni, n la
compressione dei diritti di libertà della persona.
La disposizione,
peraltro, è sospetta di incostituzionalità, nella
misura in cui frustra, in sostanza, i fini del mezzo di ricerca della
prova, e per ciò stesso l'attuazione della giurisdizione
penale, assicurata, secondo la giurisprudenza costituzionale,
dall'art. 112 Cost. Infatti, l'esasperata e irrazionale
sistemazione che vorrebbe inficiati i risultati di un'intercettazione
per il solo mancato adempimento di formalità del tutto
secondarie rispetto al fine di garanzia delle libertà
sacrificate con l'intrusione nella vita privata costituita
dalla captazione delle conversazioni o comunicazioni private,
potrebbe condurre, nell'ambito dello stesso processo contro pi
soggetti, a ritenere utilizzabili, o non, nei confronti di questo o
quell'imputato, i risultati dell'intercettazione, secondo
che per l'uno le formalità siano state soddisfatte e per
l'altro non lo siano state, mentre il contenuto della
conversazione è un fatto oggettivo, eguale per entrambi gli
imputati. Con la conseguenza che dei due o pi correi alcuni
verrebbero condannati e altri assolti in riferimento a circostanze
del tutto occasionali nell'ambito di attività di
intercettazione in s legittime e corrette. Viceversa
l'utilizzazione dei risultati di un'intercettazione può
essere razionalmente esclusa solo in riferimento a circostanze di
ordine oggettivo, che riguardino vizi connessi al fatto storico
dell'operazione, non a fatti di carattere soggettivo, estranei
alla ritualità del mezzo di ricerca della prova.
Il secondo comma
dell'art. 10 prevede, inoltre, che non possono essere
utilizzate le intercettazioni nell'ipotesi in cui la
qualificazione giuridica del fatto ritenuto dal giudice all'udienza
preliminare o al dibattimento non corrisponda ai limiti di
ammissibilità richiesti dall'articolo 266 c.p.p.. Si
tratta di un'insidiosa forma di inutilizzabilità.
Parrebbe, infatti, apparentemente corretta l'esclusione
dell'utilizzazione a fronte di una decisione giudiziale di
ridimensionamento dell'ipotesi accusatoria al di qua dei limiti
di ammissibilità ex art. 266 c.p.p.
Tuttavia resta aperto il
problema dei rimedi per il P.M. in caso di valutazione erronea del
giudice. E se all'errore del g.u.p. può porsi riparo con
una certa facilità, non altrettanto sembra possa farsi per
quello del giudice dibattimentale in caso di inutilizzabilità
delle intercettazioni come prove. Certo, vi è la possibilità
di un "recupero" nei successivi gradi di impugnazione,
anche se per il giudizio di cassazione l'ipotesi di
annullamento con rinvio per rinnovata valutazione delle prove
(comprese le intercettazioni non potute utilizzare), allungherebbe
notevolmente e senza alcuna ragione i tempi del processo, con palese
violazione del principio di ragionevole durata.
7.4 - L'art. 11
del disegno di legge in esame prevede l'integrazione
dell'art. 408 c.p.p., che disciplina la richiesta di
archiviazione per infondatezza della notizia di reato, con
l'inserimento di un obbligo di avviso alle parti ed ai soggetti
diversi da quelli nei confronti dei quali si procede, che non
risultino essere indagati in procedimenti connessi o collegati,
dell'avvenuta intercettazione di conversazioni e comunicazioni
telefoniche, o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche
concernenti apparecchi o utenze ad essi intestati. L'avviso,
peraltro, contiene la mera notizia dell'avvenuta
intercettazione, la durata e il numero della utenza intercettata. Di
detto materiale raccolto non può, nel caso sopra previsto,
essere presa visione o rilasciata copia.
Per la verità la
norma prevede alcune eccezioni alla regola, per i reati di cui
all'art. 407, comma 2 lettera a) e 600 ter e 600
quinques c.p., e tuttavia di essa sfugge la ratio
ispiratrice. Salvo rappresentare una norma di generale cautela
nell'uso delle conversazioni, che però appesantisce
ulteriormente di adempimenti gli uffici giudiziari già oberati
di molte attività non sempre indispensabili. Va, peraltro,
notato che non sembra esservi conseguenza alcuna in caso di omissione
del prescritto avviso.
