ìQuale Costituzione per l'Europa?
L'impegno di questa Rivista ´per una vera Costituzione europea, per un'Europa federale, luogo di pace, di diritti e di giustizia per tutti coloro che in essa risiedono' (com'è scritto nella mozione conclusiva del congresso di Palermo di Magistratura democratica, pubblicata in questo fascicolo) è chiaro e netto. Per que-sto abbiamo seguito con attenzione e speranza prima l'approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione e poi il Trattato costituzionale, possibile punto di partenza di un processo costituen-te autentico e democratico. Non ci siamo nascosti i limiti della Carta, le ambiguità e le timidezze del Trattato, il deficit democratico che ha caratterizzato il processo costituente, e tuttavia abbiamo colti-vato la speranza che questo processo inducesse per usare pa-role di Habermas - ´nuovi e inediti contesti di comunicazione e inte-sa' e, con essi, una crescita della valenza democratica (fino ad oggi carente) delle istituzioni europee.
´Affermare che un momento costituente per l'Europa è necessario - scriveva nel fascicolo n. 2/2000 G. Bronzini - non vuol dire negare gli aspetti problematici di tale passaggio. Molti interrogativi ri-mangono, ancor oggi, inevasi. Che tipo di costituzione si vuole, chi dovrebbe proclamarla, chi dovrebbe votarla, che rapporto dovrebbe avere con le costituzioni interne? E ancora: che ruolo dovrebbero gio-care partiti, sindacati e associazioni democratiche di sinistra nella co-struzione di un legame costituzionale europeo? L'attuale mancanza di un movimento sociale e politico per la democratizzazione dell'Unione, che prefiguri i contenuti e i diritti di nuovo Patto tra i paesi del vecchio continente è, in realtà, il punto di forza della critica euroscettica: un obiettivo cosi ambizioso e innovativo non può essere solo il frutto di una fortunata opera di ingegneria giuridico isti-tuzionale'.
Cinque anni dopo, questi interrogativi, lungi dall'essere sciolti, so-no ingigantiti dai due no forti e chiari che i referendum francese e olandese hanno riservato al Trattato costituzionale. L'entità di questi no - per i Paesi da cui provengono e per l'ampiezza della partecipazio-ne al voto (nonostante la diffusa disaffezione nei confronti dello strumento referendario) impone una riflessione attenta e impietosa, che sfugga da analisi consolatorie e sappia cogliere e interpretare, per indi-rizzarle verso sbocchi democratici, le turbolenze che attraver-sano un'Europa ancora alla ricerca di identità. Il compito è anzitutto della politica ma anche i giuristi devono fare la loro parte. Contribui-remo a farlo, nel breve e nel medio periodo, e, in questa prospettiva, proponiamo fin da adesso alcuni spunti.
Primo. Questo percorso per la realizzazione di una vera Costituzione europea è definitivamente chiuso. Certo, dieci Paesi (tra cui due fondatori: l'Italia e la Germania) hanno ratificato il Trattato, in Spagna il si ha prevalso nel referendum, altri Paesi hanno comunque deciso la ratifica e l'iter dell'approvazione definitiva preve-de prove d'appello, e tuttavia lo abbiamo detto ripetutamente per la nostra Carta fondamentale una Costituzione, per essere tale, deve fondarsi su scelte e valori condivisi e non può essere l'imposizio-ne di maggioranze risicate o ridotte.
Secondo. I fronti contrapposti dei favorevoli e dei contrari al Trattato sono stati e sono eterogenei (tutti gli schieramenti si sono divisi: a destra come a sinistra). Di più: se l'adesione al Trattato non è indice di un progetto costituzionale omogeneo (né sotto il profi-lo della gerarchia dei diritti né sotto quello dei poteri delle istituzioni comunitarie), l'opposizione ad esso non si è tradotta in un progetto al-ternativo coerente e leggibile. » l'effetto di un evidente scollamento, nel processo costituente, tra la politica e il diritto: situazione i cui ef-fetti delegittimanti per una Costituzione sono sotto gli occhi di tutti nel nostro Paese. Sta, ancora una volta, alla politica provi rimedio, ma ai giuristi compete segnalarlo e denunciarlo.
Terzo. Una Costituzione è tale se è (o quantomeno aspira a diventare) patrimonio di tutti. Ciò ha un presupposto irrinunciabile: la sua effettiva conoscibilità da parte delle donne e degli uomini cui essa si riferisce, come accade per la nostra Carta fondamentale o per quella degli Stati Uniti d'America. Un testo astruso e onnicom-prensivo, assai più di "una legge lunga" (come pure è stato definito il Trattato), è destinato ad essere estraneo ai cittadini. Anche di ciò oc-correrà tener conto nel definire (e diversificare) le carte dell'Europa.