Presentazione
Il diritto speciale del nemico, soprattutto penale ma trasversale a tutte le aree di competenza giuridica, comincia anche in Italia a produrre i suoi frutti in termini di pregiudizio e razzismo.
Proprio mentre chiudiamo questo numero della Rivista abbiamo di fronte a noi le immagini di uno straniero ubriaco e molesto, "brutto, sporco e cattivo", "finalmente" preso a pugni e pestato a pedate da dei carabinieri mentre è già stato ridotto all'impotenza, ha perso la sua libertà, è finito a terra letteralmente in mutande.
Il suo corpo è affidato a dei tutori dell'ordine, è nudo ed è oggetto dell'inutile rabbioso scarico di frustrazione da parte di chi dovrebbe custodirlo in attesa della decisione dell'unica autorità cui di regola la Costituzione affida la potestà di privare altri della libertà personale ovvero dell'autorità giudiziaria.
La scena non si svolge al chiuso di una caserma, o di un centro di permanen-za temporanea (come ad esempio il Regina Pacis nel caso del giudizio definito in primo grado qualche mese fa dal Tribunale di Lecce), ma in strada.
Il luogo pubblico non costituisce remora al suo svolgimento. Come per un'inconsapevole presunzione di impunità da parte dei protagonisti.
Eppure la possibilità di essere visti si avvera. La scena viene ripresa da un passante con un telefonino cellulare e poi pubblicata su un sito internet, da cui viene volontariamente e responsabilmente presto rimossa.
Siamo a Sassuolo (Modena), non a Los Angeles o in altre città americane dove l'abbiamo già vista.
Siamo dentro casa nostra.
Eppure non scatta un semplice condiviso senso di repulsione, prima ancora che di giustizia.
E nemmeno la consapevolezza diffusa del carattere contro producente in ter-mini di ordine pubblico delle gesta di chi doveva tutelarlo e ha smesso di farlo da un certo momento in poi. Del rischio dello scoppio di una rivolta come quel-la recente delle banlieue dei sobborghi di Parigi, innescato dal maltrattamento di due immigrati fermati dalla locale Polizia giudiziaria. Siamo in Italia e non ci sono ancora le condizioni generazionali, sociali, numeriche di quella rivolta. Ma visto che nel 2050, ovvero dopodomani in termini demografici, ci saranno, secondo le stime appena uscite di Eurostat, 11 milioni di italiani in meno e 5 o 6 milioni di stranieri in più quelle condizioni matureranno prevedibilmente pre-sto, se noi, un popolo sempre più vecchio non saremo capaci di politiche di in-tegrazione effettiva.
Certo nelle guerre tra poveri, non solo tra italiani di quartieri degradati e stranieri, ma tra stranieri residenti in regola col soggiorno e altri senza titolo di permanenza, la legalità pare ormai un lusso. O meglio la legalità come un tutto unico. Meglio sacrificarne una parte, quella dedicata agli altri, percepiti come delinquenti o alla meglio ospiti che debbono dirci grazie e tenere la testa bassa.
E comunque, invece di selezionare gli interventi, eliminare i ghetti, rimuovere alcune delle cause dell'insicurezza sociale montante, meglio partire con una bella raccolta di firme promossa da un quotidiano locale per veicolare il mes-saggio che, forse si è un po' esagerato, ma che stiamo dalla parte dei carabinie-ri che ci difendono.
Messaggio fuorviante e sbagliato nel senso che nell'essenza e nella professio-nalità di essere carabiniere o altro c'è il rispetto dei limiti nell'uso della forza. E che la manifestazione del suo esercizio corretto allontana il cittadino dalla tentazione del ricorso alla giustizia privata.
E lo stesso dilemma sbagliato riguarda il terrorismo, su cui torniamo in que-sto numero della Rivista pubblicando la seconda parte del lavoro di P. Bonetti.
Non siamo dalla parte dei terroristi, ma di uno Stato che sappia rispondere al fenomeno con i soli mezzi che lo rendono democratico e che servono a non de-portare, sequestrare o addirittura eliminare persone sbagliate. Strumenti che debbono restare entro confini delimitati dal diritto. A garanzia dei singoli come del sistema.
Norme che sappiano riconoscere il diritto di chi fugge da altri paesi e chiede rifugio a noi, che dichiariamo disponibilità ad esaminarne la domanda ma non facciamo a ciò corrispondere una tutela giurisdizione effettiva, come spiegato analiticamente nell'intervento di G. Vitale.
Oppure che sappiano, ad altro titolo, accogliere stranieri in particolari condi-zioni per protezione sociale, come evidenziato nel lavoro di S. Fachile sull'apposito permesso previsto dall'art. 18, co. 6, TU immigrazione.
O ancora che riescano a garantire uno dei diritti fondamentali della persona, anche straniera, come il diritto alla salute e all'accesso alla cura secondo la di-samina di A. Oriti.
O infine sistemi di tutela giurisdizionale capaci di promuovere l'acquisizione del diritto di cittadinanza, il primo diretto ad una stabile integrazione, come nella decisione della Corte di Giustizia sul caso Chen su torniamo con la rifles-sione di G. Perin.
Per il resto in questo numero della Rivista il corredo delle sezioni di giuri-sprudenza (a cominciare dalla rassegna di quella di diritto comunitario ed eu-ropeo curata da M. Balboni), di osservatorio europeo ed italiano ed infine di segnalazioni e recensioni è ricco più che mai.