8. I casi di
astensione, il regime delle pubblicazioni e il trattamento
sanzionatorio delle
violazioni (artt.1, 2,
12 e 14)
Il disegno di legge in
questione, oltre a modificare gli articoli da 266 a 271 del codice di
procedura penale e l'art.89 delle disposizioni di attuazione,
di coordinamento e transitorie dello stesso codice, che disciplinano
la materia delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonch
l'art.408 c.p.p., opera ulteriori modifiche sulla pubblicità
degli atti processuali, sull'astensione del giudice e la
sostituzione del pubblico ministero, sulla responsabilità
penale per i reati di cui agli artt.326 e 684 c.p. ed in tema di
responsabilità degli enti.
8.1 - La modifica
apportata dall'art.1 del disegno di legge agli artt. 36 e 53
del codice di procedura penale, secondo quanto risulta dalla
relazione di accompagnamento, intende rafforzare l'imparzialità
dell'autorità giudiziaria nell'esercizio
dell'attività giurisdizionale, con l'introduzione
di uno specifico obbligo di astensione per il giudice che rilascia
dichiarazioni concernenti il procedimento affidatogli e di
sostituzione del pubblico ministero in tali casi da parte del
Procuratore della Repubblica o del Procuratore generale, così
come nell'ipotesi in cui il P.M. risulti indagato del reato ex
art.326 c.p.
Analizzando separatamente
le due modifiche, quella relativa all'art.36 si presenta in
termini molto netti, essendo così formulata: "se ha
pubblicamente rilasciato dichiarazioni concernenti il procedimento
affidatogli".
La disposizione, infatti,
è così applicabile non solo a quelle situazioni che
possono comportare la vera e propria violazione di un dovere di
riserbo del magistrato (ed evidentemente pure a situazioni che
attingono a livello di rilievo penale), ma anche a qualsiasi attività
dichiarativa lecita, purch svoltasi pubblicamente.
In pratica, la norma è
formulata in termini assoluti, non lasciando spazio neppure alle
ipotesi in cui vi può essere un giustificato motivo nel
rilascio della dichiarazione, dovuto ad esigenze di corretta
informazione dell'opinione pubblica sul procedimento, anche in
presenza di notizie che compromettono il prestigio e la credibilità
del magistrato.
A parere del Consiglio si
è in presenza di una disposizione che risolve in maniera
asistematica e non convincente il complesso tema del rapporto fra
obbligo di riservatezza del magistrato e tutela del di lui diritto di
espressione del pensiero, diritto che è oggetto di specifica
tutela costituzionale. Si tratta di argomento delicatissimo, su cui
il legislatore delegato ha assunto specifiche determinazioni dando
attuazione ai principi relativi alla materia disciplinare contenuti
nella legge delega 20 luglio 2005, n.150.
Nel parere reso dal
C.S.M. nella seduta del 18 gennaio 2006 sull'anzidetto decreto
delegato è stato affermato che "...è
diritto di ciascun magistrato difendere il proprio prestigio e la
propria credibilità in presenza di denigrazioni diffamatorie
che attengano all'esercizio delle funzioni giudiziarie al fine
di garantire una corretta e compiuta informazione ai cittadini (...)
Meriterebbe quindi uno spazio la possibilità di fornire
precisazioni e correzioni, fatto salvo evidentemente il segreto
d'ufficio, al fine di ristabilire la verità dei fatti.
In altre parole, ferma restando la affermazione dell'obbligo di
riserbo del magistrato, sarebbe opportuna una formulazione pi
attenta delle disposizioni, che tenga conto delle contrapposte
esigenze della riservatezza e della corretta informazione del
pubblico".
Anche alla luce di tali
considerazioni può affermarsi ora che la disposizione
contenuta nell'art.1 del disegno di legge in esame avrebbe il
significato di determinare una ricaduta della condotta del magistrato
addirittura sul procedimento, imponendogli uno specifico obbligo di
astensione che, se violato, darebbe luogo ad un illecito disciplinare
previsto dal decreto delegato ora ricordato.
L'assolutezza del
principio introdotto dal disegno di legge determinerebbe per il
magistrato la sostanziale impossibilità di opporre alcuna
replica in termini di corretta informazione anche nei riguardi di
notizie denigratorie sulla sua condotta nel procedimento o sulla
gestione dell'ufficio, perch questo determinerebbe
automaticamente l'obbligo di astenersi. Pi in generale,
poi, essa si risolverebbe in una non ragionevole forma di limitazione
dell'esercizio del diritto assicurato dall'art.21 della
Costituzione anche ai magistrati.
