Presentazione
La Corte costituzionale batte due colpi. Forti e simultanei. Sull'illegittimità di un diritto troppo speciale come quello sull'immigrazione.
La sentenza n. 222/2004 rimette tra il provvedimento di espulsione dello straniero e la conduzione coatta alla frontiera l'intervento tempestivo di un giudice, sia pure in forma di convalida dell'iniziale provvedimento esecutivo amministrativo, ma in ogni caso con la possibilità di sentire l'interessato, con la previsione dell'assistenza di un difensore e del contraddittorio tra le parti. E soprattutto assicurando che il provvedimento che neghi la convalida o che non sia dato tempestivamente produca l'effetto di far cessare la privazione della libertà personale adottata in via provvisoria. Alcuni dei principi fondamentali fissati dall'art. 13 della Costituzione ovvero da quella norma che richiede l'intervento motivato dell'autorità giudiziaria per applicare o comunque legittimare la privazione della libertà personale sono ristabiliti.
Si apre un vuoto di schema procedurale che il legislatore è chiamato a colmare. Ma sono fissati precisi paletti.
Il controllo del giudice sui provvedimenti di libertà personale non può essere cartolare, ma deve essere effettivo.
La sentenza n. 223/2004 ristabilisce analogamente l'ordine delle cose in campo processuale penale e restituisce alle misure adottate in questa materia la loro funzione propria.
Viola il principio di eguaglianza e soprattutto quelli di cui all'art. 13 (3° comma) della Costituzione una normativa che preveda l'arresto, peraltro in forma obbligatoria, senza alcuna connessione con le finalità del processo penale. Perché, a differenza del regime oridinario limitato ai delitti, comporta sempre, per la contravvenzione costituita dall'inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni, una limitazone provvisoria della libertà personale non suscettibile di trasformarsi in una misura coercitiva e dunque "priva di qualsiasi funzione processuale".
E invero, dà atto la Corte, di qualsiasi pur impropria giustificazione rispetto all'esecuzione dell'espulsione, dalla cui mancanza nascono l'ordine del questore e l'arresto secondo un circolo vizioso in pratica senza fine.
E' tra le righe la certificazione dell'inefficienza di una legge come la Bossi-Fini tanto apparentemente rigorosa e tanto sicuramente illiberale, quanto incapace di assicurare un ragionevole governo di un fenomeno ormai normale quale la trasformazione dell'Italia, come di altri paesi dell'Unione europea, in territori di immigrazione.
Di politica europea dell'immigrazione, della capacità di promuovere democrazie pluraliste ed inclusive parliamo infatti nell'intevento di J. De Lucas, ma anche in quello di A De Bonis e M. Ferrero che si interroga su come, in Italia ma non solo, si possa pensare a forme nuove di partecipazione e rappresentanza degli immigrati, di coinvolgimento democratico di questa componente della nostra popolazione e necessariamente di accesso ai diritti di cittadinanza. Un modello opposto a quello della (in)tolleranza zero e della costruzione e moltiplicazione di barriere tra "noi" e "loro".
Per togliere qualche pregiudizio sul trattamento uniformemente ostile degli stranieri che arrivano e restano in Italia, perché privati della possibilità di scelte diverse, sono utili, d'altro canto, le riflessioni, pur in campi per altri versi distinti, di G. Diotallevi sulla nuova normativa italiana sul reato di riduzione in schiavitù e di L. Chieffi sulla tutela costituzionale del diritto di asilo e di rifugio a fini umanitari.
Molta carne al fuoco nella giurisprudenza.
Citiamo solo le riflessioni: di A. Caputo su quella della Cassazione e dei giudici di merito sulla nuova fattispecie di reato del favoreggiamento delle migrazioni illecite; di M. Paggi a commento di un'importante decisione del Tribunale di Genova sulle pratiche discriminatorie nell'accesso al pubblico impiego di due infermieri non comunitari legalmente soggiornanti; di L. Miazzi e A. Vanzan su due decisioni del Tribunale per i minorenni di Trento e della Corte d'Appello di Bari che si confrontano con l'istituto islamico di diritto di famiglia della kafala e con il suo possibile rilievo rispetto all'ordinamento italiano.
Completano questo numero della Rivista, che chiude con l'arrivo delle buone notizie provenienti dalla Corte costituzionale su cui di certo torneremo, le consuete ed interessanti sezioni sull'osservatorio europeo ed italiano, nonché su recensioni e materiali di ricerca.