Presentazione
La legge Bossi-Fini, cui abbiamo
dedicato il precedente numero della Rivista, segnalandone la
direzione univoca verso il peggioramento in senso repressivo o almeno
di precarizzazione della condizione dello straniero, ha già
prodotto alcuni risultati non tanto sul contenimento
dell’immigrazione clandestina o di una realistica gestione,
anche giuridica, di un fenomeno strutturale come l’immigrazione,
quanto sulla percezione di senso comune. La parola straniero è
sempre più spesso confusa con quella di clandestino; la
seconda, che è una condizione materiale, ma anche giuridica in
funzione delle politiche adottate, corrisponde a quella di
delinquente. In Italia la clandestinità non è ancora di
per sé un reato, ma è già sentita (da larghe
componenti delle forze dell’ordine, dei media e dei cittadini
italiani) come se lo fosse. Parallelamente la discussione pubblica
sugli stranieri regolari, ma a tempo determinato e in modo precario
perché destinati a tornare a casa loro non appena si cessi di
averne bisogno economicamente, si sposta sempre di più verso
un’idea di integrazione sociale a senso unico ovvero verso una
assimilazione religiosa, linguistica, culturale in nome di una
nozione rigida e astratta di identità nazionale, padana,
cristiana a seconda dei punti di vista.
Come invece si possa giungere a
comporre un’unità sociale non omogenea, ma
differenziata, anche attraverso il potenziale integrativo del
diritto, è al centro della riflessione di F. Belvisi
con cui apriamo la sezione degli interventi. Segue un contributo di
A. Caputo su un aspetto settoriale della mediazione giuridica
costituito dalla tutela linguistica nel processo penale, essenziale
non solo per il destinatario, ma per la credibilità stessa
della decisione finale. Si tratta di una prima riflessione sul
processo penale agli stranieri e in prospettiva sulle prassi
applicative differenziate nei confronti di questa particolare
categoria di persone di cui le statistiche sul lavoro giudiziario si
limitano genericamente a segnalare l’aumento.
P. Morozzo della Rocca,
partendo da un excursus sul progressivo svuotamento della
tutela giuridica in materia di allontanamento e sull’atteggiamento
passivo assunto da parte della giurisprudenza civile, propone invece
un originale percorso di riconoscimento di un diritto al risarcimento
del danno da espulsione illegittima immediatamente eseguita.
Nella sezione di giurisprudenza
europea e comunitaria vi sono importanti novità redazionali.
Si è deciso di pubblicare la giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo in una delle lingue ufficiali
accompagnando i documenti con schede di presentazione, in questo
numero curate da M. Balboni, utili a fare intendere
immediatamente il contenuto delle decisioni e ad inquadrarle negli
orientamenti interpretativi della Cedu. Il vuoto di spazi giuridici
delle legislazioni nazionali può essere in parte colmato anche
attraverso il ricorso alla giurisprudenza della Corte. Ad esempio in
questo numero della Rivista si dà conto degli sviluppi
in sede Cedu della vicenda dell’espulsione di un gruppo di
nomadi allontanati collettivamente da un noto campo romano e rinviati
in Bosnia ove rischiavano trattamenti inumani. Discorso analogo per
la presentazione della giurisprudenza della Corte di giustizia, qui
in materia di libera circolazione in ambito comunitario e di rispetto
dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
per cittadini comunitari e non.
Le prospettive dell’applicazione
nel diritto interno di quello comunitario danno lo spunto al commento
di A. Simoni su alcune pronunzie nazionali in materia di
discriminazione. Sono altresì oggetto di commento, all’opera
di A. Guariso e L. Neri alcuni interessanti provvedimenti di
urgenza del giudice del lavoro relativi ai tanti casi di dipendenti
arbitrariamente non legalizzati e privati di accesso diretto alla
regolarizzazione della loro posizione di soggiorno dalla nuova
normativa collegata alla legge Bossi-Fini.
R. Miraglia analizza
alcune tra le ordinanze che in sede penale hanno sollevato questioni
di legittimità costituzionale sugli arresti per reati
contravvenzionali previsti dalla stessa legge. Abbiamo scelto tra i
molti provvedimenti alcuni per lo più inediti riservandoci di
tornare sull’argomento per gli svariati problemi
costituzionali, di diritto processuale e sostanziale sollevati dalla
recente novella che nella prassi si sta prestando a trasferire in
sede penale le inefficienza amministrative nell’esecuzione
delle espulsioni, inevitabilmente aumentate con l’adozione di
un regime ordinario dell’espulsione con accompagnamento
immediato alla frontiera. Si dice tutti fuori subito; non si riesce a
farlo; si chiede all’interessato di collaborare alla rimozione
delle difficoltà; si sanziona penalmente la mancata
collaborazione; si rimette in libertà lo straniero fino al
prossimo arresto. Le diseconomie imposte dalla rigidità della
normativa sulle espulsioni amministrative si sommano ad altre in
campo penale con sacrificio, frequentemente non funzionale nemmeno al
fine perseguito, della libertà personale.
M. Niro si occupa infine
degli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sollevati
rispetto alla finalità rieducativa della pena dalla figura
dell’espulsione come misura alternativa alla detenzione.
Completano la Rivista le
sezioni sui documenti e segnalazioni europei e italiani.
Si chiude con le recensioni e i
materiali di ricerca.
Gennaio 2003