Tale effetto sembrerebbe
poi essere addirittura incongruo rispetto alla ratio della
norma, che è quella appunto di garantire e rafforzare il buon
andamento dell'attività giurisdizionale, anche in
funzione dell'espressa imparzialità dell'autorità
giudiziaria, perch un'attività dichiarativa
volta a riparare una non corretta informazione su un procedimento non
appare indebolire minimamente il buon andamento di un processo o
l'imparzialità del giudice, ma è anzi
ripristinatoria di questi corretti principi eventualmente lesi e di
conseguenza non deve comportare un obbligo di astensione da parte del
giudice.
In termini di ricaduta
nell'assetto ordinamentale, la norma incentiva evidentemente la
possibilità di sostituzione del giudice; infatti, in caso di
accoglimento della dichiarazione di astensione scattano le
disposizioni di cui agli artt.42 e 43 c.p.p.
Con la prima in
particolare, oltre ad inibire la possibilità del giudice di
compimento di atti del procedimento, si prevede che nel provvedimento
di accoglimento si stabilisca se ed in quali parti gli atti
precedentemente compiuti dal giudice astenutosi conservino efficacia
al fine di evitare un'integrale rinnovazione di tutti gli atti
procedimentali compiuti; col secondo, invece, si individua il
meccanismo della sostituzione del magistrato per il quale sia stata
accolta l'astensione, facendo rinvio alle norme di ordinamento
giudiziario ed in particolare al sistema tabellare che deve prevedere
l'indicazione dei giudici subentranti agli astenuti.
E' indubbio che la
norma determina una sottrazione del procedimento al giudice naturale,
inteso come giudice originario, cui spettava la decisione del
processo e, così, introduce un'ennesima ipotesi di
successiva attribuzione del processo in un sistema già
costellato di numerose fattispecie d'incompatibilità che
richiedono al procedimento di trasmigrare da un giudice ad un altro.
Sembra quindi ragionevole porre un qualche dubbio di legittimità
costituzionale della disposizione con riferimento ai principi fissati
dall'art.25 della Costrizione, così come letti e
affermati dallo stesso giudice delle leggi in plurime decisioni.
8.2 - La stessa ratio della modifica dell'art.36
sta alla base di quella dell'art.53 c.p.p., che accorda al
Procuratore della Repubblica o al Procuratore generale (a
quest'ultimo in un caso prestabilito) l'obbligo (e non la
facoltà come viene indicato nella relazione (nota
1)) di sostituire il pubblico ministero nell'udienza
sia nel nuovo caso di astensione introdotto nell'art.36 c.p.p.
sia nel caso d'iscrizione del magistrato nel registro degli
indagati per il reato di cui all'art.326 c.p. in relazione ad
atti del procedimento assegnatogli e sentito il capo dell'ufficio
competente ai sensi dell'art. 11 in merito alla rilevanza,
serietà e gravità dei fatti.
Le ipotesi di sostituzione dell'art.36 costituiscono eccezioni
al principio della piena autonomia del pubblico ministero in udienza,
affermato nello stesso articolo; si tratta di una previsione espressa
in termini di obbligatorietà, nel senso che in presenza dei
casi previsti, il capo dell'ufficio deve provvedere alla
sostituzione; la volontà della legge di strutturare la
sostituzione come un obbligo è confermata dalla previsione di
un intervento del Procuratore generale di designazione di un
magistrato del suo ufficio nel caso di inerzia del capo dell'ufficio
(nota 2) .
Disciplinata la
sostituzione come un obbligo, permangono anche in questo caso le
stesse perplessità già avanzate circa la rigidità
della formulazione normativa della modifica dell'art.36, che
determina un'ulteriore ricaduta anche sull'art.53 con un
effetto sinergico causativo di una spoliazione del processo in
udienza al P.M. che la sta conducendo; effetto di non poco momento,
se si valuta che, ai sensi dell'art.3 delle disposizioni di
attuazione, coordinamento e transitorie del c.p.p., il P.M.
dev'essere lo stesso originariamente designato in tutte le fasi
del procedimento.
La sostituzione, così,
determina una dispersione delle pi autentiche conoscenze
processuali (quelle del magistrato originariamente designato alla
trattazione del procedimento) e la necessità di avvicendare un
altro magistrato che dovrà cominciare ex novo lo studio del
processo.
