Tutti siamo stati coinvolti in questi mesi dalla guerra in Kosovo. Questa rivista non poteva trascurare l'avvenimento che è stato giustificato con la contrapposizione ad una diffusa persecuzione per ragioni etniche di esseri umani, costretti in questi anni a migrare verso l'Europa e l'Italia. Iniziamo, dunque, un dibattito sull'argomento. La guerra ha a sua volta prodotto in tempi rapidi masse di profughi, in buona parte giunti, tramite i soliti lucrosi scafisti albanesi, in Italia, per fermarsi o proseguire altrove. Il Governo italiano ha preso atto, sia pure con un certo ritardo, della situazione di fatto dando alle "persone provenienti dalle zone di guerra dell'area balcanica" riconoscimento giuridico nell'ambito della facoltà di adozione di misure di protezione umanitaria. Il provvedimento normativo (d.p.c.m. 12.5.99), non privo di incertezze e difficoltà di interpretazione pratica, è oggetto di analisi sempre nella prima parte di questo numero. L'incertezza specifica si inserisce in un contesto più ampio che si va delineando nella realizzazione della nuova normativa in materia di immigrazione che si vorrebbe organica. Si riconoscono diritti, anche nuovi, ma lo si fa sempre all'insegna della precarietà. Si inasprisce la disciplina dell'ingresso e del soggiorno prevedendo un bilanciamento sotto forma di tutela giurisdizionale, in buona parte affidata al giudice ordinario, ma i mezzi apprestati o sono debolissimi (la convalida dei provvedimenti di trattenimento nei centri di permanenza temporanea) o, già troppo sommari, vengono "corretti" o meglio ulteriormente ristretti (d.lgs. n.113/99) non appena la giurisprudenza, anche di legittimità (cfr. Cass., sez. I, 21.1.99, Fortes, pubblicata in questa rivista n.1/99), interpreta il sistema, conformemente alla nostra Costituzione, in termini di diritto soggettivo e di previsione di un doppio grado nel giudizio ordinario contro i provvedimenti di espulsione. Il tutto in un difficile, e poco comprensibile agli interessati, rapporto di coesistenza tra giurisdizione ordinaria e amministrativa, evidente soprattutto nei casi di espulsioni collegate alle istanze di regolarizzazione e in genere a decisioni di diniego ad esempio di richieste di rinnovo del permesso di soggiorno. Ne conseguono molte questioni di legittimità costituzionale che cominciamo ad esporre ed analizzare in questo numero. All'orizzonte si affacciano, infine, prospettive di segno opposto. Per un verso, sul piano interno, vi è il tentativo di controriforma in danno degli immigrati costituito dal referendum ad iniziativa della Lega nord di cui pure qui discutiamo la legittimità. Per altro verso, è in corso il processo di costruzione della cittadinanza dell'Unione europea, o meglio di una disciplina comune degli Stati membri sulla cittadinanza. In tale ambito si stanno iniziando a definire le misure in materia di politica comune dell'immigrazione e del soggiorno di cittadini di paesi terzi, attraverso le quali sarà possibile l'acquisizione per gli interessati di uno status sempre più integrato. Dunque temi grandi e variegati al centro dei quali vi sono i concreti problemi di vita delle persone interessate che interrogano la giurisprudenza italiana e straniera pubblicata. Si ritiene di segnalare in particolare la sentenza della Camera dei Lords del Regno Unito di Gran Bretagna (sul riconoscimento dello status di rifugiate a due donne pakistane oggetto di persecuzione nella società di origine per la loro appartenenza al particolare gruppo sociale definito appunto dall'essere donne) e quella della Corte suprema amministrativa austriaca (sulla nozione di paese terzo sicuro nelle relazioni con l'Ungheria, sempre in materia di diritto d'asilo). Chiudono questo numero molti documenti e segnalazioni interessanti.