Perplessità
suscita anche l'introduzione della sostituzione nell'ipotesi
in cui il magistrato risulta iscritto nel registro degli indagati per
il reato di cui all'art.326 c.p. in relazione ad atti del
procedimento assegnatogli; in tal caso il Procuratore della
Repubblica o il Procuratore generale devono sentire il capo
dell'ufficio, che sta procedendo ai sensi dell'art.11
c.p.p. in merito alla rilevanza, serietà e gravità dei
fatti.
Questo determina che il
capo dell'ufficio che sta procedendo a carico del magistrato
dovrà disvelare aspetti dell'indagine che sta compiendo
al fine di consentire quella valutazione di merito, necessaria per
operare o meno la sostituzione del magistrato; in pratica, si ritiene
che tale atto abbia un'importanza tale da consentire al
dirigente di un altro ufficio di apprendere notizie su un
procedimento in corso presso altra A.G..
La circostanza è
di non poco momento se si valuta che il provvedimento di sostituzione
del magistrato deve essere trasmesso al C.S.M. ai sensi dell'art.70,
comma 4Ord. giud. e diventa, quindi, largamente conosciuto.
8.3 - Le modifiche
apportate agli artt.114 e 115 c.p.p. comportano da un lato un
irrigidimento del divieto di pubblicazione degli atti sotto qualsiasi
forma del processo e dall'altro l'introduzione della
possibilità di sospensione dell'impiegato dello Stato e
degli altri soggetti indicati nell'art.115 comma 1 c.p.p..
Quanto al primo aspetto
si allarga l'oggetto del divieto di pubblicazione che con la
normativa vigente riguarda solo la pubblicazione anche parziale di
atti non pi coperti dal segreto, fino a che non siano
concluse le indagini preliminari o fino al termine dell'udienza
preliminare; la modifica estende il divieto anche al riassunto o al
contenuto di atti di indagine preliminare nonch di quanto
acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore, così
impedendo qualsiasi possibilità di pubblicare informazioni sul
processo con riferimento ad atti non pi coperti dal segreto.
In buona sostanza il
regime del divieto di pubblicazione con le modifiche assimila e non
differenzia pi, com'è nella normativa vigente,
gli atti coperti e quelli non coperti dal segreto, estendendo ai
secondi il regime dei primi; ne consegue l'abrogazione
dell'attuale art.114 comma 7 c.p.p., che viene sostituito
da una norma che specificamente sancisce il divieto di pubblicazione
anche parziale o per riassunto della documentazione, degli atti e dei
contenuti relativi a conversazioni o a flussi di comunicazioni
informatiche o telematiche di cui sia stata ordinata la distruzione
ai sensi degli artt. 268, 269 e 271 c.p.p..
Se quest'ultima
disposizione può apparire giustificata per non rendere
pubblica la documentazione di intercettazioni non necessaria ai fini
del procedimento e, quindi, priva di un rilievo a fini di giustizia,
per cui prevale chiaramente la tutela della riservatezza, pi
drastico appare il sistema disegnato nella riforma riguardo al
bilanciamento tra interesse all'informazione di fatti di
pubblico rilievo, quali sono gli atti processuali, e tutela della
riservatezza nel caso di atti non coperti dal segreto.
Il riflesso pi
direttamente coinvolgente aspetti giudiziari o ordinamentali di tale
disciplina è però costituito dalla modifica dell'art.
115 comma 2 c.p.p. che impone al Procuratore della Repubblica un
obbligo di informativa immediata all'organo titolare del potere
disciplinare di ogni iscrizione nel registro degli indagati per fatti
costituenti reato di violazione del divieto di pubblicazione commessi
da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici (oltre che da
persone esercenti una professione per la quale è richiesta una
speciale abilitazione dello Stato); da tale informativa può
scaturire nei successivi trenta giorni la sospensione cautelare dal
servizio del dipendente pubblico (oltre che dell'esercente la
professione), previa sua audizione, se sia stata verificata la
gravità del fatto e la sussistenza di elementi di
responsabilità.
La norma, che è
applicabile anche ai magistrati, introduce una previsione esplicita
di sospensione cautelate e si inscrive nella pi generale
previsione di un obbligo di rapporto disciplinare stabilito a carico
di un'ampia categoria di soggetti nello schema di decreto
delegato sul procedimento disciplinare.
Nel citato parere del 18 gennaio 2006 il C.S.M. ha stigmatizzato
questa enfatizzazione del ruolo di controllo dei dirigenti (nota
3) , che in questo caso si giustificherebbe col
particolare rigore con cui si vuole perseguire anche dal punto di
vista disciplinare la violazione del divieto di pubblicazione.
8.4 - Riguardo
alle modifiche del codice penale esse si caratterizzano per la
previsione di sanzioni pi gravi per i reati di cui agli
artt.326 e 684 c.p.; vi è poi un allargamento dei presupposti
della configurabilità della responsabilità, ai sensi
dell'art.25 del D.Lgs.8 giugno 2001 n.231, in capo alle persone
giuridiche proprietarie dei mezzi di informazione e diffusione, che
pubblicano arbitrariamente gli atti di un procedimento penale in
violazione dell'art.684 c.p.
L'inasprimento
sanzionatorio avviene per il reato di cui all'art.684 c.p. con
il mero innalzamento della pena pecuniaria, mentre per l'art.326
c.p. avviene con l'inserimento di due commi costituenti
circostanze aggravanti delle fattispecie previste ai primi due commi
della norma penale come in vigore; in pratica, se l'oggetto
materiale della rivelazione o dell'utilizzazione riguarda
intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni o il contenuto di
queste, vi è la previsione di una pena pi alta e lo
stesso dicasi nell'ipotesi di agevolazione soltanto colposa.
Va rilevato che il comma
aggiuntivo riguarda sia la rivelazione che l'utilizzazione, che
all'interno dell'art.326 c.p. sono condotte non solo
collocate in commi diversi, ma prevedono anche un differente
trattamento sanzionatorio, tale per cui l'utilizzazione è
punita pi gravemente della rivelazione; senonch,
l'inasprimento di pena previsto con l'introduzione della
circostanza aggravante risulta effettivo per la rivelazione, ma non
per l'utilizzazione, per la quale addirittura si avrebbe una
diminuzione di pena.
Infine, l'introduzione
della responsabilità delle persone giuridiche potrà
riguardare anche la pubblicazione arbitraria di atti di un
procedimento penale in violazione dell'art.684 c.p.; in
aggiunta alle ipotesi di reato indicate agli artt. 24 e ss. del
D.Lgs.231/2001 e delle successive modifiche apportate vi sarebbe
anche l'art.684 con l'applicazione di una sanzione
pecuniaria da cento a centocinquanta quote, che è
particolarmente apprezzabile, se si pensa che l'art.684 c.p. è
un reato contravvenzionale e per delitti, quali la corruzione e
l'istigazione alla corruzione, la sanzione pecuniaria è
fino a duecento quote.
n
1: E' assolutamente pacifico in dottrina, come, peraltro,
desumibile dalla lettera della norma, che la sostituzione non è
subordinata a valutazioni discrezionali in presenza delle condizioni
che determinerebbero l'obbligo di astensione; in tal modo
l'ordinamento vuole evitare in modo assoluto che si verifichino
le situazioni d'incompatibilità, per cui se il P.M. non
si astiene dev'essere sostituito e, se il responsabile
dell'ufficio non vi provvede, è previsto l'intervento
del Procuratore generale. Vedi, "Codice di procedura penale.
Rassegna di giurisprudenza e dottrina", vol.1, pag. 317 e
gli autori ivi citati, a cura di G. Lattanzi ed E. Lupo, Giuffrè,
Milano, 1998.
n
2: La norma si collega, peraltro, all'art.70 Ord. giud.,
che esclude la possibilità di sostituzione del magistrato del
pubblico ministero diversa da quelle espressamente previste dal
codice di procedura penale ed obbliga il titolare dell'ufficio
a trasmettere al C.S.M. il provvedimento motivato con cui è
stata disposta la sostituzione.
n
3: In particolare è stato rilevato un duplice effetto
negativo: da un lato il rischio di introdurre nella vita degli uffici
un generalizzato clima di sfiducia e di diffidenza, dall'altro
rendere pi difficile che i dirigenti (o i collaboratori)
possano conseguire quel livello di autorevolezza che si può
ottenere soltanto con la necessaria collaborazione di tutti i
componenti dell'ufficio, unica garanzia di un efficiente
esercizio del servizio giudiziario.